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Quadernini di traduzione: Lucas, le sue esperienze cabalistiche* (di Julio Cortázar)

Creato il 17 settembre 2010 da Fabriziogabrielli
Tutto comincia da un amico che ogni dieci parole si ferma di botto e studia ciò che ha detto Lucas e comincia a rigirare le parole e le frasi come fossero guanti, occupazione ripugnante per Lucas, ma che vuoi farci se l'altro lì per lì estrae ròbe come conigli dal cilindro.
Quando non è un anagramma è un palindromo o una rima interna o un doppio senso, alla fine appena Lucas dice buongiorno l'altro se la ride e quando te ne rendi conto c'è che il vento già se l'è portato via in tre tomi, meglio starsene zitti e accettare, un altro caffè e quelle cose.
Il tipo non se ne perde una, e gli racconta, a Lucas, che per lui le parole non sono che un principio, una faccia d'un poliedro vertiginoso, e se Lucas cerca di fermarlo con una delle sue risate sardoniche che sempre gli son valse l'orrore dei suoi compagni di chiacchiere al café Rubì il suo amico rilancia e gli dice stassentì, che posso farci contro quei paraventi che sembrano così piccoli là nella sala, tu stai guardando il paravento col suo disegno di risaie ed un paisà che monta un bufalo, pensi che i paraventi sono come le palpebre della casa, con quelle immagini vistose, e in quell'istante la signora di Cinnamomo gli si avvicina e lo spiega una volta e due volte e poi tre volte, il paravento si ingrandisce e le risaie si rimpiccioliscono perché adesso c'è un fiume e di colpo una città con gente che va e che viene, casette con gente che prende il tè e geishe che sembrano farfalle, a meno che non siano farfalle con un kimono. A me questo m'è sempre successo con le parole, da quando ero un ragazzino gagagà cipicipi bugnegné (smettila, interferisce Lucas, ho capito che ti riferisci all'infanzia), ma questo non è niente, vecchio, le lettere mi uscivano già fuori dalle caselle, le sigle e le iniziali, le guardavo e sbèm, dall'altro lato, supersonicamente, cose e cose e cose mentre mia zia mi dava i pizzicotti e cazzo se mi ricordo come diceva: Questo ragazzino deve essere idiota, a metà di una parola si ferma come un deficiente a guardare ne' fianche dei pomodori.
Le mie iniziali, presta attenzione, un giorno le scrivo sul quaderno di matematica perché la maestra voleva ordine e progresso nei compiti, e quando vedo G.C. paf!, il satori, vedo Gesù Cristo e sopra (o dietro, per rispetto) Gianni Cocteau. Sembra niente, ma son cose che ti segnano, ciò ch'è peggio è che quarant'anni più tardi sono a San Francisco che chiacchiero con un'amica tra due viaggi di quelli che la morale ripudia, e le racconto e questa si copre col lenzuolo perché le viene come una repulsioncella e mi domanda se oltre alle iniziali ho un secondo nome ed io le dico che sì, che me ne vergogno perché è orribile ma oltre a Giulio mi chiamo Florenzio, e allora lei tira giù una delle sue risate a crepapelle che finiscono con tutti gli oggetti sul comodino, e mi dice:
- Gesù Fottutamente Cristo!
Si comprenderà che, dopo questo, Lucas alluda alla Cabala con uno spaventoso rispetto.
[* pubblicato su Point of Contact, New York, Vol. IV, n. 1, autunno-inverno 1994]
[traduzione mia, di F.G., ma non state a sperticarvi sugl'acronimi]
[Dice la Cabala che se fai l'appello delle lettere, al numero nove ti risponde la têt, al numero sei la waw e al numero due la bêth: la têt è una t, la waw una o molto chiusa e la bêth, che non è la canzone dei Kiss, come una b molto moscia, tendente alla v.
Prova a leggerle una di seguito all'altra: danno la parola tôv che sta per "buono, bene".
Buono, bene è anche andare sul sito dei barabbaròli - in questo caso la b si legge proprio b - e scaricare Cronaca di una sorte annunciata, anche se è di venerdì, anche se è di diciassette: sarete mica superstiziosi. Affidatevi, come Lucas, alla Cabala: daunlodàrselo è "buono, bene".
E poi dentro c'è We all live in a jella submarine, ch'è una roba mia, ed io son assai felice d'esser dentro quest'ebook collettivo, se devo dirvela tutta]

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