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Recensione "Cosa fare delle nostre ferite" di Michela Marzano

Creato il 27 aprile 2012 da Alessandraz @RedazioneDiario

Pubblicato da Ossimoro Questo agile librino di 100 pagine (appartenente alla collana “I Mattoncini” di Erickson, che si propone di presentare a un pubblico più vasto e in modalità quanto più possibile divulgativa testi “minimi” di contenuto filosofico) è l’ultimo lavoro pubblicato in Italia di Michela Marzano, ordinaria di filosofia morale all’Universitè Paris Descartes, già autrice per Mondadori del bellissimo saggio sulla condizione della donna in Italia Sii bella e stai zitta e del “romanzo confessione” Volevo essere una farfalla, in cui racconta la storia della sua vita da ragazzina prodigio, una vita all’insegna della lotta impari contro il demone della perfezione. Questo libro è, invece, la traduzione dal francese di un suo intervento molto apprezzato, che ha avuto luogo al convegno internazionale “La qualità dell’Integrazione Scolastica” (Rimini, 2011):
Autrice: Michela Marzano Titolo: Che cosa fare delle nostre ferite? La fiducia e l’accettazione dell’altro Editore: Erickson Collana: I mattoncini Pagine: 100 Prezzo: 8 euro Contenuto: Questo libro affronta un tema particolarmente spinoso ai nostri giorni: la trappola in cui moltissime persone si impigliano ascoltando le sirene di una società che propone e impone un modello di individuo costantemente capace di esercitare controllo e padronanza. Le nostre ferite - le faglie, le fratture, le mancanze del nostro essere - vengono messe al bando e spesso ci rassegniamo a considerarle gravi errori e a trattarle come pattume che finiamo per nascondere sotto il tappeto della nostra consapevolezza. Capita così di produrre un corto circuito fra la nostra parte 'accettabile' e quella parte di noi che è fragile, spaventata e per ciò stesso 'impresentabile', sfoderando agli occhi del mondo e ai nostri stessi occhi un'autonomia posticcia che non solo ci dissocia ma ci impedisce persino di accettare gli altri, come noi abitati da debolezze e imperfezioni, in una spirale di proiezioni che ci lasciano sempre più soli e ciechi rispetto alle occasioni di creare legami autentici. È indispensabile fare i conti con le proprie fragilità. La fiducia ci espone al rischio del tradimento, ma se non si accetta di correre questo rischio si resta murati nei ruoli dello spettatore e dell'antagonista. Vivere sul serio la propria vita è molto più di questo.

RECENSIONE Questo libro, che ricalca nella sua struttura l’intervento “orale” da cui è tratto, è articolato in tre parti: la prima, che è l’introduzione ma anche l’ideale sintesi delle due successive (e forse sarebbe stato più opportuno collocare “hegelianamente” in fondo), parla appunto di come l’accettazione delle ferite immagazzinate nel nostro percorso di vita sia possibile solo tramite il dialogo con “l’altro” e con la “fiducia in se stessi”; non deve ingannare l’intento (che può richiamare un punto di vista “aziendale”), perché è invece proprio un tentativo di demolizione di questo cliché. Nel secondo capitolo, infatti, la Marzano ci presenta quello che, secondo lei, è il vero fondamento dell’etica contemporanea, vale a dire l’ “accettazione dell’altro”, laddove l’altro non è inteso solo come “esterno” e, quindi, come ciò che si trova fuori da noi e con cui non ci troviamo in accordo (in una società non più gerarchica o piramidale ma pluralista ciò è comunque inevitabile), ma più profondamente l’altro dentro di noi, cioè quella parte fragile e vulnerabile del nostro io che preferiamo ignorare, piuttosto che “interagirci” e successivamente “integrare” al nostro io. 


Perché è sull’integrazione delle nostre ferite che si costruisce il vero carattere, che il nostro io raggiunge la sua verità e la sua ricchezza. Qui la Marzano cita Hannah Arendt e il suo risveglio dalle macerie (fisiche e metafisiche) del totalitarismo nazista e riadatta la riflessione al suo caso: per lei la presa di coscienza e la sua rinascita dalle macerie è consistita nella lotta all’anoressia, sintomo ultimo della sua smania di perfezione. Una battaglia dura, affrontata grazie a una lunghissima psicanalisi e al trasferimento in Francia, contro un demone che aveva come radice il suo desiderio di accontentare la sconfinata ambizioni di suo padre (un padre-padrone autoritario e “kafkiano”) di avere una figlia simulacro, un vessillo di perfezione da sbandierare. Un desiderio di perfezione che Michela da ragazzina ha introiettato, facendolo suo e spingendosi al limite estremo per ottenere il massimo del controllo: il controllo del proprio corpo, degenerato – negli anni universitari alla Normale di Pisa – nell’anoressia. 
Nel terzo capitolo avviene il collegamento tra questo cieco anelare alla perfezione e al controllo come conseguenza nella fiducia nell’altro. Segue una lunga riflessione su cosa sia in realtà la fiducia (argomento su cui, filosoficamente, in antichità e nel Medioevo si discute poco, fino a Locke, che ne fa il fondamento politico del suo modello sociale, basato sulla fiducia reciproca tra governo e popolo): la fiducia pone in uno stato improvviso di vulnerabilità e dipendenza e questo è ancora più evidente (per tornare al discorso iniziale) nei bambini, la cui fiducia in genitori e insegnanti è totale e ancora anagraficamente mancante di spirito critico. Il realtà la fiducia “sana”, che gli adulti sviluppano nel momento in cui si aprono all’altro, è qualcosa che ha più a che fare con il concetto del “dono” disinteressato e asimmetrico, giacché nel momento in cui ci si fida si accetta anche, tacitamente, di poter venire traditi, cosa che non accadrebbe se non vi fosse un effettivo rapporto di fiducia.  Si tratta dunque, continua la Marzano, di una scommessa, giacché la fiducia contiene già, al suo interno, il seme del tradimento (anche nei confronti di se stessi); e, a conclusione del discorso, si dice: 

Le relazioni intime possono nascere e maturare soltanto se ciascuno accoglie l’altro con le sue ferite e le sue debolezze. 

Rischiamo, quindi, sulla nostra pelle e che sia una scommessa vinta o persa poco importa, perché avremo una conoscenza più vera e autentica di noi stessi. In definitiva si tratta di un libro molto essenziale, che nelle sue tematiche richiama i temi cari all’autrice e apre a una possibile (e da parte mia consigliatissima) lettura di altri suoi interessanti testi, filosofici e non, come Etica Oggi e il più “aziendale” Estensione del dominio della manipolazione sui meccanismi di potere e regolamentazione del lavoro nelle aziende. Una piccola finestra sul mondo di una delle pensatrici più acute dei nostri giorni, una donna che è l’espressione, “arrivata” ma dolente, di due delle più diffuse linee distintive della nostra generazione: il decentramento e la vulnerabilità. L’AUTRICE Nata nel 1970 a Roma, ha studiato all'università di Pisa e alla Scuola Normale Superiore. Dopo aver conseguito un dottorato di ricerca in filosofia alla Scuola Normale Superiore di Pisa, è diventata docente all'Università di Parigi V (René Descartes), dove è attualmente professore ordinario. Autrice di numerosi saggi e articoli di filosofia morale e politica, ha curato il "Dictionnaire du corps" (PUF, 2007). Si occupa di Filosofia Morale e Politica e in particolar modo del posto che occupa al giorno d'oggi l'essere umano, in quanto essere carnale. L'analisi della fragilità della condizione umana rappresenta il punto di partenza delle sue ricerche e delle sue riflessioni filosofiche. 


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