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Rinnega il tuo nome

Da Gioacchina @disoccupingegna

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Oggi, 25 novembre, è la giornata che Amnesty International dedica al NO alla violenza sulle donne.

Non farò una analisi sociologica del fenomeno, non scriverò parole già dette: il retaggio culturale, il guardare indietro nel nostro peggiore passato, il considerare la donna un oggetto, un possesso, la violenza che si maschera da amore. Non lo dirò. Lo dirà qualcun altro, qualcuno più importante, qualcuno più mediatico, lo diranno in televisione e alla radio, dedicheranno talk show e dibattiti, film e trasmissioni televisive.
Poi forse se ne dimenticheranno.
Forse no.
Forse non cambierà nulla.
O forse no.
Forse cambierà.

Io scriverò solo un racconto.

RINNEGA IL TUO NOME

Camminava lentamente, con estrema sicurezza. Camminava lentamente ma decisa. Non la infastidiva l’aria fredda della notte di fine inverno, non la ostacolava il rumore sordo del buio e della solitudine, lei continuava a camminare. Respirava, però, in modo irregolare, non seguiva il ritmo del battito cardiaco: un paio di respiri lenti e silenziosi, poi uno affannoso e rumoroso, poi di nuovo i respiri calmi e sottili… Nonostante questo, camminava, stringendo i pugni e digrignando i denti. Andava avanti, non sapeva esattamente dove.

“Chiara.” Quella voce nauseante, sperava di non ascoltarla più quando lo aveva lasciato, invece da quel momento lei aveva cominciato a sentirla dovunque: al telefono, quando usciva da lavoro, sotto casa sua, quando andava al cinema con le amiche. Lui c’era sempre, la seguiva, non la lasciava un attimo, la implorava di tornare con lui, le diceva che lui senza di lei non era niente, che l’amava, che lei era il suo ossigeno. Lei, invece, ossigeno, non ne aveva più avuto. “Se mi ami, lasciami stare, ti prego.”, le aveva chiesto lei, ma non era servito a nulla, lui continuava a seguirla, a vessarla, a chiamarla, “Chiara…Chiara”, le diceva sempre e lei aveva incominciato ad odiarlo il suo nome, non lo poteva più sentire, anche in bocca a qualcun altro, faceva lo stesso effetto, la nausea.

Camminava piano, anche se adesso il freddo entrava nelle ossa, lei lo sentiva intorpidire le mani, le braccia, chiunque avrebbe alzato il passo, avrebbe accelerato, almeno per riscaldarsi un po’, lei invece no, decise che il freddo sarebbe stato suo compagno quella sera. Tanto non c’era nessuno, neanche la luna.

“Prova a seguirmi un’altra volta, e io…”, ma non aveva continuato, tanto lui la guardava e sorrideva, ma era un sorriso patologico, un ghigno e lei aveva iniziato a piangere. Lui le era saltato addosso, l’aveva picchiata, l’aveva martoriata con la cinghia dei pantaloni, lei nemmeno aveva urlato, è inutile che dicano che la donna è forte, lei era una donna, ma era debole, piangeva, non ce l’aveva nemmeno la forza per urlare, per gridare aiuto, per reagire. Neanche quando lui se ne era andato, lei aveva semplicemente sciacquato la faccia e aveva ripulito il sangue a terra, vincendo il dolore.

Non c’era la luna e lei camminava al buio, mentre il silenzio veniva interrotto da una lontana sirena della polizia. Camminava piano, lei, ma decisa, i pugni chiusi e la testa che le faceva male, per quanto forte aveva digrignato i denti.

Lo aveva capito una notte cosa gli avrebbe fatto, se l’avesse seguita ancora. Lo aveva capito mentre si rigirava nel letto senza sonno. Aveva pensato tutto in quella notte insonne, quando farlo, come farlo. Sarebbe andata a casa sua una sera, avrebbe suonato alla porta, “Chi è?”, avrebbe chiesto lui, “Sono io”, avrebbe risposto lei, lui avrebbe aperto la porta e avrebbe detto “Chiara!”, quel nome che le dava il vomito, lei gli avrebbe piantato un coltello di venti centimetri nel fegato – con tutte le sue forze, tutte le forze che non aveva avuto fino a quel momento – e sarebbe andata via.

In quella notte fredda di fine inverno, Chiara camminava lentamente ma decisa, aveva gettato il coltello insanguinato e i guanti in un cassonetto e aveva sentito arrivare il camion della nettezza urbana subito dopo e ora sentiva lontana la sirena della polizia. Non c’era nessuno in giro, solo il freddo le faceva compagnia. E forse, da quella notte in avanti, essere chiamata per nome non le avrebbe più dato la nausea. Andava avanti, senza sapere esattamente dove.



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