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Pulmino 19 (prima parte)

Da Nubifragi82 @nubifragi

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Dopo il bombardamento la strada è ridotta ad un campo di patate. L’ultimo bombardamento risale però a sette decenni or sono. Se le strade sono in queste condizioni non si può incolpare gli stranieri, sebbene, sostiene Mario, i tedeschi in un modo o nell’altro le loro colpe le hanno sempre. “Chi comanda in Europa? La guerra la fanno con i marchi, mica più con i mitra, cosa ti credi?” sostiene, condensando così una ventina di anni di storia economica e frasi da bar. Guerra o pace, la strada è terribile. Buche, venature dell’asfalto, fossi e dossi. Già, dossi artificiali, dissuasori. “Perché?” chiede Mario “Perché?” E allora ci mette in mezzo la moglie del Sindaco, che sicuramente non è tedesca, ma a sentire Mario è assai generosa e allora perché no, perché non immaginare la fedifraga innamorata del meccanico a tal punto da favorire in ogni modo gli incontri con l’amato. “Ancora gli ammortizzatori, Signora?” insinua l’uomo dei motori con la voce di Mario. “Controlliamo pure il pistone come l’altra volta?”
Mario ride. Bottecchia sorride. Vorrebbe ridere, a dire il vero, ma ritiene di dover porre un limite a tutto ciò. “Mario, pistoni o no, l’obiettivo dei dissuasori di velocità con te non può che fallire” dice. E’ tutto uno sferragliare all’interno del pulmino 19. A Mario non interessa molto di quanto succede alle sue spalle. A dire il vero, non gli interessa nemmeno cosa avvenga davanti a sé. E’ colpa di quella merda di ripetitore nuovo, dice Mario, che bisogno c’era di cambiare quello precedente che funzionava così bene. Da quando la giunta ha cambiato il ripetitore non c’è più verso di prendere Radio Zeta, sostiene Mario e apostrofa i colpevoli, infarcisce menzogne su le di loro madri e consorti, declina epiteti degni di bettole di altri tempi e altri luoghi. Infine lancia l’accusa “Mazzette. L’azienda gli ha detto: tu mi fai fare il lavoro e io ti do i soldi. Funziona così. E’ così dappertutto, te lo dico io” Mazzette e donne di facili costumi. Il piccolo mondo antico riverberato nei secoli dei secoli.
La Signora che attraversa le strisce pedonali con l’ombrellino viola si è vista lo specchietto retrovisore del pulmino a cinque centimetri dal naso aquilino. La Signora protesta, ferita nel suo profondo senso civico. Mario consiglia un’ombrelliera dove nessuno potrà rubare il grazioso ombrellino viola. E quindi ride e cerca l’approvazione degli astanti, ma poiché nessuno lo sostiene, ribadisce il concetto. Una grossa buca provoca lo sferragliare acuto della pedana per la discesa delle sedie a rotelle e nessuno ha dovuto udire nuovamente di ombrelli defloranti e ombrelliere interne.
“L’è forte Mario eh?” Evidentemente c’è chi ha voluto udire. “Eh? Oh? Oh Bottecchia, l’è forte o no Mario?” chiede nuovamente Fangio.
Bottecchia guarda fuori dal finestrino. Non si azzarda ad avvicinarvi la testa, potrebbe incrinare vetro e cranio alla prossima difformità stradale. L’ultima volta che è successo non si è riusciti a calmare Fangio finché non è smontato davanti a casa. E la madre che chiedeva che ne avessero fatto del figlio, che quasi non respirava. Ha riso così tanto da assumere un aspetto cianotico, Signora. “E’ scemo” aveva pensato Mario.
Con grande flemma Bottecchia si voltò verso Fangio, la mano destra a massaggiare il collo prostrato dalle frustate degli ammortizzatori. “Ti sta simpatico Mario?” gli chiede.
“Tanto, tanto simpatico.” Fangio ha occhi di ghiaccio, capelli castani in perenne disordine e una giacca a vento blu chiusa fino al mento, in modo da stringere tra i denti la linguetta della cerniera. Fangio guarda in due direzioni soltanto: talvolta verso i suoi piedi e l’altra verso gli occhi di chi gli parla. Fissa l’interlocutore con quelle biglie celesti, la linguetta della cerniera tra i denti, sembra esigere una risposta, ma se non la riceverà sarà lo stesso, tornerà a fissare le sue scarpe da tennis dopo qualche secondo. Ogni tanto guarda fuori dal finestrino, ma quel mondo che scorre frenetico gli fa venire le vertigini e allora torna a fissare i piedi. “Anche tu sei simpatico Bottecchia” Bottecchia sorride sincero. “Grazie Fangio, sei gentile” risponde. Quindi si allunga e gli batte un colpetto sulla spalla con la mano sinistra.
“Bottecchia”
“Dimmi Fangio”
“Bottecchia” Fangio rimane in sospeso. Porta gli occhi su Bottecchia che non lo sta osservando e continua “Bottecchia, me la regali la maglia arancione?”
Bottecchia sbuffa. “No Fangio, non cominciare con la solita solfa, niente maglia arancione.”
“Perché no?”
“Perché mi serve per il lavoro”
“Che lavoro?”
“Questo, Fangio. La porto ora evidentemente lavoro ora, no?”
“E che lavoro è?”
“Fangio, fai troppe domande. Riposati un po’. Non sei stanco. Hai detto che hai fatto matematica, oggi. Non ti hanno stancato tutti quei numeri? Non hai fame?” Così dicendo Bottecchia guarda la sua pettorina arancione con due bande fosforescenti all’altezza del petto. E’ un po’ sporca, pensa. Domani, sabato, la laverà senza dubbio.
Spazza con la mano destra la parte sinistra della pettorina. Un lavaggio mentale, si direbbe. Con piglio decisionale si guarda attorno e digrigna i denti. Mario, al volante, canta di primule e amori nei boschi fioriti ai tempi di Eisenhower. Sono rimasti soltanto Fangio e Campari da portare a casa. Lui e Fangio sono seduti nei due sedili posti alla stessa altezza, separati da mezzo metro di corridoio. Dietro a loro i due rimanenti sedili del pulmino 19 sono vuoti. Davanti, dietro alla cabina di Mario, con le spalle a lui rivolte, Campari osserva Bottecchia con gli occhi mezzi chiusi. Campari è una felce e gli sbalzi del pulmino il vento che la percuote. Il corpo asseconda il movimento imposto, ondeggia e si flette. Ma come la felce è ancorata al terreno, Campari è bloccato con due cinghie alla carrozzina e la carrrozzina stessa è bloccata a terra per evitare che il povero finisca contro la pedana davanti a sé anzitempo.
L’ultima buca ha fatto traboccare il vaso. Un rivolo di saliva scende dalla bocca socchiusa di Campari, si spinge fino al mento e forma una piccola stalattite che si allunga come un elastico e va ad adagiarsi sulla manica del giubbotto. “Cazzo, Mario, se vedi una striscia giallo e nera sulla strada te schiaccia, mi raccomando” Fangio ride, Bottecchia lo guarda e vorrebbe chiedergli se davvero questa l’ha capita, ma si trattiene quando il fiato è ormai emesso. Ne esce un aborto di parola a cui Fangio replica “Eh?” e Mario, che nonostante le canzoni di primule e camporelle di Degasperiana memoria ascolta tutto ciò che avviene sul suo pulmino, urla “Puppa Fangio! Puppa”. Fangio ride. Vai a capire perchè, pensa Bottecchia, e infila una mano nella tasca del giubbotto di Campari estraendone un fazzoletto con un bell’orsacchiotto con cuoricino sul petto la cui dolce testona non è disponibile in quanto schiacciata tra lembi di fazzoletto cementati dal moccico. Bottecchia frena una parvenza di conato quando è ormai all’altezza della laringe, ma l’ennesimo colpo, una buca enorme si suppone dallo sferragliare tremendo della pedana, gli spinge parte del conato nella bocca. Il travaso di bile costringe Bottecchia ad una smorfia. Rimette il fazzoletto con il povero orsacchiotto dalla testona maciullata nella tasca del giubbotto di Campari ed estrae uno dei suoi fazzoletti di carta. Anzi, due. Uno per sé e uno per Campari.
Mario impreca. Bestemmia. Un rumore strano viene dalla parte posteriore del mezzo, un rumore che ricorda il vorticare delle pale di un elicottero, un rumore accompagnato da un tremolio che da quella parte si propaga a tutto il veicolo. “Abbiamo bucato?” chiede Fangio. E Bottecchia, che a quell’eventualità non aveva nemmeno pensato, dice “Cazzo” mentre termina di ripulire il mento di Campari. “Cazzo” ripete. Getta il fazzoletto a terra con stizza e si volta verso la parte incriminata del mezzo. Come se si vedesse qualcosa. Guarda verso Mario, chiede conferma, la riceve, sbuffa, impreca e simula un pugno sul finestrino. Campari lo osserva. “Tutto a posto, Campari” dice Bottecchia. E gli stringe velocemente la mano. Quindi guarda fuori dal finestrino. Quartiere San Damiano, periferia est della città. Un piccolo spaccato di anni ottanta nella città salotto, diceva un articolo sul quotidiano locale giusto qualche giorno prima. Dove l’eroina è tornata di moda, riportava il sottotitolo. Ma questo Bottecchia, che non è di quella città e non legge quel quotidiano, non può saperlo.



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