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Pino Daniele (16 marzo 1955-4 gennaio 2015)

Creato il 05 gennaio 2015 da Marvigar4

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L’anno non poteva aprirsi peggio, la perdita di Pino Daniele è l’ennesima mazzata per il panorama artistico e musicale del nostro paese. Non è solo Napoli a piangere questa scomparsa, sebbene Napoli abbia ricevuto tantissimo dal musicista partenopeo nei suoi quarant’anni di attività. Dall’esordio con il gruppo Batracomiomachia, all’entrata nel 1976 nello storico gruppo Napoli Centrale, fino all’evoluzione radicale del suo stile che culminerà con l’album del 1980 Nero a metà, Pino Daniele ha attinto molto dalla classicità napoletana traghettandola poi verso il blues, il soul, componendo brani che sono diventati ormai dei classici. Ca calore, Na tazzulella ’e cafè, Napule è rappresentano indubbiamente la trasformazione di una tradizione secolare, un superamento che non ha mai omesso le radici, un’ars combinatoria geniale apprezzata, seguita da artisti nazionali e soprattutto internazionali (Eric Clapton, Chick Corea, Al Di Meola, Richie Havens, Phil Manzanera, Pat Metheny, tanto per fare alcuni nomi).

Al di là dei cenni biografici ed artistici, facilmente consultabili su wikipedia o sul suo sito ufficiale[1], adesso desidero dire cosa è stato per me Pino Daniele, cosa ha significato il suo ingresso nell’ascolto musicale della mia vita. Ero un dodicenne quando ascoltai per la prima volta Ca calore, e mi piacque subito senza riserve, idem per ’Na tazzulella ’e cafè e Napule è. Ma a conquistarmi completamente fu Je so’ pazzo del 1979: la cantavo, la ritmavo fingendo le percussioni e mi esaltavo come buona parte dei miei coetanei a ripetere Je so’ pazzo, je so’ pazzo / nun nce scassate ’o cazzo!. Quella parola, censurata durante l’esibizione di Pino Daniele alla Domenica In di Corrado, diventò una liberazione, un tabù infranto definitivamente nel mondo della canzone. Finiva un’epoca di ipocrisia, di perbenismo, quel cazzo fu più forte di tante manifestazioni, di tante proteste, e da allora le cose non furono mai più come prima. Nemmeno i cantautori rinomati erano riusciti a fare tanto, soltanto Pino Daniele e anche Rino Gaetano potevano dirsi in grado di aver squarciato il velo della noia, la cappa del birignao politichese e dei mantra parodistici del ’68. Francesco Rosi inserì quel brano nella colonna sonora del suo film del 1981 Tre fratelli, ricordo che al cinema durante la proiezione nasceva un coro spontaneo di giovani e la sala si riempiva con quel nun nce scassate ’o cazzo!. A quanto pare da Domodossola a Ragusa si ripeté la stessa scena, Je so’ pazzo era ormai un manifesto giovanile italiano. Noi la sentimmo quest’aria nuova, un po’ come nel 1980 ci piaceva cantare Another Brick in the Wall dei Pink Floyd e il suo Hey! Teachers! Leave them kids alone!, era l’espressione di un NO anche e soprattutto nei confronti di chi ci aveva appena preceduti e che ci avrebbe tediato con l’arroganza, le pose e l’oppressione di certe visioni ideologiche assolute. La carriera di Pino Daniele ho continuato a seguirla, non sempre con la stessa attenzione, ma per me restano memorabili le prove iniziali, come le meravigliose colonne sonore dei film dell’amico Massimo Troisi, altro grande ingegno di quella terra straordinaria che si chiama Napoli.

Grazie di tutto Pino, il tuo cuore continuerà a battere grazie alle emozioni che ci hai regalato.

© Marco Vignolo Gargini

[1] it.wikipedia.org/wiki/Pino_Daniele, http://www.pinodaniele.com/


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