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Più simile a una casa

Da Marcofre

L’idea che ci si fa quando si legge qualcosa di riuscito, è di trovarsi di fronte a una casa. Tiene.
Detta così sembra una follia anzi credo proprio che lo sia, ma la buona narrativa quello fa, per questo viene letta e studiata anche a distanza di decenni o secoli.

Si combattono guerre, si sganciano bombe atomiche; si squagliano i ghiacciai e si distrugge l’economia di intere Nazioni. Ma “Guerra e Pace”, “Nanà” oppure “Niente di nuovo sul fronte occidentale” restano. Sono robuste costruzioni che resistono agli elementi meno nobili degli uomini: l’odio, la stupidità.

Qualunque storia si scriva, occorre affrontarla come un impegno maledettamente serio. Come se fosse un lavoro; anzi mi correggo subito. È un lavoro.
C’è un ostacolo: possiamo metterci tutto l’impegno che vogliamo, ma questo non ci garantirà niente. Meglio scaricare casse di bibite per i bar sulla passeggiata nel quartiere delle Fornaci di Savona, almeno un po’ di soldi entreranno in tasca.

Però lo riscrivo: deve essere un lavoro. Un mestiere, o almeno occorre considerarlo tale. Nella testa ci deve essere la medesima serietà che di solito viene richiesta su un posto di lavoro.
Invece della puntualità, la precisione.
Al posto della fatica (fisica), l’impegno. Eccetera eccetera.

Anche se nessuno mai apprezzerà quello che scriviamo, la disciplina forse ci renderà persone meno superficiali. Più attente ai dettagli. Persino rispettose dei segni di interpunzione (che a scuola nemmeno vedevamo: parlo di me) perché capaci di pause e slanci.

Quando comprendiamo che dobbiamo costruire un edificio, la nostra mente fa spazio alle cose che contano. Mette sotto chiave tutto quello che non ha valore (cellulare, Twitter, posta elettronica. Ma anche la mortale idea che sia facile), e comincia a fare i conti con il lavoro da portare avanti.
A questo punto sgorga la consapevolezza che forse non siamo ancora pronti; e si comincia a leggere.

Prima o poi occorrerà passare al lato pratico (scrivere); ma all’inizio la lettura è avere l’opportunità di toccare con mano cosa riserva la scrittura a chi decide di provarci.

La materia prima. I personaggi. Carne, sangue, budella e nervi. In principio paiono come i blocchi di marmo di cui parlava l’ottimo Michelangelo Buonarroti. Imprigionati dalla materia. Devono essere liberati. E come ogni opera del genio toscano, il senso del suo lavoro non può fermarsi al godimento estetico delle forme. Quelle sono solo un varco socchiuso, offerto a ciascuno di noi.
Occorre spingere quella porta, e cadere.

È nel complicato intreccio tra personaggi e mistero che la costruzione della storia (della casa), si sviluppa sino ad assumere solidità. Ma come si vede alla fine di questo post, non ci sono soluzioni pronte all’uso, e neppure risposte.


Filed under: buona scrittura, cassetta degli attrezzi Tagged: scrivere bene

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