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Recensione: “Ascolta il tuo cuore”, di Sarah Dessen

Creato il 30 marzo 2015 da Ceenderella @iltempodivivere

Forse è stata la PMS, forse qualcosa che avrei voluto poter controllare meglio e mi stava destabilizzando non poco, ma quando ho letto questo libro ero veramente, veramente emotivamente instabile. Credo di aver singhiozzato come una fontana per buona parte del libro e, se pensate che leggo soprattutto in treno, direi che la cosa non depone a mio favore. Ma non importa, lo ho adorato, prossimamente sarà mio cartaceo e sono qui per parlarvene. Buona lettura, cicci <3"><3"><3

download (1)Titolo: Ascolta il tuo cuore
Titolo originale: Just listen
Autrice: Sarah Dessen
Traduttrice: Federica Romanò
Editore: Newton Compton
Anno: 2015
Pagine: 377

Nel giro di un anno la vita di Annabel è completamente cambiata: da quando è stata scoperta a una festa con il fidanzato di Sophie, la sua migliore amica, tutti la evitano. L’anno scolastico inizia per lei nel peggiore dei modi. E la situazione a casa non contribuisce affatto ad aiutarla, infatti la sua famiglia un tempo solida, sembra essere adesso, priva di equilibrio e instabile. Che cosa è successo tra le sue due sorelle maggiori? Perché tra di loro c’è un palpabile risentimento e dei silenzi glaciali? E perché nessuno ha il coraggio di parlare dell’anoressia di Witney o della depressione della madre? Annabel trova conforto in una strana amicizia con il ragazzo più solitario della scuola, Owen. Anche lui è arrabbiato col mondo, ma ha imparato a controllare i suoi sentimenti e cerca di insegnare a Annabel a fare lo stesso. Forse, con il suo aiuto, troverà il coraggio di affrontare quello che le è successo un anno prima, alla festa. Quando nella sua vita tutto è improvvisamente crollato…

Ho amato questo libro. Ho pianto con questo libro. Ho ascoltato i silenzi di Annabel parlare più di quanto avrei voluto. Ho sentito la sua incapacità di dire ciò che pensa o prova come fosse mia. È un periodo particolare, questo, nel quale avrei voglia di dire tante cose ma poi non lo faccio e leggere di una ragazzina che preferisce dire di star bene quando invece non ha più alcuna certezza mi ha sconquassata. E lo ha fatto in modo così inaspettato da avermi colpita di più: perché, dal titolo italiano, ti aspetti una storia d’amore, e invece quel che ti trovi tra le mani è un romanzo di formazione in piena regola, che matura piano piano con la sua protagonista, ti trasporta all’interno delle vicende narrate con una delicatezza disumana, mostrandole per quel che sono senza mezzi termini, con una franchezza che in alcuni punti mi ha stupita. Perché è semplicissimo prendere delle tematiche particolari, sbatterle tra le righe e provocare quel pizzico di coinvolgimento facile, ma è proprio tutto l’opposto riuscire a far sentire sulla pelle, come fossero propri, i pensieri dei personaggi, le loro emozioni e tutti i loro tormenti. Non c’è niente, in questo romanzo, che non mi sia piaciuto: l’ho trovato così realistico e delicato da avermi tolto il fiato, più volte. E da aver indossato gli scomodi panni di Annabel per l’intera narrazione: quelli della ragazza popolare scivolata giù dall’Olimpo della celebrità, improvvisamente solitaria e silenziosa, quelli della figlia che non sa dir di no a sua madre perché sa che la sua carriera da modella è l’unica cosa che la spinge a metter piede fuori dal letto la mattina, quelli della sorella che non ha il coraggio di dire una parola per cercar di capire cosa non vada tra le sue sorelle maggiori. Quelli di una ragazzina che nel giro di un’estate vede la sua vita capovolgersi sottosopra, perder senso e lasciarla più vuota di prima, più sola di quanto già non fosse e solamente le maschere celavano. E si ritrova a dover rimettere tutto in discussione, ma in sordina: se ne sta negli angoli, evita i luoghi affollati nei quali prima entrava a testa alta, butta giù le offese dell’ex amica senza reagire, continua la vita di tutti i giorni come se il suo mondo non avesse perso la propria stabilità. Senza alzare la voce, mangiandosi quel che dovrebbe dire, pensando che è suo compito tacere per quieto vivere, mentre il dolore le fa a brandelli l’anima. Finché non incontra Owen che, giorno dopo giorno, tra diffidenza e incapacità di fidarsi, le insegna che le bugie, persino quelle dette a fin di bene, non sono che un compromesso, un torto fatto a se stessi per tentare di difendere qualcun’altro; qualcosa che non può permettersi, pena il perdersi, l’affogare dentro quel vuoto che non ha voce e le scava dentro. Ed è qualcosa di doloroso vederla combattere contro se stessa, cercare di uscire dal proprio guscio per trovare la propria voce, l’indipendenza, un posto nel mondo che sia suo e non prestabilito da chi l’ha sempre guidata: la madre, prima, l’amica Sophie, poi.

Se all’inizio ne avevo dubitato, ora non più: Owen era sempre sincero. Gli facevi una domanda, e avevi la risposta. Per un po’, comunque, l’ho messo alla prova, chiedendogli la sua opinione su vari argomenti, come i miei vestiti («Non è il colore che ti sta meglio», mi ha detto a proposito di una maglietta rosa pesca), la prima impressione che aveva avuto su di me («Troppo perfetta e totalmente inaccessibile»), e la sua vita amorosa («Inesistente, al momento»).
«C’è qualcosa che non saresti capace di dire a qualcuno?», gli ho chiesto un giorno, subito dopo che aveva ammesso che, anche se il mio nuovo taglio di capelli era carino, li preferiva lunghi. «Voglio dire, per niente al mondo?»
«Mi hai chiesto cosa pensassi», mi ha fatto notare, servendosi un salatino dal sacchetto in mezzo a noi. «Perché me lo chiedi, se non vuoi che sia sincero?»
«Non sto parlando dei miei capelli. Dico in generale.» Mi ha dato un’occhiata dubbiosa e si è infilato il salatino in bocca. «Davvero. Pensi mai tra te e te “Forse non dovrei dirlo”? “Forse non è la cosa giusta da fare”?»
Ci ha riflettuto qualche secondo. «No», ha concluso. «Te l’ho detto, non mi piacciono i bugiardi.»
«Ma non è mentire, solo non dire.»
«E c’è una differenza?»
«Certo», ha detto. «Una cosa è ingannare attivamente. L’altra non esprimere qualcosa ad alta voce.»
«Sì, ma», ha risposto, prendendo un altro salatino, «si tratta comunque di un inganno. Solo che verso te stesso. Giusto?»
L’ho guardato in silenzio, rigirandomi quel pensiero in testa. «Non lo so», ho detto lentamente.
«In realtà», ha continuato, «è peggio di mentire, se ci pensi bene. Voglio dire, quantomeno dovresti essere sincero con te stesso. Se non puoi fidarti di te stesso, di chi puoi farlo? Capisci?»
Non sarei mai riuscita a dirglielo, ma Owen mi apriva gli occhi. Le piccole bugie innocenti che dicevo quotidianamente, le cose che mi tenevo dentro, tutte le volte in cui non ero completamente sincera: ora ne ero perfettamente consapevole. Ed ero anche conscia di quanto fosse bello poter dire a qualcuno cosa pensassi veramente. Anche se si trattava solo di musica. O forse c’era dell’altro.

Dico romanzo di formazione e non, magari, romance, perché qui ci si trova di fronte a uno young adult per come è inteso tecnicamente il genere; non fraintendiamoci, la storia d’amore c’è ed è di una tenerezza commovente, ma fondamentale, tanto da essere al centro della narrazione, è il percorso di maturazione di Annabel, da ragazzina spaurita che anche con la morte nel cuore non sa dire quanto stia male a ragazza cosciente di aver una voce e di poterla usare per non farsi spaventare dalla vita e da chi crede di poterle mettere i piedi in testa. È un viaggio, il suo, lento, doloroso, fatto di tappe necessarie nella loro brutalità talvolta, con ricadute che non lasciano presagire niente di positivo e improvvise prese di coscienza che danno speranza, di cieca fiducia in chi ha al proprio fianco e realizzazioni inaspettate che aprono gli occhi. È, insomma, il tormentato passaggio dall’età adolescenziale a quella adulta di una ragazza che cerca di capire chi è e come convivere coi propri mostri a cui non riesce a non dare ascolto, sebbene non sappia annunciarne la presenza a parole; ed è quel percorso nel quale trovare un po’ di sé è inevitabile, perché la Dessen lo descrive in maniera così magistrale da trascinare dentro al romanzo e obbligare a sentire, vedere, provare ciò che la sua protagonista vive, a porsi le stesse domande che le martellano la mente da quando incontra Owen e le si apre un mondo nuovo di cui ignorava l’esistenza, fatto di interrogativi che non pensava potessero appartenerle e che invece la riguardano da vicino. Interrogativi che probabilmente son le stesse che vi ponete pure voi che leggete e sulle quali neanche ci si sofferma troppo a lungo. Perché, ammettiamolo, quante volte avete risposto “bene” quando vi domandavano come stavate quando in realtà l’unica risposta possibile da dare era l’esatto opposto? Quante avevate bisogno di aiuto e non l’avete chiesto? Quante avete allontanato qualcuno che in realtà volevate tenere vicino ma avevate paura di dirlo? Spero per voi siano poche, che sappiate dir quello che vi ronza in testa nel momento in cui sentite il bisogno di farlo, ma per Annabel non è proprio così. Finché non ci riesce. E, lasciatemelo dire, quando lo fa… è davvero meraviglioso. Ci si sente fieri di lei. Suona un po’ stupido detto così, adesso, ma in qualche strano modo è vero. Ed assistere alla sua crescita, al suo prender padronanza di sé, pur nella paura, è una delle cose più belle che questo libro lascia ed è fondamentalmente il motivo per il quale lo consiglio.

Voto: ❤❤❤❤


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