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Ricordi dell'Oltrecortina

Creato il 16 aprile 2014 da Valeskywalker @valeskywalker
Ricordi dell'OltrecortinaDavanti alla Fontana di Trevi, sabato sera , due amiche siedono su una delle ringhiere, avvolte dalla mite e chiassosa notte romana: dapprima osservano in silenzio la bellezza della Fontana, pensando ciascuna al suo, poi si ritrovano a chiaccherare di quanto e' bella Roma. L'italiana l'ha visitata la prima volta a 27 anni, insieme al fidanzato polacco che gia' allora, pur non avendo due lire in tasca, ci era gia' stato otto volte. La polacca c'e' stata la prima volta da piccola, in vacanza in tenda con i gentiori. Memorie di un'avventura incredibile, non solo per l'unicita' della citta' Eterna: quelli erano viaggi in un altro mondo davvero.
Solo due sere prima, l'italiana ascoltava altri amici intorno al tavolo di casa sua, raccontare di com'era andare in vacanza oltrecortina.
Il problema  principale per andare in vacanza fuori dalla Polonia era che il passaporto non lo si aveva in casa, lo tenevano loro e per far si che te lo concedessero dovevi spiegare dove andavi, quando tornavi, che facevi. 
C'erano periodi che non si preoccupavano troppo di dare i passaporti anche se sapevano che poi quelle persone non sarebbero piu' tornate ma avrebbero tentanto la fortuna in Germania o in America, anche se ovviamente non le avrebbero fatte rientrare alla frontiera, percio' erano viaggi senza ritorno. 
In generale, invece, per essere sicuri che tornassi, ti concedevano di prendere il tuo passaporto per andare all'estero solo se restava a casa un altro membro della famiglia. Insomma poter andare tutti in vacanza, mamma papa' e figli, era gia' vincere una piccola lotteria presso l'ufficio che ti permetteva di prendere il tuo passaporto per quel numero di giorni. Cosi' prima di andarlo a chiedere dovevi gia' sapere dove volevi andare e quanto stare.

La lista, dovevi compilare una lista di tutto quello che ti portavi dietro: quante tende da campeggio, quante pentole, quanti sacchi a pelo, quanto di tutto: al ritorno controllavano la lista e potevano decidere di perquisire l'auto per verificare che non mancasse nulla : il punto e' che si andava in vacanza cercando di scambiare prima del ritorno quello che  si poteva ritrovare facilmente in Polonia cen quello che invece non era disponibile. 
A mio padre successe: ricordo ancora quelli che gli gridavano Dov'e' la sua tenda??  Io avevo paura che lo arrestassero e lui rispose "Gli zingari! Ce l'hanno rubata!". 
Durante il comunismo il problema principale e' che anche se avevi i soldi per comprare le cose, non c'erano. O erano completamente dislocate: in Polonia avevano le tende, in Ungheria avevano gli scarponi, e cosi' via. Per cui si compravano le cose che c'erano e si barattavano, nella vita di tutti i giorni. Le code per comprare un altro frigo, solo per poterlo scambiare con chi aveva una lavatrice. Aspettare anni per avere un appartamento. Senno' andavi al Pewex, che vendeva appartamenti, auto,  elettrodomestici, giocattoli, carta igienica, insomma, tutto quello che mancava nei negozi normali: costava carissimo perche' il regime ci guadagnava  sopra una bella cresta e soprattutto potevi compraci solo se avevi valuta straniera, cosi' il regime prelevava dalle tasche dei cittadini i soldi ricevuti dai parenti all'estero.
Anche se costava tanto di piu', il sogno era andare in vacanza in quell'altro mondo che era la Comunita Europea: Grecia, Italia: posti di sole, di mare, di bar con i tavolini fuori e di negozi stracolmi di cibo, di merci, di tutto. 
Per noi che vivevamo in zloty, il cambio era pesante, allora si dormiva sempre in tenda e si comprava il cibo al supermercato e si facevano panini, pero' ricordo ancora quella volta che andammo al ristorante come gli alti e prendemmo la pizza.

Pero' se riuscivi a comprare una bici in Italia e riportarla a casa, vendendola ti ripagavi sia la bici che meta' delle vacanze,che le bici non si trovavano mai.

Io ricordo al rientro dalla Grecia in Bulgaria ci fecero entrare con l'auto dentro un garage tutto buio, morivo di paura seduto dietro con mio fratello. Coprirono tutta l'auto con una schiuma e poi la lavarono. Fummo disinfettati perche' rientravamo dalla Comunita' Europea.
Si, le vacanze con la tenda in Italia erano fantastiche, passare le Alpi, le montagne piu' alte, e poi giu' al mare.
Tutta la gente era vestita bene, tutto era colorato, i negozi erano strapieni di cose. 
E le strade,  le strade erano piene di gente, di giorno e di notte, di musica e di buoni profumi di cibo, di fiori e di mare.
Ryszard Kapuściński descrisse cosi' il suo arrivo a Roma, il suo primo viaggio oltrecortina, nel libro In viaggio con Erodoto
"Ad un certo punto Mario mi prese per un braccio e, indicandomi il finestrino, disse: Guarda!
Guardai e rimasi senza fiato.
Sotto di me il vasto spazio notturno nel quale stavamo volando rigurgitava di luce. Una luce abbagliante, scintillante, vibrante. Sembrava che li sotto ardesse una materia liquida la cui superficie lucente pulsasse di chiarore, si sollevasse e ricadesse, si dilatasse e si restringesse,tanto quel quadro luminoso era vibrante,  mobile e carico di energia. 
Era la prima volta che vedevo una citta' illuminata. Tutte le citta' e cittadine visitate fino ad allora erano orribilmente buie: non una vetrina illuminata, non una reclame a colori. Anche i lampioni stradali, quando c'erano, facevano poca luce. Che bisogno c'era di luminarie? Da noi, di notte,  le strade la notte erano deserte, le macchine rare.
A mano a mano che perdevamo quota, il panorama di luci cresceva e si ingrandiva a vista d'occhio.
A un certo punto l'aereo urto' contro la pista di cemento, sferraglio' e stridette. Eravamo arrivati. L'aeroporto di Roma, un grande blocco vetrato pieno di gente. Nella sera tiepida andammo in centro nelle strade affollate e piene di movimento. Il chiasso, il traffico, le luci e i suoni agivano come una droga. A tratti non riuscivo piu' a capire dove fossi.Dovevo sembrare un selvaggio: frastornato, quasi intimorito, con gli occhi sgranati intenti a vedere, distinguere e afferrare ogni cosa.
La mattina dopo udii chiacchere nella camera accanto.Riconobbi la voce di Mario. In seguito venni a sapere che c'era stata una discussione su come darmi un aspetto civile, visto il mio abbigliamento nel piu' puro stile Patto di Varsavia 1956. Indossavo un gessato in cheviot a vivaci righe grigioazzurre, con giacca doppiopetto a spalline squadrate e sporgenti, ampi pantaloni ricadenti e rovescia alta un palmo. Camicia in nylon giallo chiaro e cravatta verde a quadri. Ai piedi massicci mocassini dalle grosse suole rigide.
In realta' lo scontro tra Occidente ed Oriente non si svolgeva solo nei poligoni di tiro, ma in  tutti i settori della vita. Se l'Occidente vestiva leggero, l'Oriente, per contrasto, vestiva pesante: se l'Occidente vestiva abiti attillati, l'Oriente adottava la linea a sacco. Chi arrivava da oltrecortina non aveva bisogno del passaporto, lo riconoscevano a distanza."

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