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Recensione: "Ritratto di donna in cremisi" di Simona Ahrnstedt

Creato il 26 settembre 2011 da Lauragiussani
Titolo: Ritratto di donna in cremisi
Autore: Simona AhrnstedtEditore: Sperling & KuperData uscita: 6 settembre 2011Pagine: 448Prezzo: 19,90 euro
Stoccolma, Teatro dell'Opera, dicembre 1880. Lei è Beatrice Lowenstrom, bellissima, dai meravigliosi capelli rosso fuoco, prigioniera della sua famiglia adottiva e delle loro rigide convenzioni borghesi. Lui e il carismatico Seth Hammerstaal, lo scapolo più discusso della città, affascinante e inaffidabile, che non ha mai vissuto secondo gli schemi. Quella sera, a teatro, le loro strade si incrociano per non separarsi mai più: Seth è incantato dall'intelligenza e dal fascino di Beatrice, una donna che non assomiglia a nessun'altra, e il loro sarà un amore complicato e fatale, unico e folle. Ma la famiglia di Beatrice ha in serbo per lei ben altro destino...

RECENSIONE: Un valido romance storico, spacciato per un capolavoro alla Jane Austen ma in realtà molto più simile ai bei romanzi che portano la firma di autrici quali Woodiwiss, Kleypas e McNaught.(Attenzione: spoiler!)

“Stoccolma 1880. Una storia d’amore.” E’ così che si presenta - in sintesi - questo grazioso romanzo la cui autrice è stata erroneamente definita come “La nuova Jane Austen” svedese. Sempre più spesso le sparate pubblicitarie sembrano risentire di effetto boomerang che – a mio avviso – non è affatto da sottovalutare. Creano attesa e illusioni, portano le aspettative ai più alti livelli… E dopo l’acquisto, il lettore sprofonda puntualmente nella delusione, sentendosi oltremodo ingannato, se non addirittura tradito. Il problema è che spesso non c’è davvero bisogno di tutto ciò. Un buon romanzo può essere benissimo un buon romanzo, apprezzato per le sue qualità e criticato per i difetti… Presentarlo come una rivelazione sconvolgente sortisce come unico effetto un giudizio più duro e negativo di quanto meritato. Perché quella che potrebbe rivelarsi una piacevole e graziosa lettura viene invece vissuta come l’ennesima cocente delusione.E’ un po’ il caso di questo romanzo. Così come l’autrice non può essere certo paragonata a Jane Austen (piuttosto che alle sorelle Bronte), allo stesso modo il romanzo “Ritratto di donna in cremisi” nulla ha a che vedere con classici quali “Orgoglio e Pregiudizio” e “Ragione e sentimento”.Si tratta invece di un buon romance storico, godibilissimo, sulle orme di autrici ben note quali Kathleen Woodiwiss, Lisa Kleypas (“Sognando te”) e Judith McNaught (saga dei Westmoreland). Ho apprezzato molto l’ambientazione insolita ma, essendo l’autrice praticamente di casa, mi aspettavo un resoconto meno stringato, con maggiore spazio dedicato alle descrizioni del paesaggio, curiosità sullo stile di vita, così da incantare il lettore con un panorama davvero nuovo. La Svezia è sì presente tra le pagine, ma un po’ all’acqua di rose. Diciamo che s’intravvede, più che altro. L’altra principale location è la Normandia.Il titolo e la cover, azzeccati ed eleganti, richiamano il colore che sembra voler permeare l’intera vicenda dall’inizio alla fine: il rosso, in tutte le sue concezioni e tonalità. Un po’ meno felice è il prezzo, che sfiora l’astronomica cifra di venti euro, aspetto che certamente terrà a distanza i lettori più parsimoniosi (e in questi ultimi tempi sono molti), o più semplicemente gli indecisi. Non so se sia prevista un’edizione tascabile in futuro, ma nel caso, sarebbe forse meglio portare un po’ di pazienza e propendere per quella.Belli i protagonisti, a tratti un po’ stereotipati – in questi romance storici un po’ lo sono sempre – ma comunque sempre piacevoli e intriganti. Lui, Seth Hammerstaal, è un norvegese tutto d’un pezzo, intraprendente e sicuro di sé, affascinante (ovviamente), che si è costruito da solo la sua piccola fortuna e si porta appresso il pesante fardello di un triste e doloroso passato. A tratti mi ha ricordato molto il “Derek Craven” della Kleypas, un gran bel protagonista (in tutti i sensi). Con Seth l’autrice esce brevemente dai confini nazionali, portando una fresca ventata d’aria dalla Norvegia. Può sembrare una considerazione piccola e insignificante, ma in un periodo (Post-Larsson) in cui le firme svedesi sembrano andare quasi di moda, è piacevole vedere che c’è chi si ricorda ancora che la penisola scandinava comprende anche Norvegia e Finlandia.Beatrice – la protagonista femminile il cui nome fortunatamente non viene troncato in Bea – è una giovane donna che, dopo la perdita dei genitori, vive insieme a uno zio severo e calcolatore, una zia senza voce in capitolo, una cugina – Sophie- affettuosa ma tanto ingenua e un cugino – Edvard – bello in apparenza e morbosamente crudele nel profondo.Premesso che in questo genere di romanzi gli schemi di base non sono molto variegati, la storia ideata dalla Ahrnstedt si articola seguendo questo modello: i due si incontrano, rimangono piacevolmente sorpresi e manifestano il desiderio di approfondire la conoscenza. L’intervento del cattivo di turno (qui lo zio e il cugino di Beatrice, con l’aggiunta del conte Rosenschiold) minano pesantemente il giovane equilibrio appena instauratosi tra i due, dando il via a tutta una serie di incomprensioni e fraintendimenti durante i quali lei agisce in modo apparentemente superficiale ed egoista (ma in realtà è sempre a fin di bene, o comunque sotto costrizione), lui di conseguenza si sente preso in giro e diventa cinico, odioso e vendicativo… Nonostante tutto ciò, l’attrazione tra i due permane, forte e immutata come all’inizio. I nodi, come sempre, vengono al pettine solo verso la fine del romanzo, tra spiegazioni, rimorsi e perdono.Il racconto è lineare, lo stile fresco e scorrevole. La coerenza non manca, anche se su alcuni punti l’autrice si è lasciata un po’ prendere la mano: Seth tende all’autocommiserazione quanto Beatrice al sacrificio non sempre così necessario. Le incomprensioni diventano tante, forse troppe, sommandosi le une sulle altre ma ripetendo sostanzialmente lo stesso identico schema.Protagonisti a parte, ho apprezzato moltissimo la figura di Vivenne e, a seguire, il personaggio di Jacques. Complici Edvard e il conto Rosenschiold, la storia assume anche toni estremamente cupi e duri, sadici e violenti, arrivando a sfiorare tematiche piuttosto delicate, che arriveranno a toccare la protagonista da vicino. Una scelta azzardata, ma portata avanti con quella determinazione che in molti altri libri di questo genere viene poi a mancare. Visto che la trama la decide l’autore, ho sempre trovato di pessimo gusto tirare in ballo particolari tematiche senza avere poi il coraggio di portarle avanti, sfruttandole quindi come elemento decorativo e ad “effetto”. Già solo per questo la Arhnstedt può dirsi al di sopra di molti romanzi che infestano questo filone, pieni zeppi di clichè mentre promettono colpi di scena, veri intrighi e situazioni sconvolgenti che poi, alla fin fine, si perdono tranquillamente per strada.In conclusione, tre stelline più che abbondanti (graficamente arrotondate a tre per difetto). Credo che il giudizio generale su questo libro dipenderà molto dalle aspettative dei lettori: chi ricercherà anche la più vaga somiglianza con la Austen ne rimarrà inevitabilmente deluso. Al contrario, chi saprà apprezzarlo per il libro che veramente è – un buonissimo romance storico – ne resterà piacevolmente soddisfatto.

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