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Poesia, solitudine e amore: generazione senza sogni 6

Da Postpopuli @PostPopuli

 

di Giorgio Galli

“Poesia, solitudine e amore”

 

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da Wikipedia

Per tutta l’adolescenza sono stato come un sacerdote. Mi ero inabissato nella letteratura, ero diventato intransigente e puro come un cataro. Avevo bisogno di dedicarmi alla concretezza della vita, ai rapporti umani, volevo provare anch’io la mia parte d’autenticità. Avevo sviluppato la mia passione letteraria in una solitudine assoluta, perché dov’ero cresciuto – in una provincia soffocante come la somma di tutte le province – non avrei mai potuto “socializzarla”. Mi ero ammalato di solitudine e di letteratura. E volevo uscire da entrambe le malattie.

Forse non avevo tutti i torti a vederla così. La passione per un’attività estetica è una delle più antisociali al mondo. È probabile che una certa quota di disumanità sia connaturale al fare arte o poesia, un certo deficit della compassione e dell’empatia. Perché come si fa, altrimenti, a dedicare il meglio delle proprie energie a qualcosa che non vive, non risponde, non chiede di te e non ha bisogno di te? Il poeta che scrive poesie d’amore, non dimostrerebbe meglio il suo amore trascorrendo del tempo con la sua compagna, anziché con un foglio di carta? E Neruda avrebbe sofferto più la morte della sua compagna o quella della sua famosa penna verde?

Non ho risposta, naturalmente. Ma la mia vera adolescenza l’ho vissuta all’inizio dell’età adulta, ed è stata bella come una convalescenza o una guarigione. Poi, sono entrato senza un attimo di respiro nell’età della disoccupazione. Sette anni son passati, sette anni nell’incubo del non lavoro. Nel frattempo mi sono sposato, e a mia moglie devo portare il pane sulla tavola, non poesie. E così la letteratura è svaporata dalle mie giornate come una barca svapora mano a mano che tocca l’orizzonte. Ho continuato a scrivere, con l’occhio di chi osserva la barca da lontano e ne afferra la forma in una volta sola, aiutandosi col ricordo di esperienze precedenti. Ma la barca della letteratura è così lontana ch’è diventato vicino il momento in cui dovrò posare la penna.

Della mia convalescenza non poteva non far parte l’amore. Ho scritto molte poesie d’amore. Quella che vi presento l’ho scritta nel 2002. C’era una ragazza, nella residenza universitaria, amica di amici; un pomeriggio entrai in camera sua con tanti fiori che avevo raccolto lungo tutta la mattina per le campagne e le periferie di Siena, ma lei non li accettò. Dopo pochi mesi perse l’alloggio alla casa dello studente, si trasferì e io scrissi per lei questa poesia, intitolata “Ricordo”. Oggi la ripropongo come il ricordo di un ricordo. È impregnata di freschezza, conserva il fascino del momento di transizione dall’imperio dei sogni a una realtà che non ancora si era rivelata così dura.

 

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Wisława Szymborska (da Wikipedia)

Ho sempre nutrito un po’ di sospetto per le poesie d’amore. Il cuore, quando è caldo, non parla. Il troppo sentire gli impedisce di dire ciò che sente, perché nell’attimo stesso in cui lo dice lo allontana, lo oggettiva – lo distrugge quindi nel sentire. Le poesie parlano un linguaggio troppo lontano da quello di chi vuole prolungare l’estasi, e pertanto resta imprigionato in una sua balbuzie o afasia. Esse parlano il linguaggio di chi ha eseguito col bisturi l’autopsia dell’amore. E quale amore può essere portato sul tavolo anatomico? Non certo l’amore di un nome, per dirla con Lacan, ma piuttosto “l’amore dell’amore”.

Il poeta d’amore sembra innamorato del proprio sentimento, più che della sua donna. Per questo le mie poesie d’amore preferite sono quelle di Wisława Szymborska, che girano torno torno all’amore, non cercano di entrarci dentro, lo sfiorano, lo descrivono, ne lasciano intatto il mistero. Non voglio paragonarmi nemmeno per un minuto alla Szymborska, ma anch’io, nel 2002, ho risolto il problema a modo mio: e, anziché scrivere d’amore, ho raccontato la storia di un amore non ricambiato, e di cosa ha significato nel momento di passaggio “dalla mia adolescenza senza niente ai giorni tuoi”.

Come un’onda di felicità e delicatezza all’improvviso
comparve il tuo sorriso. Fu alla fine
di una cena, cui venisti
a curiosare con le tue amiche.
Il tuo pensiero per un po’ dormì nel mare.
Si risvegliò all’improvviso, un giorno, in un mese
di maggio profumato e fiorito come mai:
come un quadro di Klimt stile fiorito,
tu che ami Klimt…
Erano ancora i tempi eroici, gli ultimi bagliori
di quel fervore che mi aveva trasportato
dalla mia adolescenza senza niente ai giorni tuoi.
La tristezza, mia amica, insorgeva, ma una nuova
allegria dalle finestre soffiava verso me.
Anche il tempo pareva impazzito: giorni sembravan anni,
quali eventi eran vicini o eran lontani
io non sapevo più dirlo,
tanto il cuore viaggiava veloce.
Si fidanzarono due nostri amici
mentre io vagavo sui campi di Siena
cogliendo fiori senza sapere a chi darli.
Capii presto a chi darli,
quando le belle risate in compagnia
si trasformarono in notti senza sonno
al ritorno nelle stanze.
E te li portai un giorno, a fine maggio,
poi tutti i campi parvero sfioriti:
e camminavo per il viale alberato
dove una notte ho rubato le ciliegie,
dove per te raccolsi tanti fiori,
(rischiando anche di farmi arrestare
quando entrai nel recinto di una casa…)
Ma mi pareva di averli presi tutti
e da quel giorno ho odiato tutti i fiori,
non l’ho raccolti più su quelle vie.
Per un periodo li strappavo e uccidevo,
come quando ero un bambino cattivo
e li facevo a pezzi sotto il sole
immaginando storie di tiranni…

Venne l’estate e andavo sui terrazzi
ad imparare i nomi delle stelle
ed a guardare verso il tuo balcone.
Poi tu hai dovuto lasciare questi posti
ed io col pianto addosso
sfidavo i freddi d’ottobre e tornavo
su quel terrazzo a guardare le stelle.
Ora anche tu sentivi la tristezza.
Ma dentro me dicevo: non lasciarti
prendere così dallo sconforto.
Se potessi me ne andrei via io
che a questa casa ho dato solo il mio dolore…
Tu invece che da sempre la ricopri
di delicata sensibile allegria
torna, per te e per noi, quella che l’arancione
spargeva per l’aria e i muri.
Ci rivedremo altrove, giù in città,
e a questo foglio di carta io affido
un inno al tuo animo gentile,
ed un augurio a una ragazza di gran cuore
che, per la gioia di tutti, sia felice.

 

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