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Rifondazione immorale

Creato il 10 aprile 2012 da Zamax

La moralità di una società non si crea con le norme. Alla base di ogni società naturale c’è una solidarietà che si è sviluppata col tempo seguendo le vie della storia, che sono sempre storte, impervie, ma che tendono a fondersi, ad intrecciarsi fino a costituire una rete robusta, atta a sostenere i traffici della civiltà. Se questo sentimento sociale è sviluppato esso costituisce un freno naturale alla corruzione dei costumi perché anche chi vi è inclinato si rende conto dell’interdipendenza dei destini individuali in una società siffatta, e partecipa dell’istinto di conservazione generale. Quando viene meno, ed ognuno trova naturale pensare unicamente per sé, a surrogarlo interviene il cancro legislativo, che peggiora le cose, aumenta il senso di sfiducia, gonfia le prerogative dello stato, e divide gli uomini. Le società più immorali e corrotte sono spesso quelle più burocratizzate.

L’Italia deve fuggire quest’ansia farisaica di rifondazione morale, che è un sentimento distruttivo. E’ esso che ci condanna all’immobilismo, alla paura, alla diffidenza, ad invocare messianicamente l’intervento della legge per risolvere problemi culturali. Chi l’ha alimentato stoltamente ora comincia ad averne paura. A cinque anni di distanza dal lancio de “La Casta”, l’articolo di qualche giorno fa di De Bortoli sul Corriere della Sera suona come un‘excusatio non petita. Scrive De Bortoli:

L’antipolitica è una pratica deteriore che mina le fondamenta delle istituzioni. L’idea che una democrazia possa fare a meno dei partiti è terreno fertile per svolte autoritarie. Le inchieste di Rizzo e Stella, pubblicate dal Corriere , sui costi (scandalosi) della politica sono state lette da più parti con fastidio e disprezzo. Eppure non erano e non sono animate da un pernicioso qualunquismo, ma da una seria preoccupazione per l’immagine pubblica degli organi dello Stato e per la dignità dei rappresentanti della volontà popolare.

Invece “La Casta” fu proprio un libro pernicioso, che io, al contrario degli ingenui, mandai di cuore a quel paese senza mai aprirne una pagina perché, con la scusa dei “fatti”, troppo scoperta era la volontà di far gli occhi dolci all’antipolitica nella speranza di poterla poi controllare a proprio vantaggio. Con “La Casta” la classe soi-disant dirigente sdoganava un populismo vero, dopo anni di chiacchiere su un populismo inesistente, il berlusconismo. Lo dico a quelli che cercano il populismo nello stile dimenticando la sostanza, e specialmente a Galli della Loggia, il quale – manco per caso che ne imbrocchi una – nelle “cadute” di Berlusconi e Bossi vede la fine del ruolo centrale nella politica italiana del “Nord ideologico”, senza rendersi conto che si può dividere il paese orizzontalmente, geograficamente, ma lo si può dividere anche verticalmente, al suo interno, attraverso la lotta di classe, versione marxista di quel puritanesimo giacobino – il democraticismo settario dei “migliori” e dei fedeli alla “Costituzione” – che dai post-comunisti è stato ripreso dopo la caduta del muro. Il vero populismo e le forze della disgregazione sociale stavano per vincere dopo Mani pulite. Fu Berlusconi ad opporvisi. Fu quella di Berlusconi l’unica proposta “nazionale”. Egli imbragò il secessionismo leghista, tirò fuori dall’apartheid la destra missina, mise insieme i pezzi della destra, guardando al futuro. Non per niente chiamò il suo partito “Forza Italia”. La sinistra è ancora ferma alla “questione morale”, che è la negazione della politica, ed è populismo allo stato puro. In questo quadro anche la nascita del governo dei tecnici è stato un sostanziale cedimento all’antipolitica. Lo prova il fatto che l’unica cosa fin qui combinata dal governo Monti è la riforma delle pensioni, fatta appunto in un momento di debolezza o sospensione democratica, allorché partiti e parti sociali erano troppo deboli, e l’opinione pubblica muta, di fronte all’abbrivio rivoluzionario che accompagnava la compagine governativa. Ma i suoi grandi elettori della grande stampa “liberale”, che ora si spaventano del deserto della politica italiana, non se ne avvedono. Forse, tra cinque anni, faranno obliquamente mea culpa. Nel frattempo continueranno a vezzeggiare chi vaneggia di pulizia, pulizia, pulizia…

[pubblicato su Giornalettismo.com]


Filed under: Giornalettismo, Italia Tagged: Antipolitica, Corriere della Sera, Democrazia, Ferruccio De Bortoli, La Casta, Liberalismo, Silvio Berlusconi

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