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Ribellioni femminili

Creato il 11 aprile 2014 da Lundici @lundici_it
shirin neshat al lavoro

 Sette donne. Sette artiste. Sette sognatrici.

La donna trova nell’arte il suo rifugio. Un luogo dove la sua mente può evadere ed entrare in simbiosi con i mondi possibili dell’inconscio cosmico. Liberazione dalla gabbia morale. Libera dal pensiero comune. Libertà senza reti ma solo un passo, due passi, tre passi verso ciò che si chiama identità non plasmata. L’arte e la donna si incontrano. La donna che dalle piccole cose crea la differenza. Sogna, e attraverso il sogno crea. Trasforma la realtà che la circonda. Il sogno non è illusione. Non è fantasia. Il sogno è una finestra dalla quale si osserva la concretezza della realtà. Sogno e realtà incrociano le loro strade. La donna crea. L’ha sempre fatto anche quando la società non glielo permetteva. La donna crea e si libera.

“Risolvere il problema della vita perdendosi nel problema dell’arte”

Tina Modotti

Tina Modotti

 

Assunta Adelaide Luigia Modotti, detta Tina

Rappresenta uno dei casi in cui l’arte scinde la sua poetica con la politica. Nata nel 1896 ad Udine, passò gran parte della sua vita in un Messico carico di energie e fermenti artistici. Frequentando intellettuali comunisti ed artisti d’avanguardia, tra i quali Diego Riveira, Frida Kahlo e il pittore Xavier Guerrero si avvicina ad un ideale attento alla miseria e alle privazioni del popolo. La fotografia diventa lo strumento attraverso il quale potersi relazionare con il mondo, non solo assumendo un atteggiamento passivo aldilà dell’obiettivo ma facendo parte essa stessa di ciò che la circonda. Nucleo centrale del suo lavoro fu la foto “Parata di lavoratori”. Scattata in occasione dei festeggiamenti del 1 Maggio 1926, coglie l’anima del popolo trasmettendone la forza . Un popolo che prende coscienza di sé, che vuole far sentire la propria voce sotto i sombreri. Festanti, uniti.

Madame Yevonde

Madame Yevonde

 

Yevonde Cumbers

oprattutto se si pensa a ritratti come Medusa interpretata da Mrs. Mayer in cui la dama aristocratica assume uno sguardo sensuale ma allo stesso tempo inquietante. Medusa fa parte dei ritratti Goddesses and Others, serie che rese Yevonde famosa e riconosciuta.Nata nel 1893 fu una femminista, una fotografa. Trovò nella realizzazione di tableaux vivants un porto sicuro in cui evadere, un luogo in cui l’impossibile diventa possibile. Miti del passato rinascono prendendo forma nei corpi eleganti di nobildonne appartenenti all’alta società. Il suo obiettivo era quello di dar vita alla new woman, una figura femminile che combacerà perfettamente con gli ideali femministi del tempo e che si libererà da ciò che l’epoca vittoriana aveva sino a quel momento imposto come angelo del focolare: una donna forte, coraggiosa, aggressiva e seducente. Una fotografia pittorica che rivendica il potere dell’universo femminile, serie che rese  Yevonde famosa e riconosciuta.

Gina Pane
Gina Pane

Gina Pane

Nata nel 1939, è una delle principali esponenti della Body Art. Il suo corpo diviene terreno esperienziale per eccellenza, oggetto del risveglio sensoriale assuefatto dall’avvento dei prodotti di massa. Una società le cui fondamenta non si costituiscono più dall’io dell’individuo, ma bensì da ciò che l’io possiede. Ecco perché la Pane decide di guarire, risvegliare i propri sensi attraverso il dolore autoindotto. Da cosa? Da tutto ciò che di appuntito esiste: lamette, schegge di vetro, spine. Gina pane ha preso il suo corpo e ne ha fatto arte.
Vivere il proprio corpo vuol dire allo stesso modo scoprire sia la propria debolezza, sia la tragica ed impietosa schiavitù delle proprie manchevolezze, della propria usura e della propria precarietà. Inoltre, questo significa prendere coscienza dei propri fantasmi che non sono nient’altro che il riflesso dei miti creati dalla società… il corpo (la sua gestualità) è una scrittura a tutto tondo, un sistema di segni che rappresentano, che traducono la ricerca infinita dell’Altro.

Yoko Ono

Yoko Ono

Yoko Ono

Una parola per descrivere Yoko Ono: Zen. La realtà che si rivela dinanzi ai nostri occhi. Occhi abituati, stanchi di osservare ogni giorno gli stessi oggetti, le stesse persone, gli stessi luoghi. Eppure dentro a ciò che consideriamo monotono possiamo scoprire di più. “Ci sono mille soli che sorgono ogni giorno. Noi ne vediamo uno solo a causa della nostra fissazione per il pensiero monistico”. In questa frase troviamo racchiusa la poetica dell’artista giapponese che attraverso un libro dal nome “Grapefruit- Istruzioni per l’arte e per la vita” attua e consiglia dei suggerimenti da mettere in atto ovunque se ne senta l’esigenza. Nove capitoli dedicati ognuno ad un tipo di arte: dalla musica alla pittura, dalla poesia all’arte contemporanea. Haiku della quotidianità volti a sbloccare la nostra mente per poter sentire il suono al suo interno. Suggerimenti facilmente applicabili come “ Disegna una mappa per perderti” o “Quando intrattieni gli ospiti, tira fuori la biancheria del giorno e spiega loro di ciascun capo. Come e quando si è sporcato e perché etc.”. Sino ad arrivare a consigli per la nostra ipersensibilità intasata dalla tecnologia come “Metti su nastro le voci dei pesci in una notte di luna piena” o semplicemente “Ascolta un cuore che batte”. La realtà, la nostra realtà, diventa una forma di esperienza.

Francesca Woodsman
Francesca Woodman

Francesca Woodman

Pittrice nella fotografia. Francesca Woodman, fragile artista dell’arte contemporanea. Ironica, schietta, provocatoria, è lei stessa protagonista delle sue creazioni il cui nucleo centrale sta nell’armonia tra la corporeità e l’ambiente naturale o architettonico circostante. Lavorò quasi esclusivamente con l’autoscatto focalizzandosi soprattutto sul corpo, decidendo di tralasciare il volto che spesso risulta trasfigurato, nascosto, sfuocato. Nelle sue immagini traspare l’ansia di immergersi completamente nell’ambiente con tutto ciò che di inanimato esiste. Un ambiente che perlopiù sarà quello domestico che porta con sé l’aura del passato e del ricordo.

Cindy Sherman

Il viso si trasforma in una tela sulla quale esprimere il proprio sé attraverso la finzione. Tramite i suoi self-portraits, Cindy Sherman lavora su travestimenti di matrice duchampiana giocando sulla ricerca di sé stessi intesi come diverse entità. Un’artista performativa che attraverso il travestimento mette in scena in chiave parodistica gli stereotipi imposti dalla società alla donna e il desiderio dell’individuo comune di identificarsi con l’immaginario mediatico veicolato da mezzi come il cinema.

Cindy Sherman

Cindy Sherman

«Quando andavo a scuola cominciava a disgustarmi la considerazione religiosa e sacrale dell’arte, e volevo fare qualcosa … che chiunque per strada potesse apprezzare… Ecco perché volevo imitare qualcosa di appartenente alla cultura, e nel contempo prendermi gioco di quella stessa cultura. Quando non ero al lavoro ero così ossessionata dal cambiare la mia identità che lo facevo anche senza predisporre prima la macchina fotografica, e anche se non c’era nessuno a guardarmi, per andare in giro»

Shirin Neshat

Shirin Neshat

Shirin Neshat

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