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Titolo: La misura della felicità Autrice: Gabrielle Zevin Editore: Nord Numero di pagine: 314 Prezzo: € 16,00 Sinossi: Dalla tragica morte della moglie, A.J. Fikry è diventato un uomo scontroso e irascibile, insofferente verso gli abitanti della piccola isola dove vive e stufo del suo lavoro di libraio. Disprezza i libri che vende (mentre quelli che non vende gli ricordano quanto il mondo stia cambiando in peggio) e ne ha fin sopra i capelli dei pochi clienti che gli sono rimasti, capaci solo di lamentarsi e di suggerirgli di "abbassare i prezzi". Una sera, però, tutto cambia: rientrando in libreria, A.J. trova una bambina che gironzola nel reparto dedicato all'infanzia; ha in mano un biglietto, scritto dalla madre: "Questa è Maya. Ha due anni. È molto intelligente ed è eccezionalmente loquace per la sua età. Voglio che diventi una lettrice e che cresca in mezzo ai libri. Io non posso più occuparmi di lei. Sono disperata." Seppur riluttante (e spiazzando tutti i suoi conoscenti), A.J. decide di adottarla, lasciando così che quella bambina gli sconvolga l'esistenza. Perché Maya è animata da un'insaziabile curiosità e da un'attrazione istintiva per i libri - per il loro odore, per le copertine vivaci, per quell'affascinante mosaico di parole che riempie le pagine - e, grazie a lei, A.J. non solo scoprirà la gioia di essere padre, ma riassaporerà anche il piacere di essere un libraio, trovando infine il coraggio di aprirsi a un nuovo, inatteso amore... La recensione Impreparato. Questo libro, in una notte d'inizio estate, mi ha colto così. Alla sprovvista. In contropiede. Al buio. Non lo aspettavo. Quando l'ho notato, quando poi l'ho avuto, ho iniziato a scoprirlo con ricercata lentezza. Pianissimo. Era come un regalo troppo bello, nella sua carta rosso Natale, con il nastro giallo e le stelle di carta luccicante, per essere scartato con foga. Quanta cura aveva avuto quella signora alla cassa, sempre sorridente, nell'incartarlo per noi. Faceva capolavori di sorrisi, lei. Capolavori di pacchetti regalo. Dispiaceva strappare quella guaina colorata, tirar via il nastro, disfare il fiocco dorato. Era peccato. Era irrispettoso. In risposta a un'opera d'arte di confezione regalo, allora, era seguita un'opera d'arte di spacchettamento. Non so se la parola spacchettamento esista, ma facciamo finta di sì. Che l'Accademia della Crusca mi lasci un messaggio nella segreteria telefonica, dopo il segnale acustio, Biiip. Il ragazzo che legge nel cuore della notte, sul suo letto disfatto, in boxer scuri e canottiera bianca, aveva fatto il possibile, davvero. Urtava contro gli oggetti per sbaglio, perdeva mazzi di chiavi, inciampava nei ciottoli e nelle sue stesse scarpe. Non aveva mai parlato di sé stesso, prima di allora, in terza persona e non aveva mai sperimentato la delicatezza. Eppure Gabrielle Zevin gliel'aveva insegnata. Lezioni private di delicatezza, ripetizioni porta a porta di calma. Sul suo letto, dopo una giornata di studio e una serata stancante di brutti telefilm e pisolini rubati, aveva sfogliato La misura della felicità in sordina, per paura di disturbare i personaggi e le loro private compravendite. L'aveva esplorato, strato dopo strato. Tagliato il nastro adesivo ai margini del pacchetto, spianato le pieghe della carta, tirato fuori l'immagine di un uomo, una bambina e un aquilone a forma di libro, angolo dopo angolo. Dispiaceva seriamente sciuparlo. E seriamente prendo possesso di me stesso, adesso. Ritorno all'io. Non ho preso annotazioni, non ho appiccicato post-it, non ho scritto un rigo stentato sulle mie impressioni a caldo. Immagino che, anche dopo una settimane, sarebbero bollenti. Calde, entusiastiche, felici: impressioni un po' sceme. Qualcosa però l'ho segnata. Numeri e numeri. Un libro che parla di letteratura, pieno di parole e concetti, semplificato con il terribile linguaggio delle scienze matematiche. Numeri sparsi, numeri pazzi - cerchiati, sottolineati, incorniciati in un cuore inciso con la biro nera: 111, 97, 104, 142, 116, 117, 188, 194, 283. Se sapessi come si fa, potrei giocarmeli alla lotteria, gridare Bingo! Ma bingo già l'ho fatto quando, senza aspettative, ho iniziato La misura della felicità. Senza sapere di ritrovarmi a leggere una storia che parlava di me, con la limpidezza che – un giorno – vorrei fosse mia. I presupposti erano buonissimi: non abbastanza per farmi correre ad acquistarlo così, su due piedi, ma buonissimi. In About a Boy, Hugh Grant aveva preso in prestito un aforisma di John Donne e, con un bambino curioso e un po' strano in casa, l'aveva capito... Che nessun uomo è un'isola. Quella frase, ormai, è attribuita a Nick Hornby. Molti, su Facebook, la attribuiscono perfino a Hugh Grant: fotogenico, famoso, perfino paterno con accanto un minuscolo e impacciato Nicholas Hoult, mi è diventato anche poeta. Il romanzo di Gabrielle Zevin gioca sui significati intimi di questa frase, che è bella e vera, a chiunque la si voglia attribuire. Anche a Hugh Grant. Io conosco a memoria About a boy. Adoro i bambini, le persone anziane, i libri belli, ed ero convinto che questa storia contenesse un po' di tutto: neonati, vecchietti, capolavori. Perfino un'ambientazione retrò, novecentesca, come in Storia di una ladra di libri. Da storia melensa, strappalacrime, bellissima anche con gli occhi rossi, o proprio per via degli occhi rossi. Invece no, niente di tutto questo: non so perché avevo pensato ad aerei da caccia, guerre, morti. Il libro è modernissimo. Pungente, bello, magico. La quintessenza della tenerezza. Nasce, cresce e si fa vecchio in trecento pagine. La libreria è un mondo in miniatura che resta uguale, mentre gli anni passano. La libreria, Island Books, è la protagonista femminile. A.J Fikry, il protagonista maschile. Per la cronaca, lui non è vecchio come pensavo. La sinossi spiega che è vedovo, ma per la morte di una moglie si incolpano sempre la vecchiaia e l'età. A.J è vedovo a nemmeno quarant'anni: va a correre ogni mattina, è conservatore e tremendamente snob, mette in difficoltà la gente del posto e la giudica in base a quel che legge. Roba da poco: gente da poco. Per lui, dovrebbero esserci soltanto grandi classici. Snobba gli esordienti, rabbrividisce davanti all'urban fantasy, preferisce la morbidezza della brossura e l'arte del racconto. Gli e-reader sono la prova che il diavolo esiste, e guaia a parlargli di ebook. Vive di prime impressioni e non sa quello che si perde. Scrooge è stato giovane, libraio, romantico. Io acquisto al supermercato e, ogni tanto, tradisco la libreria di paese per Amazon. Bado al risparmio, alla convenienza, acquisto libri al 3x2, come con le confezioni di yogurt in scadenza. A.J odierebbe il mio qualunquismo, il mio accontentarmi, il mio fare compere senza passione. Io lo odierei per i commenti cinici, i gusti di cemento armato, il tono arcigno, gli ossessionanti “Ti serve qualcosa?”, gli occhi puntati nella schiena, come se in tempo di crisi ci fossero ladri di librerie, non d'appartamento. Ci odieremmo con l'odio di chi si vuole segretamente bene e si punzecchia per sport. Conosco tanta gente come lui, tipi a posto. Misantropi convinti, ma pieni di amici che li cercano: mi inserisco volontariamente nella categoria. Ci sono le signore che gli organizzano appuntamenti galanti, gruppi di lettura e presentazioni, cognate fragilissime che hanno impiastri per marito e attenzioni di poliziotti con l'innocenza nel taschino della divisa, addette vendita che prendono due treni e un traghetto per cercare acquirenti, amore: l'amore degli acquirenti. Il libraio che non amava più leggere impara a farsi amare dall'adorabile Amelia Loman in quattro anni e qualcosa: un amore tardivo, sbocciato commentando un toccante memoir della terza età, alimentato da cedole da compilare, email notturne, visite a sorpresa, alte citazioni di True Blood, portate culinarie con nomi presi in prestito da Moby Dick. Le cotte fanno seguire serie tv squallidissime per avere qualcosa di cui parlare insieme, affermare che Herman Melville sia la principale causa dell'odio tra i bambini e la lettura, diventare più affabili. Amelia, per me, è Rachel McAdams, con il sorriso a mille watt e le lentiggini sul naso. Uno dei pochi esseri umani a non sembrare un cane da passeggio con la fragia e a meritarsi una dichiarazione d'amore vecchio stile. Pagina 189: “Quando leggo un libro, desidero che anche tu lo stia leggendo. Voglio sapere cosa ne pensa Amelia. Voglio che tu sia mia. Posso prometterti libri e conversazioni e tutto il mio cuore, Amy.” Seguo i numeri e i cuoricini sul foglio di carta. Eccone un altro, pagina 194: “Non c'entra molto con la scrittura, però... un giorno, potresti prendere in considerazione l'idea di sposarti. Scegli qualcuno convinto che tu sia l'unica persona nella stanza.” Tu, Maya. Questo libro è per te. Segue un ordine strano, scandisce i capitoli con annotazioni che diventano lettere, in cui A.J ti parla della vita come farebbero Dahl, Poe, Fitzgerald. In mezzo a dialoghi perfetti, si trovano titoli veri e titoli inventati, consigli preziosi e titoli da depennare dalla lista dei desideri a colpi secchi di penna, divisi per genere, titolo, nuclei tematici. Ci sono i pensieri del lettore comune, i suoi sogni d'amore, le strategie editoriali e le novità in libreria. E' un romanzo che parla di romanzi. Dà consigli, parla di clienti e tendenze, di un amore puro che porta in salvo dalla tristezza, di una brutta maledizione che fa confondere le lettere e non pronunciare le parole. Parla di te, Maya. Chi sei? La bambina che insegnò a un libraio ad amare i libri: abbandonata nel reparto dei volumi per l'infanzia, con un bigliettino sulla bavetta, un pupazzo dei Muppet, un pannolino pieno di pupù. Non sei rimasta bambina per sempre. A.J lo chiamavi papà. Avevate entrambi la pelle scura, ma di un caffè latte con sfumature diverse. La felicità eri tu. Gli occhi come in un manga, ventiquattro mesi, scrittrice prima di imparare a sillabare. La felicità era larga quindici Maya e lunga venti: il perimetro di una libreria in formato bambina. Una bambina che vorresti abbracciare forte, ma non puoi, quindi ti limiti a stringere il libro al petto - cosa grave – aspettandoti che ricambi la stretta. Che, alla domanda “Quanti anni ho?”, ti guardi dal basso verso l'alto e ti risponda che di anni ne hai ventidue. O forse ottantanove. La misura della felicità è un concentrato di bene assoluto: un condominio affollato e variopinto di gente che legge; e la gente che legge, per natura, non può che essere buona. In copertina, una sagoma scura che solleva in alto una bimba: solleva un libro, solleva il mondo. Solleva il mondo grazie a quella bambina che i libri glieli insegna a leggere, ma non alla lettera. "Se si parla di politica, di Dio o dell'amore, la gente mente e lo fa pure in modo noioso. Tutto quello che ti serve sapere su una persona lo capisci dalla sua risposta alla domanda: Qual è il tuo libro preferito?". Lo finisci, La misura della felicità, e per un giorno, anche se è esagerato, diresti che è questo il tuo libro preferito. Il sorriso ebete che indossi è la via. La sensazione che tanti pensieri siano in rima con i tuoi – l'amicizia con gli addetti stampa, l'affetto per chi ha i tuoi stessi gusti, la gioia di un commento - spiega il tuo sentirti meglio al mondo. Non è vero che i libri ci isolano. Guarda guarda gente che c'è. Vivi e lascia vivere, tu. Leggi e lascia leggere. Il mio voto: ★★★★★ Il mio consiglio musicale: Paramore - The Only Exception
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