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Primo dicembre: inizio dell’attesa…

Da Nuvolesparsetraledita

Primo dicembre: inizio dell’attesa…

 Primo dicembre, tempo quasi di primavera.

Il cielo azzurro –   solcato appena dalla bianca scia di un aereo che corre ad incrociarne un altro dalla parte opposta –  non ha nubi. Brilla verso ovest la luce del tramonto, d’oro, e brillano le foglie del lauroceraso lavate stanotte dalla brina. Il vento di scirocco passa tra le foglie dei rari sempreverdi, spaventa gli arbusti bassi, piega i lunghi rami del salice … ma è caldo, e gli uccelli di macchia si lasciano trasportare pigolanti in un breve sollievo.

Hai aperto il balcone, steso qualche abito  lavato stamattina, profumato ancora; hai guardato gli ultimi raggi di questo sole inatteso contro il muro della casa: sembra d’oro anche l’intonaco sbiadito. Non ti stringi infreddolita nelle spalle, non ricerchi il calore del termosifone, non vai e vieni per le stanze senza senso apparente: presto – presto! – la casa si riempirà di nuovo e ci saranno frasi e discorsi, ci saranno parole urlate, richiami sussurrati, scalpiccio di passi, il disordine vivo di chi abita i luoghi.

Sei uscita ed hai messo le prime luci di Natale sul balcone – si vedranno di lontano – e stasera le accenderai; in casa vi saranno le candele rosse dal profumo di bosco. Non importa se è presto, non importa se si fa sera ed il freddo comincia a mordere: chiudi le imposte, sbarra porte e finestre così potrai vedere più lontano.

 Primo dicembre, inizia l’attesa, ed il cuore è già colmo, è già felice.

Muriel Mesini - Abecedario - Lettera D - Serigrafia

Muriel Mesini, come sempre qui

Dicembre

Tristi venti scacciati dal mare
agitavano la città notturna.
Da nere gole aperte tra le case
rompevano, invisibili
ombre, con schianti ed urla; ..
si gettavano per le vie deserte,
ferme nel bianco gelo dei fanali,
urtavano alle porte
sbarrate, s’abbrancavano alle morte
rame d’alberi; dolenti,
scivolavano lungo muri lisci,
dileguavano via,..
Ora mi sporgo all’attonita pace
della grigia mattina: tutto tace.
Il gran cipresso assorto, col suo verde
strano, nell’alta luce. Un coccio lustra
tra la terra bruna dell’ orto.
Non c’è voce umana,
grido d’uccello, rumore di vita,
nell’aria vasta e vana.
C’è solo una colomba
tutta nitida e bionda,
che sale a piccoli passi la china
d’un tetto, su tappeti
fulvi di lana vellutata, e pare
una dolce regina
di Saba
che rimonti le silenziose scale
della sua fiaba.

Diego Valeri


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