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[Recensione] “Gli inganni di Locke Lamora” di Scott Lynch

Creato il 12 agosto 2011 da Queenseptienna @queenseptienna

Gli inganni di Locke Lamora
di Scott Lynch
605 pagine

[Recensione] “Gli inganni di Locke Lamora” di Scott Lynch

Si tratta del primo di una serie che prevede 7 romanzi e già solo per questo io avrei tendenzialmente schifato questo libro. Non do mai troppa fiducia a chi inizia un romanzo con la presunzione che al pubblico piacerà così tanto da non poter fare a meno di leggerne un eventuale seguito.

Fortunatamente ciò non è bastato a farmi desistere dal leggerlo perché di libri così ne leggerei a vagonate.
Mi ha appassionato immediatamente per sostanzialmente tre motivi.
Il primo, affatto scontato per me, il protagonista. Perché affatto scontato?! Perché raramente io mi appassiono al protagonista di una storia. Solitamente i protagonisti sono personaggi stereotipati, fatti con lo stampino, tutti buoni, tutti belli, tutti bravi in quello che fanno… grazie, no.
Locke Lamora è piccoletto, bruttino, gracile. Ma ha un’incredibile abilità nell’elaborare piani sempre più complessi e articolati per truffare e spillare ricchezze ai ricchi nobili di Camorr. Addestrato sin da bambino per essere un “accarezza-tasche” Locke già dalla tenera età di 4 anni ha dimostrato di avere un talento naturale per la truffa, quella ben studiata e congegnata, quella che ti fa diventare così ricco da non sapere più cosa farne di tutti i soldi che hai accumulato. Sì perché Locke non è un Robin Hood che ruba ai ricchi per donare ai poveri e non ruba certo per sfamare la sua famigliola composta da padre scomparso, madre malata e 15 fratellini affamati… E allora perché ruba? Perché non può farne a meno credo sia la giustificazione più calzante che si possa dare.

“Rubo soltanto perché la mia povera cara famiglia ha bisogno di soldi per vivere!”
“Bugiardo!”
“Rubo soltanto perché questo mondo malvagio non mi permette di trovare un lavoro onesto!”
“Bugiardo!”
“Rubo soltanto perché devo mantenere quel povero pigrone del mio fratello gemello, la cui indolenza ha spezzato il cuore di nostra madre!”
“Bugiardo!”
“Rubo soltanto perché sono rimasto temporaneamente vittima di cattive compagnie”
“Bugiardo!”
“Rubo soltanto perché mi ci diverto un casino!”
“Bastardo!”

Ed è con questo stralcio che arrivo al secondo motivo per cui amo questo libro. I comprimari. I bastardi galantuomini. Addestrati all’arte del Tredicesimo Dio da Padre Catena, il predicatore truffatore che li ha allevato, rubano, con astuzia, con intelligenza… con stile.
C’è Jean Tannen, il contabile, esperto nell’arte di staccare arti con le sue asce, le sorelle malefiche, autoelettosi a guardia del corpo dell’esile Locke.
Ci sono Calo e Galdo Sanza, gli affascinanti gemelli scassinatori. Maghi nell’imbroglio e nello sfornare freddure e battutacce.
E c’è il piccolo Cimice, neoarrivato tra i Bastardi Galantuomini, il giovane che i truffatori stanno forgiando secondo le severe regole dell’educazione morale imposta loro da padre Catena.
Di solito quando il protagonista non è in grado di tenere la scena lo si circonda di una buona squadra di comprimari, in questo caso direi che l’autore ha voluto esagerare: un buon protagonista e una buon gruppo. Raramente ho visto tanta grazia in un romanzo.

Ma passiamo al terzo motivo per cui amo questo libro che è lo stile. Lo stile è schietto, a volte quasi rude, ma non mi aspetterei nient’altro da un romanzo che parla di ladri, di vita di strada, di intrighi, di gente che si fa la guerra… E’ più che accettabile che ci sia qualche “cazzo” qua e là, punteggiature di “merda” o di “rozzo porco figlio di troia”… Confesso che non sono un’estimatrice delle parolacce, ma se queste fossero mancate in un libro così sarebbe sembrato innaturale. Come voler descrivere un sobborgo di New York a tinte pastello…
Le descrizioni sono piacevoli perché accurate, ma mai noiose. E’ uno stile sintetico, pulito, essenziale, come piace a me.
E poi l’ambientazione è interessante. E’ un fanatsy, senza dubbio, ma non troverete elfi, nani, paesaggi bucolici… (Dio ce ne scampi). La città di Camorr è una sorta di Venezia, opulenta e fatiscente, con i suoi quartieri tipici nei quali si trova la sua tipica umanità. Personalmente mi fa pensare ad un’ambientazione di tipo steampunk. Se penso a Camorr vedo una città antica, ma riadattata alla popolazione attuale, completamente percorsa da cavi, teleferiche, gabbie trasportatrici, carrucole, ingranaggi… Così come l’abbigliamento dei personaggi potrebbe essere ben accostato ad uno stile steampunk dove abiti ottocenteschi si accostano ad aggeggi meccanici e armi elaborate… Ok, magari buona parte di questa convinzione deriva dal fatto che io ci VOGLIO vedere lo stile steampunk, ma se mai qualcuno dovesse tradurre questo romanzo in film lo steampunk sarebbe senza dubbio il genere di ambientazione perfetta per realizzarlo.

Consiglio vivamente l’opera prima di Scott Lynch perché la storia ti tiene davvero in tensione, anche se inizialmente pare stentare a partire. Diverse trame, apparentemente con niente a che vedere l’una con l’altra, finiscono per intrecciarsi tra di loro con, come unico fulcro, il protagonista, causa e soluzione di tutti i casini della storia, Locke Lamora.
Inoltre consiglio questo romanzo a tutti quegli scrittori in erba che pensano che per scrivere un buon fantasy si debba abbondare nelle descrizioni, o nella stravaganza dei personaggi, o nella prolissità della narrazione… leggete e imparate.


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