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Riduzionismo identitario e analisi geopolitica

Creato il 27 marzo 2015 da Geopoliticarivista @GeopoliticaR
Riduzionismo identitario e analisi geopolitica

Editoriale a L’Islam Politico alla prova del potere, numero 1/2 del Vol. III di “Geopolitica”

 
The study of the relationship between religion and geopolitical analysis has led to renewed interest among scholars and analysts since the revolution led by Ayatollah Khomeini and the involvement of the Mujahideen movement in contemporary Soviet-Afghan war. The two episodes, in fact, in addition to being major geopolitical events, in some ways a forerunner of the incipient disintegration of the bipolar system, have reinserted the religious element in international dynamics as an essential factor useful for the understanding of the global scenario. According to the Author, religious fundamentalism is a reductionist interpretation of the religion itself, which aims to be a decisive and structural factor for the construction of neo-ideological identities and the definition of their geopolitical projection.

 
Dopo la crisi delle ideologie otto-novecentesche, prepotentemente affiorata nel corso degli ultimi due-tre decenni del secolo scorso, coeva e connessa al collasso del vecchio ordine bipolare, la religione ha, nel corso del tempo, assunto un peso sempre più dominante e strutturale nella costruzione di quelle che possiamo definire indicativamente “neoideologie identitarie”. Ciò è riscontrabile in alcune aree particolari del pianeta, come per esempio il Vicino e Medio Oriente. In questo quadrante geopolitico, la religione ha assunto, in seguito anche all’attentato delle Torri gemelle del 2001, un ruolo preminente nelle intricate e complesse questioni internazionali.

Se per quanto concerne l’ambito della teoria e dell’analisi geopolitica, pur non trascurando l’apporto metodologico di Samuel Huntington1, si deve certamente al francese François Thual2 l’aver riproposto una specifica riflessione sul fattore religioso, quale elemento imprescindibile per la piena comprensione di alcuni fra i più complessi scenari regionali; per quello riguardante invece la prassi geopolitica, è metodologicamente doveroso riferirsi ai due seguenti eventi, coevi, ma diametralmente opposti: il processo rivoluzionario avviato da Khomeini, conclusosi con l’instaurazione della Repubblica Islamica dell’Iran, e l’esperienza dei mujāhidīn nella guerra sovieto-afghana.

In Iran, il fattore religioso, declinato in una accezione del tutto particolare, oltre ad esprimere pienamente la sua capacità attrattiva, sia rispetto alla popolazione, sia rispetto ad ampi strati della classe dirigente del Paese, è riuscito ad imporsi a livello statuale, costituendo, in un delicato equilibrio ideologico-confessionale, una parte rilevante, se non fondamentale, della visione ispiratrice3 del sistema di governo tuttora imperante. Nel caso dell’Iran, la rielaborazione della religione islamica, avvenuta nel corso di un intenso processo storico che va perlomeno dagli albori della rivoluzione khomeinista (1963) fino ai nostri giorni, si è esplicitata in una sintesi, peraltro continuamente riattualizzata sotto l’impulso del vertice della Repubblica islamica, tra il potere temporale e l’autorità spirituale, tale da permeare, con successo, la gestione pratica di una società moderna e perciò stesso altamente complessa.

Ma l’Iran rappresenta, finora, un’eccezione. Altri movimenti politici ispirati all’Islam, come ad esempio il movimento talebano, in parte erede dei mujāhidīn sopra citati, e quello dei Fratelli musulmani, alla “prova del potere”, infatti, hanno miseramente fallito. Le cause dell’insuccesso di questi movimenti sono ovviamente molteplici e varie, esogene ed endogene. Notiamo che l’incapacità di cogliere le trasformazioni in atto, di realizzare valide e durature alleanze, di proporre alternative realistiche e praticabili ai modelli occidentali e di sostituire le vecchie oligarchie presenti nei Paesi, ove la loro penetrazione e radicamento li aveva portati alla conquista del potere, derivano, sostanzialmente, dalla loro interpretazione schematica e riduttiva del grande lascito culturale e storico proprio alla religione islamica. Il riduzionismo identitario, tipico di questi movimenti, più marcato nel caso estremo dei talebani, più variegato nel caso dei Fratelli musulmani, non solo inficia la loro azione politica ma pone gravi ipoteche sull’attività di governo nel medio e lungo periodo. In particolare, il riduzionismo identitario applicato all’Islam, ossia il cosiddetto islamismo politico, mal si coniuga con la gestione della complessità richiesta nella conduzione del potere di una nazione nell’epoca attuale, ove i fattori di interdipendenza internazionale negli ambiti economici, politici e militari pesano grandemente sulle scelte dei governanti influenzandone la dinamica geopolitica.


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