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Lettera a un bambino mai nato, di Oriana Fallaci

Creato il 07 giugno 2015 da Valeria Vite @Valivi92

Lettera a un bambino mai nato, di Oriana Fallaci“Povera cara: hai scoperto che pensare significa soffrire, che essere intelligenti significa essere infelici. Peccato che ti sia sfuggito un terzo punto fondamentale: il dolore è il sale della vita e senza di esso non saremmo umani.”

Siamo nel 1975, un periodo di manifestazioni e contestazioni, tre anni prima che, nel 1978, l’interruzione volontaria di gravidanza diventasse legale in Italia. Il direttore dell’Europeo Tommaso Giglio incarica Oriana Fallaci di realizzare un’inchiesta sull’aborto in quattro mesi, carta bianca sui contenuti. Dopo sei mesi la Fallaci consegna al posto dell’inchiesta un libro, Lettera ad un bambino mai nato. Il direttore non le rivolge la parola per quindici giorni, ma l’opera fu un successo.

Si tratta di un romanzo piuttosto sottile, di appena un centinaio di pagine, costituito da un lungo monologo che una donna incinta dedica a suo figlio. La protagonista si rivolge al bambino essenzialmente per dargli dei consigli sulla vita con un linguaggio estremamente semplice, eppure le sue parole racchiudono perle di infinita saggezza sulla vita, la morte, la gravidanza, la famiglia, la condizione femminile, la religione e molto altro ancora. Pur apprendendo moltissimo sulla concezione del mondo e la morale della narratrice, non sappiamo nulla sul suo conto perché la Fallaci omette ogni indicazione spazio-temporale: non conosciamo il nome della donna, la sua età, l’anno in cui è ambientata la vicenda e i luoghi in cui vive e in cui si reca nel corso della storia; lo stesso vale per gli altri personaggi del romanzo. Tali informazioni vengono omesse perché, essendo già note alla protagonista, sono scontate in un dialogo interiore, oppure in quanto insignificanti per il narratario, un feto che ancora non conosce le caratteristiche delle persone che vivono nel mondo.

I rapporti con il padre del bambino, il datore di lavoro e i medici non sono semplici, ma la protagonista affronta le difficoltà con tenacia ed è decisa ad intraprendere un viaggio di lavoro nonostante la gravidanza abbia presentato delle complicazioni, in quanto convinta che una madre non debba rinunciare alla sua vita per il proprio figlio. Come preannunciato dal titolo, il bambino non nascerà mai, infatti un aborto spontaneo interromperà la gravidanza. La narratrice sognerà un processo in cui i vari personaggi del libro la giudicheranno colpevole dell’aborto o la assolveranno, il verdetto finale sarà che tutti i giudici, dal più severo ai difensori della donna, avranno ragione poiché ogni loro opinione ha un fondamento di verità. Il libro si conclude nella sofferenza della donna che, incapace di espellere naturalmente il feto morto, viene sottoposta ad un’operazione chirurgica.

La protagonista dell’opera ha molte caratteristiche in comune con Oriana Fallaci: sono entrambe donne nubili, lavoratrici spesso in viaggio per affari (la narratrice sembrerebbe proprio una giornalista che viaggia negli USA), ribelli e determinate, amano pensare con la propria testa, intrattengono relazioni extraconiugali con degli amanti. Ne consegue che il lettore sarà portato a domandarsi se Oriana Fallaci abbia mai avuto un aborto, e se il racconto sia autobiografico, o almeno questo è quanto è accaduto a noi di Acqua e limone e ad una nostra conoscente che ha letto il libro. Oriana Fallaci ebbe due aborti spontanei, il secondo dei quali fu fondamentale per la stesura di Lettera ad un bambino mai nato.

Il romanzo è impregnato di sano e genuino femminismo (Oriana Fallaci rivolgerà aspre critiche alle femministe in La rabbia e l’orgoglio, ma in quest’opera sono presenti delle affermazioni decisamente femministe), infatti sin dalle prime pagine troviamo degli splendidi passi dedicati alle donne:

“Se nascerai uomo, ad esempio, non dovrai temere d’essere violentato nel buio di una strada. Non dovrai servirti di un bel viso per essere accettato al primo sguardo, di un bel corpo per nascondere la tua intelligenza. Non subirai giudizi malvagi quando dormirai con chi ti piace.”

“Sarai un uomo o una donna? Vorrei che tu fossi una donna. Vorrei che tu provassi un giorno ciò che provo io: non sono affatto d’accordo con la mia mamma la quale pensa che nascere donna sia una disgrazia. La mia mamma, quando è molto infelice, sospira: «Ah, se fossi nata uomo!». Lo so: il nostro è un mondo fabbricato dagli uomini per gli uomini, la loro dittatura è così antica che si estende perfino al linguaggio. Si dice uomo per dire uomo e donna, si dice bambino per dire bambino e bambina, si dice figlio per dire figlio e figlia, si dice omicidio per indicare l’assassinio di un uomo e di una donna. Nelle leggende che i maschi hanno inventato per spiegare la vita, la prima creatura non è una donna: è un uomo chiamato Adamo. Eva arriva dopo, per divertirlo e combinare guai. Nei dipinti che adornano le loro chiese, Dio è un vecchio con la barba: mai una vecchia coi capelli bianchi. E tutti i loro eroi sono maschi: da quel Prometeo che scoprì il fuoco a quell’Icaro che tentò di volare, su fino a quel Gesù che dichiarano figlio del Padre e dello Spirito Santo: quasi che donna da cui fu partorito fosse un’incubatrice o una balia. Eppure, o proprio per questo, essere donna è così affascinante. E’ un’avventura che richiede un tale coraggio, una sfida che non annoia mai. Avrai tante cose da intraprendere se nascerai donna. Per incominciare, avrai da batterti per sostenere che se Dio esistesse potrebbe anche essere una vecchia coi capelli bianchi o una bella ragazza. Poi avrai da batterti per spiegare che il peccato non nacque il giorno in cui Eva colse una mela: quel giorno nacque una splendida virtù chiamata disubbidienza. Infine avrai da batterti per dimostrare che dentro il tuo corpo liscio e rotondo c’è un’intelligenza che urla d’essere ascoltata. Essere mamma non è un mestiere. Non è nemmeno un dovere. E’ solo un diritto fra tanti diritti. Faticherai tanto ad urlarlo. E spesso, quasi sempre, perderai. Ma non dovrai scoraggiarti. Battersi è molto più bello che vincere, viaggiare è molto più divertente che arrivare: quando sei arrivato o hai vinto, avverti un gran vuoto. E per superare quel vuoto devi metterti in viaggio di nuovo, crearti nuovi scopi. Sì, spero che tu sia una donna: non badare se ti chiamo bambino. E spero che tu non dica mai ciò che dice mia madre. Io non l’ho mai detto… Il cuore e il cervello non hanno sesso. Nemmeno il comportamento. Se sarai una persona di cuore e  di cervello, ricordalo, io non starò certo tra quelli che ti ingiungeranno di comportarti in un modo o nell’altro in quanto maschio o femmina. Ti chiederò di sfruttare bene il miracolo d’essere nato…”

Il finale tuttavia lascia insoddisfatti i lettori che si aspettavano un trionfo del femminismo e della liberalizzazione dell’aborto perché nel processo immaginario la protagonista accetta il punto di vista di tutti gli accusatori, compreso il medico conservatore che lottò per la sopravvivenza del feto a scapito delle necessità della madre. Credo che il personaggio del medico rappresenti, più che l’opinione contraria all’aborto, la volontà di portare a compimento la gravidanza nonostante ogni complicazione, una vocazione che è presente in tutte le donne, comprese quelle che scelgono di rinunciare al bambino che portano in grembo. L’aborto dopotutto è una scelta difficile e combattuta, nessuno sospende la gravidanza con leggerezza e senza un certo rammarico. Non ci sono dubbi che Oriana Fallaci partecipò attivamente al dibattito sull’aborto prima del 1978 ed era favorevole all’emanazione della legge italiana sull’interruzione volontaria della gravidanza.


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