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Ricomincio da un libro che non mi è piaciuto…

Creato il 12 maggio 2014 da Frailibri

Sono stata tanto tempo lontana dal blog. Traslochi, lavoro, poco tempo a disposizione, tanti libri letti, tanti libri impacchettati e imprigionati negli scatoloni.
Mi hanno “passato” questo libro da cui riparto, che non mi è piaciuto. Ovviamente, come tutte, è un’opinione personale, che vi voglio lasciare. Fatene ciò che preferite. E se lo leggerete, ditemi la vostra, fatemi ricredere.

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Emanuele Trevi, Il libro della gioia perpetua, Rizzoli (2010) *Scala italiani*, 368 pagine, euro 19,50 (edizione 2013 BUR, 11 euro)

Lo scrittore e critico Emanuele Trevi viene invitato per partecipare come relatore di una conferenza su un argomento altisonante in un piccolo paesino vicino Napoli. Arrivato a destinazione, scopre che l’incontro è stato cancellato, ma decide di non ripartire subito. Questa diventa l’occasione per incontrare una donna (la signora Mastellone) che sarà un’amica importante e gli darà un libro fotocopiato, scritto da una bambina di otto anni, il Libro di Clara e Riki (che rappresenta la “chicca” finale del libro: fogli di quaderno con il Libro scritto a mano e disegnato da Chiara Gamberale). Dal libro partirà tutta la narrazione e il suo rapporto con personaggi reali e di fantasia, oltre che il rapporto con se stesso e il suo lavoro.

Trevi scrive bene. Sceglie i termini da utilizzare, incrociare, affiancare in maniera ponderata (lo si intuisce dalla perfetta costruzione della prosa), ha una dote naturale per metafore e similitudini (una fra le prime, quella sulla menzogna, è veramente notevole), tiene perfettamente il ritmo per tutta la narrazione. Nonostante il mestiere, l’idea di base (il Libro avuto in dono, da cui si dipartono una serie di considerazioni e relazioni) non troppo originale ma ben portata, non sono riuscita ad appassionarmi al libro. Sono stata presa e lasciata una quantità innumerevole di volte; quando pensavo di essere dentro la storia, perfettamente in carreggiata, uno scossone mi mandava fuori strada e mi faceva perdere attenzione.

E di scossoni in questo libro (non lo chiamerei nemmeno romanzo) ce ne sono tanti.

Il primo è questo continuo rivolgersi al lettore, più per richiamare l’attenzione, a ribadire concetti troppo alti che magari potrebbe non capire.
Un altro punto di distacco è l’eccessiva celebrazione di sé “scrittore e critico”. Sembra che ogni cosa, anche la storia del Libro di Clara e Riki, che dovrebbe rappresentare un espediente originale per costruire una vicenda interessante, e ogni singolo rapporto umano intessuto da Trevi durante la sua avventura sia giocato in funzione di una celebrazione di sé, del suo sapere, delle sue capacità.

Emblematici in tal senso due episodi: il marito (ormai morto) della signora Mastellone rimane affascinato e addirittura turbato da un racconto di un giovane Trevi, La noce, che lui stesso – con falsa modestia – giudica di poco conto (e almeno in questo mi trova d’accordo). Trevi non fa che ribadire, in alcune occasioni anche forzando la discussione, quanto sia scioccato dal fatto che un uomo di grandissima cultura, uomo che ha sempre letto e analizzato autori e saggi importanti, come il signor Lucchesi (marito della signora Mastellone) abbia dato così tanta importanza e rilevanza a quel racconto, ci torna su continuamente. Secondo episodio: un suo amico legge il racconto e ne rimane affascinato anche lui, a tal punto da scrivere una lettera complimentosissima a Trevi. E noi lettori assistiamo inermi a questo sbrodolamento di complimenti chiedendoci perché?

Altra parte di questo libro che risulta abbastanza difficile da seguire sta nel fatto che Trevi racconti con il suo occhio critico (e sapiente, si legge chiaramente fra le righe) il Libro di Clara e Riki, storia abbastanza semplice e godibile, nell’ottica in cui sia scritta da una bambina di otto anni – quando finalmente hai modo di leggerla con i tuoi occhi e i tuoi pensieri, come dovrebbe essere per tutti i libri, senza lo “spiegone” che ti dice pedissequamente come, perché leggerlo – che in mano a Trevi diventa Il pendolo di Foucault, da sviscerare in ogni dettaglio, parola, intenzione per carpirne il mistero e l’importanza.

Anche l’espediente per il quale viene in possesso delle fotocopie del libro è abbastanza banale: uno scrittore (e critico) deve partecipare a una conferenza in un paese e la prima sciura gli “molla” un manoscritto. Come succede a tutte le presentazioni, i convegni, gli incontri con un qualunque scrittore mediamente famoso.
Parallela a questa descrizione del Libro e del contesto in cui è stato scritto, procede un’amicizia telefonica con la signora Mastellone (lei ha dato il manoscritto a Trevi). Dinamica abbastanza interessante, se non fosse che i due si scambiano banali consigli di vita (sembrano Paulo Coelho e Romano Battaglia a confronto) e si sdilinquiscono in complimenti reciproci.

Anche i personaggi, tutti, perfino Trevi, vivono in superficie, come fossero loro stessi stereotipi, espedienti per alimentare ulteriormente un solipsismo letterario che sembra essere il principale filo conduttore del libro.



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