di Rina Brundu. “Coloro che vogliono essere leader ma non lo sono dicono le cose. I bravi leader le spiegano. I leader ancora migliori le dimostrano. I grandi leader le ispirano”. Se questo aforisma anonimo raccontasse una qualche verità, il dubbio amletico verrebbe immediatamente chiarito: Silvio Berlusconi non è un grande leader. Non è neppure un leader “migliore” e a ben guardare non è neppure un bravo leader visto che un bravo leader si spiega e non detta ordini, con l’aiuto di terzi, al segretario del suo Partito, con il fine di mandare a casa l’unico governo possibile per una nazione che vivacchia dentro al baratro.
Dopo anni e anni in cui si è detto di tutto e di più su Berlusconi, sul berlusconismo, sulla guerra dei vent’anni e sullo straordinario status di terra distopica acquistato dall’Italia in virtù di questi fattori, l’impressione è che si sia finalmente arrivati al redde-rationem o per meglio dire al momento in cui tutti i nodi vengono al pettine….. anche se su una testa fondamentalmente pelata come è quella del leader del PDL. So che lo troverà (è un imperativo categorico del berlusconismo), ma mi incuriosirebbe sapere dove Silvio Berlusconi cercherà il coraggio per fare campagna elettorale nel prossimo futuro. La retorica giornalistica a collante invece non serve, o almeno non serve più, così come non hanno più senso le similitudini con il raddrizzamento della Concordia; a differenza di ciò che sta accadendo con il sistema-Paese quell’operazione, mercé l’input straniero, è infatti riuscita.
Straordinarie anche le dichiarazioni del senatore Sandro Bondi lette sul Corriere della Sera di quest’oggi. Il senatore PDL avrebbe infatti detto che: “… le cose che facciamo sono cose forti, ma noi le facciamo perché vogliamo bene a Berlusconi. Mi creda, davvero: questa è una vicenda dove la politica si intreccia con la riconoscenza, l’affetto con la condivisione dei valori”. Quale Politica? E come può parlare così un senatore di una moderna repubblica democratica? Sta forse dicendo che la riconoscenza personale che giustamente un uomo politico deve al suo leader di Partito è più forte della lealtà (intesa, in senso lato, quale perfetta coscienza del miglior interesse nazionale), dovuta al Paese che va rappresentando e paga il suo stipendio?
Se così fosse sembrerebbe che nottetempo la bistrattata Repubblica parlamentare italiana si sia trasformata nell’ottimale principato auspicato da Niccolò Machiavelli, o giù di lì. Peccato però che dai segretari di partito fino all’ultimo portaborse, questi tempi politici moderni e i loro rappresentanti sembrerebbero mancare degli attributi che a ben guardare invece abbondavano nel Bel Paese proprio mezzo millennio fa: “Sendo invitato a cena da Taddeo Bernardi lucchese, uomo ricchissimo e splendidissimo, e, arrivato in casa, mostrandogli Taddeo una camera parata tutta di drappi e che aveva il pavimento composto di pietre fine, le quali, di diversi colori diversamente tessute, fiori e fronde e simili verzure rappresentavano, ragunatosi Castruccio assai umore in bocca, lo sputò tutto in sul volto a Taddeo. Di che turbandosi quello, disse Castruccio: – Io non sapevo dove mi sputare che io ti offendessi meno. (da La vita di Castruccio Castracani da Lucca)”.
Featured image, Niccolò Machiavelli.