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Prisoners

Creato il 12 novembre 2013 da Arpio

prisonersCi sono quei film che ti dipingono un perfetto ritratto di un Paese. Che sia l’Italia, che sia l’America o il Giappone, esistono pellicole che ci fanno immergere in quella precisa cultura. Una volta qualcuno disse di un film di Fellini ambientato a Roma, che solo chi non è romano riesce a cogliere Roma. Stessa affermazione è stata poi girata anche a Sorrentino in occasione del suo La Grande Bellezza. Serve qualcuno di esterno, quindi, per cogliere quei particolari che agli autoctoni sembrano “normalissimi”, ma che danno un’idea ben precisa della cultura di una nazione o di una città. E così arriva dal Canada il regista Denis Villeneuve, che per il suo esordio hollywoodiano sceglie una sceneggiatura propostagli dalla Warner su un kidnapping-movie, un film sui rapimenti, e grazie a questo mette in luce l’America e la sua cultura.

La storia parte da due famiglie riunite per il giorno del Ringraziamento. Due famiglie praticamente identiche sotto il punto di vista genealogico: marito, moglie, figlio/a adolescente, figlia piccola sui 6 anni. Alla fine del pranzo le due bambine non si trovano più, dopo qualche ricerca infruttuosa viene allertata la polizia, che da il via alle ricerche e in poche ore trova un sospettato. La soluzione al caso, però, non sarà così semplice e il detective assegnato al caso (Jake Gyllenhaal, con un taglio super anni ’90) dovrà indagare su più fronti se vuole raggiungere dei risultati. Una storia all’apparenza semplice, che si andrà mano mano complicando e ritorcendo, come un labirinto. Parola usata non a caso, visto che il labirinto è al centro di tutto: è uno degli indizi che più stresseranno la polizia ed è l’esempio presto dal regista per intrecciare la storia come se ci si muovesse all’interno dello stesso.Oltre alla storia di rapimento, però, Villeneuve aggiunge quei particolari di cui si parlava prima. L’America, ce lo hanno spiegato i Cohen, non è un paese per vecchi, ma questo film ci dice che non è neanche troppo adatto ai bambini. Fra rapimenti insoluti da anni, gente schizzata che gira liberamente per le strade e scantinati angusti, l’America viene inquadrato come luogo “pericoloso” per i bambini sin dai primi momenti del film, quando una delle due bambine che verranno rapite dice di aver perso il suo “fischietto d’emergenza”, cosa che in Italia o in Europa non credo si sia mai vista. Se ci pensate bene, poi, sono tantissimi i film in cui negli scantinati delle case avvengono le cose più turpi. Pensate a Non aprite quella porta o a La Casa, ma anche ai molti casi di cronaca reale americana, dove cadaveri o gente rapita viene ritrovata negli scantinati della gente.

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Insieme a questo Villeneuve ci mostra anche dell’altro. Ci fa vedere come un padre possa accanirsi nella ricerca della propria bambina, fino a spingersi oltre i confini che da sempre si era imposto, passando così dalla parte dei cattivi. Ci mostra i fallimenti delle strutture di sicurezza come la polizia, temperati da un detective così devoto al suo lavoro da sacrificare la sua vita privata pur di portare a termine un indagine.
I toni scuri, uggiosi e tetri del film ci accompagnano in un viaggio all’insegna dell’angoscia e dell’ansia, che si alzano dopo pochi minuti dall’inizio e mantengono alta la tensione fino al finale, anche se c’è da dire che le due ore e mezza non aiutano troppo a mantenere l’attenzione e alcune scene potevano essere benissimo velocizzate. Pur considerandolo però un bel film, non posso che chiedermi perché molte recensioni che leggono on line tendano a spacciarlo come un capolavoro. Ok, è davvero ben scritto e ben girato, ma se uno non tiene il cervello in stand by per tutta la durata del film, sono convinto che riesce a ipotizzare la conclusione già a 3/4 di pellicola. La storia si fa apprezzare e gli attori anche, ma rimane un gran bel film, niente di più.



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