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Il territorio controllato dallo Stato Islamico, è molto complicato - e grande (più o meno come il Belgio o la Giordania, se volete).
All'interno del neonato Califfato esclusivamente sunnita (come dai piani storici di Zarqawi), ci sono ex-baathisti, ex membri dell'esercito di Saddam, tribù locali anche molto influenti, cani sciolti, milizie, spesso tutti mescolati e inquinati a vicenda. Tutti sono in fermento più o meno da sempre: fermento che è stato reso ancora più indisciplinato dai governi di Maliki. Le mosse dell'esecutivo negli ultimi quattro anni sono state piene di esclusioni e violenze settarie, corrotte, non funzionali - per usare un eufemismo - alla stabilità.
Per il momento è l'odio verso il primo ministro ad accomunare, più o meno, tutte queste voci: la differenza rispetto a quello visto finora, è che lo Stato Islamico è riuscito ad andare oltre le divisioni di queste fazioni e raggrupparle nel proprio progetto. Fare quello che è stato fatto con soli 8000 uomini (il numero lo ha dato Charles Lister del Brooking Doha Center), non sembra possibile: circostanza che porta - uno+uno - a pensare che i gruppi locali abbiano fin qui dato una mano all'ISIS.
Magari qualcuno ha pensato che l'offensiva dello Stato Islamico potesse essere l'ariete per sbarazzarsi di Maliki - solo (solo?). Ma l'IS sta approfondendo le proprie radici, si sta costituendo in struttura organizzata, sta acquisendo forza, potere, soldi (tanti!) ed esperienza: non c'è un interruttore che accende e spegne l'IS.
Forse, l'unico modo di fermarlo sarà attraverso la contrapposizione dei gruppi sunniti locali, vocati al potere, non inclini alla sottomissione. Forse, perché per il momento stanno fornendo sostegno si diceva; e il rischio è che toglierlo dopo, diventi troppo tardi.
Lo Stato Islamico, ovvio dirlo, non restituirà ciò che ha conquistato.
Così come non lo faranno i curdi: gli unici ad aver opposto seria e solida resistenza all'IS. Hanno preso Kirkuk e non intendono mollarla, pensano a un passaggio secessionista, tengono d’occhio anche Telafar, come via d’accesso a Sinjar. I curdi sono pazienti, d'altronde la loro è una storia di sofferenza, di attesa, di lotta. Alla fine (quando? Ci sarà? Come sarà?) mostreranno il conto. Hanno combattuto e si sono resi disponibili ad aiutare i profughi, ma tutto ha un prezzo. In cambio vorranno l'indipendenza completa, e vorranno terre.
Poi ci sono gli sciiti: i cattivi, quelli che hanno vessato gli altri, quelli di Maliki. Il primo ministro sa che dovrà stare zitto davanti alle pressioni dei gruppi locali dei suoi, ché ora fatica a controllare. Senza le milizie filo-iraniane come la potente Lega dei Giusti di Qais al-Khazali (oggi intervistato dalla BBC) l'esercito iracheno non può andare lontano. E questo sarà un altro conto che verrà presentato.
Non solo: Iran e Russia si sono mosse, gli Stati Uniti pure. Superpotenze che operano - per il momento senza coordinazione, con il rischio di fuoco amico - in Iraq. Che cosa vorranno poi?+
Chi di sicuro ci rimetterà è proprio Maliki: tutti lo stanno isolando, scaricando. Chiunque salta giù dal carro del perdente.
Niente di buono, insomma, all'orizzonte iracheno.
Resta comunque, che per il momento a sentire gli abitanti dei territori conquistati (qui un pezzo in cui Raineri del Foglio ha parlato con un abitante di Mosul), non si vive poi così male. L'applicazione della sharia, annunciata con un editto nella sua forma più severa (ossia niente alcolici, droghe, tabacco, preghiere obbligatorie, donne a volto coperto, e via dicendo), sembra che non sia controllata con troppa durezza. Quasi tutti hanno potuto mantenere i propri lavori: anzi professori e medici sono tutelati, e lo stipendio glielo paga l'IS. Pure le minoranze, cristiani e sciiti civili su tutti, sono abbastanza ok, sebbene debbano pagare dazi allo Stato Islamico.
Certo, all'inizio andava così anche a Raqqa (in Siria, prima città importante completamente controllata dall'allora ISIS). Poi la situazione è degenerata, e si è finito con esecuzioni pubbliche, cadaveri appesi e mani mozzate.
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