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Recensione: Il posto dei miracoli - Grace McCleen

Creato il 01 luglio 2013 da Leo Sanguedinchiostro @sdinchiostro

Recensione: Il posto dei miracoli - Grace McCleen

Titolo: Il posto dei miracoli

Dati: 2013, 293p.,rilegato

Recensione: Il posto dei miracoli - Grace McCleen
In mano ai bambini uno scampolo di velluto a coste può diventare un campo coltivato e la carta delle caramelle un arcobaleno. Una matassa di filo è un gatto e uno scovolino da pipa un uomo, e le cose parlano e le cose ascoltano. I bambini hanno milioni di segreti e un amico immaginario a cui raccontarli. E, in un mondo ideale, una schiera di sentinelle adulte a proteggere tutto questo. A certi bambini, invece, capita di crescere in un mondo di divieti, dove la Legge Fondamentale pretende un occhio per un occhio e una vita per una vita, e la fine dei tempi è sempre in agguato. Un mondo di bibliche punizioni dove la fantasia è un peccato e le cose servono solamente e non parlano. Judith McPherson è fra quei bambini. Suo padre è un ardente "Fratello" di una setta millenarista che obbliga i suoi membri al proselitismo porta a porta in attesa dell'Armageddon che spazzerà via il mondo e trasporterà i pochi salvati nella Terra Promessa, adornamento di tutti i paesi. La "Terra dell'Adornamento" di Judith ha un aspetto molto concreto. È fatta dei materiali di scarto che da quasi tutta la vita la bambina va raccogliendo nelle sue peregrinazioni solitarie e dei pochi oggetti ricevuti in eredità dalla madre, ed è il luogo in cui trova rifugio da ogni minaccia. Come tutti i diversi, i McPherson non sono troppo popolari nella cittadina operaia in cui vivono...

Grace McCleen è nata nel 1981. Dopo aver lasciato la comunità d'origine, ha studiato Letteratura a Oxfor e York. Oggi svolge a Londra a sua attività di scrittrice e musicista. Il posto dei miracoli è stato giudicato uno dei quattro debutti più promettenti del 2012 da The Sunday Times e ha vinto il Desmond Elliot Prize per l'opera prima.

C'è anche un'altra cosa che Judith conosce bene.

E' con essa che ha dettagliatamente dato vita alla sua personale Terra dell'Adormento, un paradiso in miniatura preziosamente custodito nella sua cameretta, costruito grazie a batuffoli di cotone, scovolini, rametti secchi, bastoncini di lecca e lecca, fazzoletti di carta e altri piccoli, insignificanti rifiuti del mondo umano.

Lei non è come gli altri bambini del suo grigio paese, non ha la loro stessa educazione, non gode dei loro vizi, ma possiede una mente irrefrenabile, traboccante di storie da raccontare e mettere in scena nel suo paradiso in miniatura, proiezione di una felicità che sembra esserle negata nella vita di tutti i giorni. L'essere speciali, infatti, comporta anche frutti molto amari, specialmente in un'ottusa cittadina di provincia. Ecco perchè la bambina si trova, già alla sua tenera età, bersagliata dagli scherzi dei suoi compagni di classe, in particolare da Neil Lewis, un bullo in miniatura che non è altro se non lo specchio di un padre violento e alcolizzato e di una situazione famigliare piuttosto disagiata.

Le cose sembrano cambiare quando la piccola Judith, impaurita dalle minacce di Neil che vuole infilarle la testa nel gabinetto della scuola, scopre di poter rendere reale ciò che mima nella Terra dell'Adornamento, e si convince di essere lo strumento di un Dio severo e giustiziere con cui inizia un vivace e profondo dialogo interiore.

Recensione: Il posto dei miracoli - Grace McCleen
- Secondo me la neve potrebbe essere un miracolo.

Candida. Musicale. Soffice. Suggestiva. Palpabile.

La prosa della McCleen è come la prima neve ad Ottobre: delicata, quasi silenziosa, ma reale. Non se ne percepisce il singolo fiocco, ma l'armonia e la gelida poesia dell'insieme.

Arriva silenziosa e lascia stupefatti, con gli occhi e il naso puntati verso il cielo, a volte sfregandosi le mani per il freddo ma sperando segretamente che ne cada ancora.
Solo un cuore duro e appassito può rimanere totalmente indifferente alla storia di Judith. Una storia che tocca talmente tanti temi fondamentali che è impossibile non ritrovarsi in qualche pagina.

Si parla di fede, innanzitutto.

Una fede che è commemorazione di una moglie, per il padre della protagonista, ma che allo stesso tempo lo costringe nel passato (basti vedere il simbolico mobilio con cui è arredata la sua stanza: importante per un legame affettivo ma inutile a livello pratico), impedendogli di andare avanti e di dare ascolto ai segnali di una figlia in cerca di affetto, a cui tocca inventarsi un amico immaginario che la faccia sentire migliore degli altri, e che assume le sembianze di qualcosa con cui la bambina ha sempre avuto a che fare, Dio.

Un Dio, che, come detto prima, è totalmente distante dal perdono del Nuovo Testamento, bensì incarna la voglia di giustizia e ascolto di cui Judith ha bisogno, spingendola verso un potere con cui proverà a fare dei miracoli che sistemino le cose sbagliate.

Compiere un atto di fede divenne come compiere un balzo, perché c'era un baratro fra com'erano adesso le cose e com'erano state un tempo. Era il posto in cui succedevano i miracoli.

Non affezionarsi a Judith è impossibile. Lei è un punto luminoso di stupore, innocenza e meraviglia in una società dove tutto e tutti sembrano intrappolati nella loro gabbia di verità, affetti dall'incomunicabilità verso il prossimo: i Fratelli talmente convinti della loro dottrina da chiudersi in essa e tacciare come peccatori tutti i non credenti, i cittadini del paese intrappolati in un bigottismo laico, fatto di villette tutte uguali e staccionate bianche, e lo stesso padre Michael, che si mostrerà schiavo di una fede di frasi fatte e preghiere (in)esaudite.

Il tocco magico della protagonista, usato durante momenti di rabbia e panico, quando la scrittura della McCleen diventa molto sensoriale, non tarderà a mostrare i suoi effetti negativi e porterà ad una piega tragica delle situazioni, quando l'unica felicità all'orizzonte sembrerà davvero possibile solo con la venuta dell'apocalisse.

Ma Il posto dei miracoli è un romanzo di fede. E cos'è la fede se non la speranza in un domani migliore? Cosa sono i miracoli se non quelle piccole gioie quotidiane, quei genuini e improbabili momenti di felicità, quella capacità di vedere, anche nella giornata più oscura, l'orlo argenteo delle nuvole, quella capacità di compiere un atto di fede, che, come dice Judith, equivale a compiere un balzo, ad andare avanti e a cercare la felicità in questa vita e non in un ipotetico aldilà.

I miracoli non devono per forza essere grossi e possono succedere nei posti più improbabili. Possono succedere in cielo o su un campo di battaglia o in una cucina nel mezzo della notte. Non c'è nemmeno bisogno di credere nei miracoli perché ne succeda uno, ma quando succede ve ne accorgerete perché qualcosa di molto normale che non pensavate contasse un granché alla fine ha contato tantissimo. Ecco perché i miracoli funzionano meglio con le cose normali, e più sono normali meglio è; più grande è il contrasto più grosso è il miracolo.

Dovremmo riuscire tutti a guardare le cose con gli occhi di Judith, di tanto in tanto, per renderci conto che ciò che importa davvero non è ciò che

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sarà ma ciò che vogliamo sia adesso.
Avremmo tutti da imparare da questa dolce bambina, per capire che non c'è bisogno di sacrifici, penitenze e preghiere per essere felici, e che volare non è poi così difficile, basta solo un filo di spago, qualche pensiero buono e un po' di creatività.

Se volete andare più in alto, fate scendere più corda.


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