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Quello che il renzismo non dice (56): sul direttorio Renzi-Berlusconi e sulla nuova “distopia” orwelliana: 2015-2018. Gli slogan del Partito e la canzone del castagno.

Creato il 20 gennaio 2015 da Rosebudgiornalismo @RosebudGiornali
George_Orwell_press_photodi Rina Brundu. Tempo fa, dalle pagine del quotidiano La Repubblica, Eugenio Scalfari aveva lanciato un raro monito “autorevole” a Matteo Renzi: “Il PD si è trasformato in un partito governato da un uomo solo”. A mio avviso, il pur bravo direttore non l’ha detta tutta; di fatto, da un anno circa, il PD e la nazione sono governati con pugno di ferro e guanto di velluto dal direttorio Renzi-Berlusconi, con tutto ciò che ne viene.

Premetto che non sono mai stata anti-berlusconiana per partito preso e c’é stato un tempo in cui ho molto gradito la possibilità di un avvento renziano a “rottamare” la casta radical-chic e fondamentalmente inconcludente di sinistra. Tuttavia, c’é un limite a tutto e data la situazione non sarebbe azzardato dire che ho sbagliato con entrambi gli approcci. Di sicuro, è difficile guardare da fuori e non restare colpiti dal deleterio status-quo: dentro le già criptiche dinamiche – oscurate completamente nelle alte sfere ai comuni mortali – che porteranno all’elezione del prossimo presidente Repubblica, se ne determinano altre, forse più insidiose, implicite, ma fatte esistere in tutto il loro splendore dagli incontri bilaterali tra… “direttori”, a maggior gloria della loro creatura di cui al titolo.

Se questa fosse una distopia orwelliana (titolo provvisorio 2015-2018), sarebbe un’altra storia soffocante che narra di come un giovanotto qualunque, strenuo ammiratore dei quiz televisivi, sia riuscito a realizzare il segreto sogno di diventare manager d’azienda trasformando in ditta individuale la sua stessa nazione. E racconterebbe come l’incapacità gestionale dei precedenti dirigenti di quel Paese abbia permesso tutto questo; come a permettere tutto questo sia stato anche il sentimento di rassegnazione che – mercé mezzo secolo di ruberie diventate nel frattempo “diritti intoccabili e acquisiti” – ha fatalmente colto la popolazione tutta, incapace di risvegliarsi dall’incubo in cui è precipitata e ad un tempo “eager”, desiderosa di riuscire a sua volta nel tentativo di imitazione, manco il renzismo fosse la brutta copia della gloriosa Settimana Enigmistica!

Procedendo nel racconto il novello Orwell non tralascerebbe di dedicare qualche pagina alle ciliegine sulla torta che sacralizzano e inneggiano al nuovo governo a due: gli scandali romani, il silenzio sconcertante sulla parentopoli parlamentare, il totale asservimento della stampa, l’assoluta mancanza di una valida “critica” interna ed esterna, il sistematico relegare in fondo all’agenda le ragioni degli ultimi in virtù di un mal interpretato concetto di leadership. E del quid che di norma determina la crescita economica di una nazione.

In decadi di Storia repubblicana avevamo pensato più volte di avere toccato il fondo, ma a ben guardare si trattava dell’ennesimo abbaglio. Se non altro, venti-trent’anni fa potevamo vantare ancora la dignità, il diritto a lottare per i nostri… diritti, il diritto a partecipare alla vita pubblica e a far sentire la nostra voce: adesso al nostro sommo bene ci pensa il direttorio e per quei rari momenti di ribellione civile gli slogan (e le canzoni di protesta) sono già stati tutti inventati.

La guerra è pace.

La libertà è schiavitù.

L’ignoranza è forza.

Sotto il castagno, chissà perché.
Io ti ho venduto, e tu hai venduto me:
sotto i suoi rami alti e forti,
essi sono defunti e noi siam morti.

Featured image, George Orwell.

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