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Prospettive. I fotografi che hanno fatto la storia della fotografia. Omaggio di parole a Lauren Simonutti

Creato il 11 novembre 2014 da Wsf

“La pazzia spoglia le cose al loro nucleo e in cambio offre la possibilità occasionale di vedere cose che non ci sono. Il problema della pazzia è che si sente arrivare, ma quando dici alla gente che pensi che stai impazzendo nessuno ti crede”.

Lauren Simonutti

Esplorazione inquietante e onesta di una travagliata vita interiore. Lauren Simonutti si è spenta in silenzio il 19 Aprile del 2012. Attraverso la sua fotografia buia, surreale ed emotiva, Lauren ha affrontato l’isolamento della schizofrenia, come fosse una terapia.
Nata nel 1968 a Morristown, NJ (USA), Lauren Simonutti si è laureata presso l’Università delle Arti di Philadelphia nel 1990.
La malattia mentale non è qualcosa di facile comprensione. Raramente si incontra una persona veramente afflitta da questo genere di malattia che possa spiegare e descrivere la sua situazione.
Le immagini di Lauren evocano demoni, creando sotto mondi carichi di particolari simbolici. Fotografie che documentano la narrazione visiva di una situazione inattesa e devastante. Raccontano la paura, il mistero, l’inspiegabilità. Nel 2006, Lauren E. Simonutti cominciò a sentire tre voci distinte nel suo orecchio destro, lo stesso orecchio che aveva perso l’udito alcuni anni prima. Dopo numerosi ricoveri e diagnosi errate, la sua malattia prese nome e gli vennero assegnati alcuni farmaci tali da permettergli fasi di chiarezza.
Immagini in pellicola di grande formato, stampate a contatto e selettivamente sbiancate con i pennelli, scritte e graffiate sul foglio di stampa. Le diverse voci che affollavano la sua testa si riflettono nell’ossessione di auto ritrarsi in diversi personaggi, ambigui e carichi di sofferenza.
La stanza di Baltimora, a seconda delle differenti foto risulta completamente diversa. Gli specchi, le tende, gli scaffali sembrano prendere vita e diventare parte di un racconto oscuro, ma intensamente affascinante.

Patrizia Calcagno

Schizofrenia. Giammai di Patrizia Calcagno

Nessuno ha tempo per offrirtene un spicchio. Tutti scappiamo, frettolosi, da un posto ad un altro, per giungere a fine giornata con il completamento della nostra routine. Eppure, paradossalmente, di tempo ne perdiamo un sacco già nel momento in cui pigiamo con il nostro indice sull’ icona di FB o di Whatsapp. Ci si lamenta che non abbiamo tempo e nel frattempo, finiamo per perdere ore senza aver concluso quello che si stava facendo e rosicandosi le unghie per aver rinunciato ad un’ azione che avrebbe giovato al nostro spirito. Che mente contorta che abbiamo noi umani! C’è chi nemmeno si pone il problema e reputa normale il lamento simile alle piangenti donne durante un rito funebre. C’è però anche chi finisce per isolarsi desolandosi di tanta solitudine pur in mezzo alla gente. Tutti uniti, perennemente a contatto con i social, disponibili a donarti “like” sotto foto e stati che lontanamente abbozzano il tuo stato d’ animo. Purtroppo però, nessuno ha tempo per chiamarti e chiederti se hai bisogno di una mano nel risolvere una situazione. E la mano in questione consta di 5 dita che non litigano per chi per primo dovrà supportarti con un “like” perché si sa già, vince sempre il pollice. Piuttosto, la mano precedentemente citata è collegata ad un braccio e, per di più, ha la sua simmetrica corrispettiva, pronta nell’ eventualità ad avvolgerti in un abbraccio vero, caloroso, che trasmette qualcosa.
Evanescenti pensieri desiderosi svaniscono con un suono che non ha nulla a che vedere con rilassanti pezzi di Debussy ma… un’ odiosa notifica di un “amico” che ha postato sotto una tua frase ” allegria, portami via”. Ecco che pian piano, al tuo fianco cominciano ad ergersi figure da contorni sfumati, finendo per concederti un abbraccio. Si raggiunge una fusione unica che finisce per dar senso e voce al tutto. Nell’ aria qualcuno prende parola: ” Piangi, cara. Grida, se vuoi! Non sei tu la pazza che cerca di capire perché la società si sta spogliando da ogni emozione per potersi riscaldare con succinti abitini firmati. Una griffe vale molto di più di un sorriso, una parola dolce dettata dal cuore. Suvvia, siamo nell’ era del tecnologico, della modernità, dell’ apparire. A chi vuoi che interessi il tuo malessere interiore? Test online consigliano, se sei probabilmente affetto da depressione, di piangere prima di truccarti e prima di uscire di casa, così da non destare il benché minimo sospetto che tu sia… sia…” “No, non dirlo! Io non sono triste, sola e depressa. Giammai.”
Una piccola riflessione in merito alle immagini parlanti, seppur senza didascalie verbali, di Lauren E. Simonutti, una fotografa statunitense che ad aprile si è spenta, logorata dalla malattia più omertosa del XX secolo: la schizofrenia. Una parola che tutti conoscono e che nessuno pesa il significato contenuto all’ interno. Purtroppo è devastante; corrode l’ animo ancor prima di avere la possibilità lucida di chiedere aiuto, seppur invano. Le immagini di Lauren evocano demoni e narrano di una situazione inattesa e tristemente accolta. Raccontano la paura, il mistero, l’ inspiegabilità. In seguito a diagnosi errate, la sua malattia prese nome e gli vennero assegnati alcuni farmaci tali da permettergli fasi di chiarezza; quella utilizzata per “costruire” i suoi scatti, in modo tale da mostrare a tutti cosa significhi vivere contornata da voci, figure, vicoli ciechi.
Ebbene, queste malattie ci sono e sono difficili da curare. Seppur gli studiosi andranno avanti e adotteranno metodi sempre più efficaci ed efficienti,un malato cronico affetto da schizofrenia non potrà più recuperare quello che era un tempo. Grazie a terapie farmacologiche, gruppi di sostegno, psicologi e psichiatri riuscirà ad attenuare i suoi sintomi,alcuni con il tempo risulteranno essere impercettibili ma … La malattia non andrà mai via del tutto. Il pazzo,il folle o come si voglia chiamarlo,imparerà a conviverci, ad accettare alcuni comportamenti, ad ignorarne altri ed a lottare per riprendere un posto nella società che tanto l’aveva fatto sentire emarginato. Si troverà in mezzo ad altri e non darà peso alle “forme” che egli aveva rifiutato. Probabilmente egli sarà in grado di vivere attraverso piccole soddisfazioni quotidiane che gli ridaranno in mano la propria identità, autostima e giusta considerazione di sé. Colui che prima era un malato,ora riuscirà a dare un senso alla propria vita attraverso sogni, utopie ed ideali,con la grande abilità di muoversi in una dimensione spazio-temporale. Solo lui sarà il pilota della sua vita. Non vivrà passivamente sottostando a regole morali inculcate dalle autorità dannatamente capaci di reprimere ed imprigionare il soffio vitale, ma ascoltandosi dentro.
Come Lauren, molti altri, seppur ignoti, hanno scelto il modo migliore per affrontare il proprio dolore, evitando almeno di lasciarli consumare nella solitudine di quelle buie stanze bianche con il contrastante desiderio di spiccare il volo.
Guardiamoci dentro e fuori, poichè in questi ultimi decenni, intenti a contare soldi e fare investimenti, probabilmente abbiamo dimenticato cosa significa amare, amarsi e vivere rapportandosi con gli altri attraverso emozioni.

Carmen Morisi

togliamo le cornici
sono volati i prati

disabitata
ci coglie la ragione
a setacciare odori

togliamo le cornici
sono scappati i fiori

il giorno ripara di luce nel sonno sfinito
un umore qualsiasi increspa il suono
dove hai posato la vita – dove ?

*

forse
sono morta
quella volta lì
forse sono morta
è stato un sorso

e ancora sono
in un respiro spazio
annego ogni giorno
affogo fiato

di Carmen Morisi

Emilia Barbato

Variazione 4 di Emilia Barbato

Se il tempo non è che una
realtà psicologica
attraverso cui quantifichiamo
il cambiamento,
e la vita e la morte
due semplici eventi, la poesia
è necessariamente
occhio e misura della perdita.

Guido Mura

Per quale colpa siamo prigionieri?
Da quale cielo esclusi
nel nostro inferno
costellati di stigmi
aspiriamo la vita lentamente
con il dorso d’insetto
verniciato di noia
assenti alla spinosa
venustà di una rosa
Non conosciamo l’aria
non odoriamo il vento
dalla finestra aperta su caverne
lastricate di sogni
ci affacciamo nel buio dell’infausto
avanzare del tempo

Fiori secchi – penombra
riposiamo le spoglie
d’intonaci scrostati
senza fuga di cani abbandonati
senza padrone
sognando falso miele
indoviniamo prati
oltre il muro al di là
e serene distese di trifogli
nutrite di farfalle

di Guido Mura

Michela Zanarella

SILENZI IMPERFETTI (a Lauren Simonutti) di Michela Zanarella

Silenzi imperfetti, una follia che spinge
e spaventa l’aria che respiro.
Le ore chiuse in un materasso
sono il recinto delle mie angosce
nascoste come croci
nelle pieghe di un lenzuolo
che chiama l’inferno.
Conservo nei timpani
l’eco della notte
che è inganno e dolcezza,
ambiguo dolore
ad un delirio che dirama.
Cedo al diluvio d’ombre
che mi perseguita
e aspetto la solitudine
sfiorando la morte e la vita
come un alfabeto disumano.

Rosaria Iuliucci

[ r a p i d a m e n t e ] di Rosaria Iuliucci

Perchè mai mi trattieni dalla follia ?
Io che al varco ti aspetto da sempre con un corpo che si fa commiato di attese , con le stesse procedure di una notte che affonda se stessa , senza precipici eppure con un alluvione di sensazioni che delira da dentro d’ un argento che taglia netta la parola .
Perchè mai mi trattieni dalla posa del dolore ?
Io che senza diffidare mi sono aperta in due per farti essere mia carne , mie ossa , mio figlio .
Per farti essere quel dipinto vitale nascosto dietro agli occhi miei , e ora tuoi , come un vetro che non assorbe più neanche la polvere del tempo , e non si lascia baciare che dal pianto di un cielo terso .
Non negarmi questa morte .Non privarmi della liturgia delle preghiere .
Ripida è la lingua in questo percorso di cemento che mi abbraccia nelle ore più fredde dell’ inverno .
Rapida sono io nell’addentare l’ultimo schizzo d’aria presente in questa vita che mi chiude dentro in casa casa dall’amore spento .

Rosario Campanile

La tua gamba.
Quella netta e pulita, con le dita dei piedi nella sera.
Quella maltrattata dal tempo, corrosa dalla ferocia della vita che abbandona.
La sordida ossidazione che aggredisce il centro esatto del diaframma, che annuncia un conto alla rovescia in cui i numeri sono a una sola cifra; disadorna torna a essere arto, senza direzione.
Il tallone scurito nel punto che sopporta le vendette quotidiane del tacco, la pianta morbida e curva nell’esercizio della Milonga, quell’asciugamano che ripara le storture del giorno.
La pietà stessa dell’ambiente che accoglie il passaggio, le macchie diffuse che partono dal tuo ventre aprendosi fino alle pareti, in un umido carnevale, la venere di Milo destinata all’amputazione.
Quel punto di confine e di contatto, il livido sul ginocchio. Due stanze separate e contigue, tutto confuso se lo sguardo scorre veloce, ricerca affannata di un appiglio che tenga fisso l’attimo. La Morte, la Vita, si guardano in faccia, entrambe conoscono il vincitore.
Ossimoro e Sinonimo si annientano a vicenda, il tallone stesso è quello d’Achille, in attesa della freccia che lo ricongiunga a Patroclo.
Pietà si grida, pietà, amore, pietà, madre, pietà,figlia.
Il mio è stato un breve passaggio, eterno per chi invano mi attese.

di Rosario Campanile


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