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Quel lato oscuro di De Mauro

Creato il 15 maggio 2012 da Casarrubea

Aurelio Bruno

A. Bruno- ©  foto Nicola Scafidi

A. Bruno- © foto Nicola Scafidi

Il solo a rendersi conto in questura, quella sera del 16 settembre 1970, che la scomparsa del giornalista Mauro De Mauro del “L’Ora” non fosse, come si dice, una “bufala”, fu l’allora giovanissimo commissario del “pronto intervento” Antonio De Luca, Tony per gli amici. Tredici anni più tardi, per la cronaca storico-criminale palermitana, frattanto passato alla mobile, lo stesso si sarebbe imbattuto nelle ermetiche e confuse confidenze telefoniche di un individuo dalle molte facce, spione dei servizi segreti siriani, trafficante di droga e di auto rubate, confidente di diverse polizie, nonché malato di Aids. Era stato il “libanese Bou Chebel Ghassan fino alla vigilia della strage di Chinnici del 29 giugno 1983.

Né si può dire che nemmeno tredici anni prima  Tony De Luca fosse stato particolarmente assistito dalla fortuna. Suo malgrado, infatti, Tony da sempre tipo sveglio e “operativo”, quella sera dovette scontrarsi con l’ottimismo a qualsiasi costo, e diciamo con il complesso di sottovalutazione innato, del suo superiore diretto, il dottor Nino Mendolia, morto da prefetto a disposizione, quattro o cinque anni or sono.

Nato a Sciacca, Nino Mendolia, estroverso e amico, era in fondo un giornalista prestato alla polizia. A Padova dove abitualmente risiedeva, da giovanissimo, prima di approdare all’amministrazione dell’interno, la sua aspirazione era stata quella del cronista radiofonico (allora la televisione era ancora allo stato sperimentale) e sulla spia di questa aspirazione era riuscito ad intrupparsi come portatore di “Nagra” (l’antenato del registratore) nella squadra del mitico Nicolò Carosio, come aiuto cronista sportivo estendendo la sua smania di arrivare fino al più difficile e impegnativo settore dello spettacolo.

In tale veste era addirittura riuscito a realizzare una intervista in diretta con la sempre “divina”, anche se ormai un po’ vecchiotta, Clara Calamai, la star dal seno nudo dei “telefoni bianchi” e della cinematografia littoria di Gioacchino Forzano. Un’intervista che ebbe larga risonanza anche sulla stampa specializzata dell’epoca e di cui un giorno ci volle raccontare anche i dettagli insieme ad un’altra meritevole informazione durante la sua breve ed intensa attività di giornalista radiofonico: la trasmissione, sempre in diretta dai microfoni Rai, del secondo tempo di una partita Napoli-Triestina. Sì proprio la Triestina di serie A e degli “alabardati” guidati da quell’indimenticato personaggio del pallone italico degli anni 30-50 che fu il “patron” Nereo Rocco.

Nessuna meraviglia quindi che, allorquando la signora Elsa, comprensibilmente preoccupata per il mancato rientro del marito, si rivolse a Tony De Luca perché ne informasse il suo “capo” e Tony immediatamente riferì, la risposta fu breve e senza malizia, anche se leggermente ironica, in sintonia caratteriale con chi la diede: “Datti una calmata, Tony, sicuramente te lo troveremo domani mattina, sbronzo, in qualche fosso” . Il caso De Mauro, così, sin dal principio, nasceva sotto cattiva stella. Per un errore di valutazione.

Abbiamo l’impressione che in questi trent’anni di indagini nessuno o quasi abbia tracciato o voluto tracciare un ritratto psicologico e caratteriale del collega scomparso e nato a Foggia 47 anni prima. Perché De Mauro, se nel suo intimo, a volte aveva ombre e sfaccettature oscillanti fra il guasconesco e l’incosciente, talvolta era un tipo indecifrabile. Né spetta a chi scrive cercare di provarlo. Ma in fondo ci sembra corretto portare alla luce qualche brandello, sia pure minimo, sulla personalità di quest’uomo pieno di contraddizioni e di complessi anche per le dure vicende personali che aveva dovuto subire.

Cercheremo di farlo attraverso qualche episodio, diciamo pure emblematico del quale si è venuti a conoscenza durante la più che ventennale frequentazione professionale e anche concorrenziale con il soggetto. Militando entrambi sotto diverse “bandiere”, chi scrive alla Rai e all’Ansa, Mauro De Mauro al “L’Ora” e per tanti anni al “Giorno” di Enrico Mattei.

Per esempio, ad un amico, il dottor F.N. già portavoce di un Presidente della Regione e adesso funzionario regionale in pensione, forse in un momento di buon umore, volle raccontare in quali circostanze e come si fosse arruolato nelle fila della Repubblica di Salò. “Era passato da poco l’otto settembre e mi trovavo a Napoli, in via Caracciolo, quando la mia attenzione di giovane sfaccendato venne attratta da un gruppo di giovani che, inquadrati, cantavano a squarciagola. Non potei fare a meno di accodarmi e cantare con loro (in fondo sono un sentimentale!). Non mi resi conto che cantando cantando andammo a finire in caserma e, quando arrivammo, le porte si chiusero dietro le nostre spalle e a me fu impossibile uscire fuori. Quei giovani andavano ad arruolarsi con Mussolini e così dovetti fare lo stesso”. Questo il racconto “de relato” del giornalista scomparso.

Pensiamo però che De Mauro, forse per pudore, non abbia mai raccontato del perché dopo un breve periodo nella polizia ausiliaria di Salò, dov’era addirittura commissario, o nella Guardia Nazionale Repubblicana, fosse “trasmigrato” nei ranghi della X Mas di Junio Valerio Borghese. E sicuramente avrà intonato con i commilitoni quel ritornello citato da Gianpaolo Pansa in un suo libro e che diceva press’a poco: “Abbasso il re! Abbasso i Savoia! E noi che siamo figli di Troia, siam gli eroi della X Mas!”

Un altro show di De Mauro è datato a Lipari. Nelle Eolie De Mauro, che come è notorio amava frequentare tutti gli ambienti anche i più disparati, si era recato con un amico per incontrarsi e scambiare quattro chiacchere con l’onorevole Nino Gullotti, autorevole parlamentare della D.C., senatore e anche ministro, sia pure per breve periodo. I partecipanti all’incontro, Gullotti compreso, finirono a cena e non si risparmiarono. Tant’è che De Mauro, come faceva spesso, aveva partecipato con entusiasmo andando su tutti gli altri. E infatti, al momento della immancabile passeggiata digestiva sul lungo mare, improvvisamente, e in silenzio,  si staccò dal gruppetto dirigendosi tranquillamente verso la spiaggia vestito com’era e senza togliersi nemmeno le scarpe. Gullotti e gli altri allibiti, cercarono trattenerlo invano.

Imperterrito De Mauro continuò ad avanzare fino a quando l’acqua non gli arrivò a mezza gamba. Improvvisamente si bloccò ma non per tornare sui suoi passi. Ma perché la sua attenzione di bagnante “al chiar di luna” era stata attratta da una fila di lampare che come al solito, nelle sere di estate a quell’ora, lasciava il porticciolo per la consueta battuta di pesca. Chissà cosa sia passato per la testa di Mauro. Fatto sta che dalla bocca gli uscirono molte e molte frasi come: “Cretino, chi ti ha dato la patente! Idiota, telefono alla stradale! Immaginando di essere finito in mezzo ad un’autostrada con il pericolo di venire travolto dalle auto in transito.

La protesta contro il traffico e l’indisciplina degli automobilisti di Mauro De Mauro venne bruscamente interrotta dallo stesso onorevole Gullotti, dai suoi amici e dagli immancabili curiosi che si erano frattanto aggregati al gruppetto, divertiti e preoccupati insieme.

A parte queste defaillances Mauro De Mauro era nato solo per la notizia, più gradita in quanto scoop, come si dice in gergo, sì da farlo aspirare a quella “laurea in giornalismo” che doveva essergli purtroppo fatale. Perché Mauro De Mauro professionalmente si era fatto un nome e una meritata fama e non solo in Sicilia. Aveva affrontato in prima persona il caso dei monaci di Mazzarino scavalcando addirittura un muro di cinta del convento nonostante le sue condizioni fisiche non fossero, come è noto, ottimali. Aveva seguito il caso Tandoy (l’uccisione del commissario di polizia Cataldo Tandoy avvenuta la sera del 22 marzo 1960 al viale delle Vittorie della città dei Templi, assieme all’inconsapevole e sfortunato studente Ninni Damanti. E in tale occasione fece dei servizi che segnarono un’epoca grazie ad informazioni di prima mano avute durante i resoconti di quel processo.

 Mauro De Mauro fu anche lo scopritore di Serafina Battaglia, la convivente del mafioso di Alcamo Stefano Leale, battezzandola per le rivelazioni, per altro poi ampiamente ritrattate ad Ancona e a L’Aquila in movimentati processi, come la “vedova con la P 38”.  Fattostà che la vedova, pur marcata stretta da chi aveva ricevuto l’ordine di sorvegliarla a vista, non parlava che con De Mauro e soltanto con lui.

E fu anche causa e protagonista inedito di uno “strappo” protrattosi a lungo fra due mitici investigatori degli anni 60: il detective dell’Fbi Charles Siragusa, pupillo del superpoliziotto Edgar Hoover e il colonnello delle Fiamme Gialle, indimenticato comandante di Polizia Tributaria, della Guardia di Finanza, Carmelo Brancato. Materia del contendere la foto di un boss del clan dei Marsigliesi, faticosamente avuta dall’ufficiale attraverso i suoi confidenti di Tangeri e di Gibilterra, dimenticata casualmente sul tavolo del colonnello e finita con un colpo maestro, ma deontologicamente riprovevole, sul giornale della sera per essere poi trasmessa nel circuito dalle agenzie di stampa. Carmelo Brancato, i giovani cronisti non lo sanno, nel suo lavoro era un “mastino”. Arrivò a catturare nel giro di alcuni anni nel Mediterraneo una vera e propria flotta di navi “corsare” specializzate nel traffico dei tabacchi lavorati esteri, per poi passare a quello più redditizio degli stupefacenti. Alcuni nomi di queste navi “pirate”: la “Monte Carmelo”, la prima in assoluto,  la “Tulyar”, la “Cavtat”, bandiera jugoslava, proveniente da Dubrovnik,  che tentò di speronare ripetutamente le motovedette della guardia di finanza comandate da Brancato. Questi, quando faceva le battute, le faceva al di fuori delle acque territoriali. Nel contesto di queste inizitive aveva  costituito una specie di  parcheggio per una trentina di navi da lui sequestrate in tutto il Mediterraneo. Tra le nazi sequestrate ci fu anche la “Tomazo”, modernissima, provvista di sofisticatissime apparecchiature. Quando entrò scortata dalle motovedette nel porto di Palermo strappò esclamazioni di stupore e di invidia. Si dice che fosse di proprietà e nella “disponibilità”, come si legge nei verbali, nientedimeno che di Tommaso Buscetta. Naturalmente prima che Masino saltasse il fosso con il pentimento dell’84.

Charles Siragusa che si trovava in Italia con il preciso compito di sorvegliare Lucky, al secolo Lucky Luciano, o meglio Salvatore Lucania, se la legò al dito. Vi fu un tempestoso colloquio telefonico e dovettero intervenire due grossi capi delle due polizie, l’italiana e l’Fbi, per ricucire lo “strappo”.


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