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Romantico avventuriero

Creato il 06 novembre 2013 da Taxi Drivers @TaxiDriversRoma

Romantico avventuriero

Su questa rubrica si è spesso tentato di ragionare sul senso del western. Circa un anno fa scrivevo quanto segue al riguardo: “Chi ama questo genere sa che la sua natura, la sua vera essenza, non vive nei cavalli, nei paesaggi brulli, nei saloon fumosi, bensì vive in un’astratta, indescrivibile filosofia di vita, che si nasconde nella maniera che i personaggi hanno di affrontare il mondo, nello sguardo di uomini e donne dinanzi ai loro ostacoli, nel fatto che non si fanno conoscere per quello che dicono, per la maniera in cui parlano di sé, ma per quello che fanno e per quello che vive nei segni dei loro volti. Pensiamo a certe opere di Carpenter, 1997 Fuga da New York o il precedente Distretto 13- le brigate della morte. Non sono forse western? Jena Pliskin non è forse figlio di certe figure mistiche e misteriose di Eastwood? O il James Woods di Vampires non è forse un riflesso dell’Holden de Il Mucchio selvaggio? Il western vive persino nello Spielberg de The sugarland express, nella ambiguità “schizzata” dei personaggi e nella grandezza delle emozioni legate alla desolazione del contesto polveroso. Quanti film, non appartenenti a questo genere, ma comunque incredibilmente western, si possono trovare nelle carriere di Aldrich, i fratelli Coen, Siegel e Brooks, ma anche Peckinpah e Eastwood? Se il Far West ci riporta ad un momento storico ben preciso, il western è anche uno stato mentale”. A distanza di tempo non cambierei nulla di quanto scritto, ma aggiungerei qualche tassello. Non è solo una questione iconografica o umorale/atmosferica, che è l’utilizzo che ne ha fatto Carpenter ad esempio, a donare un potenziale “trasversale” al genere. Il western, proprio per la sua semplicità strutturale, il suo essere così naturalmente propenso alla simbologia, è un contenitore, o meglio ancora, un involucro, che può essere riempito da ragionamenti ed umori modernissimi ed attuali. Quindi, non è un caso che qui, su Dust, sono spesso usciti fuori discorsi su femminismo, guerra in Vietnam, segregazione razziale, rivoluzione sessuale, idealismi sessantottini e disillusioni nelle classi dirigenti. Il west cinematografico riesce a raccontare visceralmente la sua epoca, senza fronzoli, né elucubrazioni. Con la sola eccezione di Tom Horn, datato 1980, tutte le pellicole che sono state trattate su questa pagina, sono state realizzate tra il ’65 e il ’75. L’ultimo grande periodo del western. Fase in cui il genere, con tinte spesso violente e crepuscolari (Io sono Valdez e Duello a El Diablo sono ottimi esempi), ha subito una rivoluzione netta, sollevando uno specchio dinanzi ad una società allo sbando, o comunque nel mentre di una profonda metamorfosi socio-politica. Il titolo di questo numero non rientra in questo specifico periodo, ma anticipa l’utilizzo che autori come Brooks e il sempre presente Peckinpah faranno del genere. Romantico avventuriero (1950), anche conosciuto con il titolo alternativo Il fuorilegge del Texas, è un capolavoro che merita di essere conosciuto da un pubblico che non comprende i soli aficionados, che questa pellicola di Henry King (il regista che più di chiunque altro ha aiutato a plasmare la carriera di Peck) tengono in alta considerazione.

Romantico avventuriero

Il noto pistolero Jimmy Ringo (Gregory Peck) è perennemente rincorso dalla reputazione-maledizione di essere la pistola più veloce del west. Tutti vogliono conoscerlo, stringergli la mano, ma i più lo vogliono sfidare, per fama e gloria, per farsi un nome di corsa. Infatti, un giovane in cerca di guai, Eddie (Richard Jaekel), una sera, in un saloon semi-vuoto, lo provoca volutamente e Ringo, nonostante inizialmente cerchi di ignorarlo, volendo solo farsi i fatti suoi, non ha altra scelta che ucciderlo. Al pistolero viene ordinato dallo sceriffo locale di lasciare immediatamente la zona, perché il defunto ha tre fratelli che certamente cercheranno di vendicarsi. Ringo obbedisce e raggiunge la vicina cittadina di Cayenne, dove occupa un angolo del saloon che, come tutti i locali aperti di giorno, è completamente vuoto. Cerca di non dare nell’occhio, ordina da bere e rimane nel punto in cui i raggi del sole, che filtrano dalla vetrina, non riescono a raggiungerlo. Il barista, Mac (Karl Malden), lo riconosce immediatamente e avvisa lo sceriffo Mark Strett (Millard Mitchell, che ruba la scena a tutti), un vecchio amico, nonché complice di malefatte passate. Strett conosce la moglie di Ringo, Peggy (Helen Westcott), che vive poco lontano dalla piccola cittadina. Lei ha cambiato vita e anche cognome, nel tentativo di distruggere qualsiasi ponte che la lega a Ringo. Nel mentre, il nostro protagonista, che ha chiesto a Strett di avvisare l’ex-moglie, se la deve vedere con vari personaggi che, avendolo notato, vogliono la sua testa. Tra questi: Hunt Bromley (Skip Homeier), un giovane aspirante pistolero che, come tanti altri incrociati da Ringo, spera di farsi un nome sfidandolo; Jerry Marlowe (Cliff Clark), pensionato che crede, erroneamente, che sia stato Ringo, anni prima, ad uccidere suo figlio. Ogni ora che passa la situazione si fa sempre più tesa, con lo sceriffo che tenta di placare gli animi della popolazione locale che si affolla davanti alla vetrina del saloon da una parte, e l’ansia di Ringo, che cresce, non sapendo se la madre di suo figlio, che lo crede morto, accetterà di incontrarlo, dall’altra.

Il finale sarà tra i più cinici e tragici che il west abbia visto.

Romantico avventuriero

Mezzogiorno di fuoco (1951) di Fred Zinnemann è considerato universalmente, oltre che un capolavoro, anche il western, per antonomasia, di rottura. Un western in cui il dialogo prende il sopravvento sull’azione, e il protagonista non è più tinto di un eroismo senza macchia, ma ammette di avere paura. Il primo film in cui, sul piano iconografico, l’epopea non è più messa in scena a “pennellate larghe”, non è più fatta di “quadri” e di un’epicità melodrammatica. Zinnemann mette in scena un film dal look crudo, con un bianco e nero quasi documentaristico, e una colonna sonora minimale, del tutto anomala per l’epoca. Se sul piano tecnico (colonna sonora in primis), Romantico avventuriero è senz’altro inferiore al film del regista austriaco, sul piano contenutistico le cose cambiano. The gunfighter, così suona il preferibile titolo originale di Romantico avventuriero, esce nelle sale ben due anni prima e, con un bianco e nero non dissimile, racconta di un figura, ancor meno eroica di quella di Gary Cooper. Qui il protagonista non è un uomo che deve affrontare il suo destino, abbandonato a se stesso, spinto solo dal senso di responsabilità, nonostante la paura e il desiderio di lasciar perdere. Qui abbiamo un fuorilegge, con un codice morale, si, ma pur sempre un assassino. Per di più con il volto di un sex symbol come Gregory Peck. Qui, davvero, per la prima volta troviamo non solo un anti-eroe, ma anche un anti-western. Gran parte degli ottantacinque minuti che compongono il film si svolgono in interni e senza azione, senza tramonti, senza estrazioni di pistola, senza duelli e scazzottate di nessun genere. Basti questa affermazione detta, a testa bassa, da Ringo per rendersi conto di come il mito del pistolero viene smontato dalla penna dello sceneggiatore Nunnally Johnson: “That’s a fine life, ain’t it? Just trying to stay alive. Not really living. Not enjoying anything. Not getting anywhere. Just trying to keep from getting killed… Just waiting to get knocked off by some tough kid, like the kind of kid I was.” L’intera spinta narrativa è data dalla voglia che Ringo ha di cambiare, senza che ciò gli venga permesso. Per quanto tu voglia cambiare, e per quanto tu lo possa fare, è tutto inutile davanti alla percezione che gli altri hanno di te. Non si può cambiare veramente se gli altri non sono disposti a cambiare la loro visione di te. Alcuni negli anni ci hanno letto una metafora del rapporto tra pubblico e artista. Il film, comunque, è attuale oggi come allora, e la sua tematica moderna come non mai perché, prima di tutto, parla di una società, la nostra, che ama giocare con la percezione. Rendere assassini eroi e viceversa. Odiare e amare contemporaneamente. L’amore per l’odio che le masse hanno e avranno sempre. Un capolavoro tutto da scoprire.

La prossima settimana: Sfida nella citta morta

 

Eugenio Ercolani


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