Magazine Cultura
Quando, una vita fà (1982), mi avventurai per il mio primo viaggio all'estero in macchina e attraversai con un amico la Francia, dal sud al nord, evitando come la peste le autostrade per via del risicatissimo budget, fui sorpreso di trovare che la maggior parte degli incroci erano sostituiti da queste rotatorie, che, solo da qualche anno, sono diventate un elemento abbastanza costante del nostro paesaggio. E che, con spirito per niente sciovinista, anche noi chiamiamo rondò. Trovai, all'epoca, che fosse un'idea intelligente per snellire il traffico, ma pensai che fosse applicabile in Francia per via del senso civico dei francesi, un pelo più sviluppato del nostro. Infatti, mentre loro - les gauloises - si accodavano disciplinatamente in fila indiana al semaforo, noios, modestamont, approfittavamo della mezza corsia rimasta libera per guadagnare la pole position, scavalcando anche tanticchia di linea di mezzeria, en passant. Devo dire che i fatti non mi hanno dato ragione: i rondò stanno snellendo il traffico anche da noi, che, con la nostra insopprimibile individualità, riusciamo comunque ad arrangiarci per rimanere vivi. Questo non ci impedisce di esprimere le nostre personalissime interpretazioni di alcuni spartiti, come il diritto di precedenza, per esempio. Infatti, stamattina, mentre attraversavo uno dei miei consueti rondò, ho ammirato un virtuoso del "tanto jaa faccio" sprintare dalla sua corsia per attraversare proprio davanti a moi, che, ça va sens dire, avevo la precedenza. Senza alcun indugio e senza un'oncia di rancore, mi sono anch'io prodotto in un'estemporanea interpretazione di un altro classico italiano, che ha il suo massimo cantore nel compianto Mario Brega, l'intramontabile "A grandissimo cornuto!".
Per questo il nostro corredo genetico è chiamato, a ragione, "patrimonio": perché ci regala quotidianamente queste gioie inestimabili.
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