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Reduci di guerra

Da Vanessa Valentinuzzi
Reduci di guerraUscire da una delusione d’amore è come essere un soldato appena rientrato a casa dopo una guerra. Sceglietela voi la guerra, una qualsiasi andrà bene. Anche una immaginata. Lasciarsi ad agosto, quando tutti vanno in vacanza, è crudele. Eh sì, le ferie,  quella parola che mi suona come una liberazione dalle gabbie. ma la guerra, non conosce le buone maniere, è stagionalmente inopportuna, costosa e feroce. Eccoci lì, saturate le ferite, a riprendere la vita quotidiana, riempiendola di piccole cose o togliendo quelle dolorose. Ogni tanto, però, ci colpisce  una sensazione pungente, magari solo forse perché ci imbattiamo in un oggetto che ci ricorda lui, o lei. La sua marca di cereali preferita che teniamo ancora stupidamente in dispensa e che -non lo avevamo mai detto- si chiama pancia piatta..ma se ne mangi un secchio, amore, non credo che faccia dimagrire, sai?. E insieme l’oggetto porta con sé la cosmica domanda: dove ho sbagliato? Ho dato troppo. Sì, troppo. E lui, o lei, è andato via. E mi manca, e vorrei mandargli un messaggio, raggiungerlo in capo al mondo. Ma questo non cambierebbe nulla. Non lo farebbe innamorare, no. La Guerra è finita e io l’ho persa. Ed è agosto e la notte non riesco a dormire. Le strade della città sono libere, e il mio appartamento è fresco. Metto su un film, ci vuole una commedia. Poi leggo; questa per me è l'estate di Franzen. Desidero un lungo sonno, quello dei giusti, ma non arriva. Troppi i  ricordi della trincea amorosa. Se potessi sognare di nuovo e vedere un colore viola avvolgermi a sé, ritroverei la pace. Internet, leggo il corriere ma  beata la Pellegrini, vincente e spensierata, che si diverta! Mi addormento un po'. Forse tre ore. E son le otto, un caffè ci vuole. Metto via i libri, i cd  i film (d'azione) che piacevano a lui accompagnati da quell’intenso, lancinante dolore allo stomaco che ti esplode come una mina. E ci metto tre ore per riporre i dvd nello scaffale, per fare ordine intorno quando l’ordine nel cuore non c’è. O almeno per adesso. Poi tanto lo sai che guarirai, ma ti porterai dietro sempre la delusione, quel sentimento dalle basse frequenze, acido come il latte scaduto.  E ancora ripongo i dvd sull’interminabile scaffale. Mi ero illusa. Ecco i pensieri dell'abbandonata, della vittima. Ma no, considerazioni postume di un soldato che ha dato tutto per la causa. Finchè la pazienza non si è esaurita. Ho creduto a quello che lui mi diceva, quando le azioni non corrispondevano a tanto slancio pindarico con le parole. Troppo facile dire che sei la femmina per eccellenza, e poi non esserci.  Non avere attenzione ai desideri dell’altro. E ti senti stupida per quelle belle cose che gli hai scritto. Come si fa a sedare questo tormento? Andare a correre, forse, allacciare le scarpe da corsa, mettere i tuoi pantacollant neri, guardare le tue gambe sportive con orgoglio, la tua schiena dritta e fiera frutto di tanta fatica e degli esercizi di danza. Ma non è abbastanza, non è della tua bellezza di donna che lui si innamorerà, né della tua intelligenza, o della tua solarità, né della tua dolcezza che decantava tanto. Colpa tua, ti ripeti mentre rifai il letto, prima di andare ad allenarti. Eri troppo presente. L'uomo ama essere trattato male. Devi cambiare, per salvarti. E quel letto, ci impieghi un’ora, perché adesso è immenso e quelle lenzuola sono così grandi e accidenti a lui, quel cellulare sul comodino non squilla più. Forse sei su Facebook. Sì, ci sei. Ma la guerra è finita, e io sono una reduce che si sta riadattando, o almeno ci sta provando, anche se forse la guerra mi manca, perché più nascondi, più crei dipendenza. Rubo questa frase che mi piace a Simone Annichiarico, e cercherò di farne una regola sentimentale usandola come disinfettante per le ferite belliche. Chissà se funziona Simone, ma quando uno è disperato le medicine le prova tutte.
E il mio lui chissà dov'è e con chi? Il tuo nome, non riesco neanche a scriverlo. Ma tu ci sei ancora, soprattutto ora che non ci sei. Ecco questo da te, devo impararlo. Prendo le chiavi, l’i-pod e prima di chiudere la porta guardo l'ingresso, ti ricordi  quando ti dicevo vieni a correre con me? Tanto tempo fa, prima della guerra.
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