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Sangue antico – Prima parte

Creato il 22 febbraio 2013 da Rivista Fralerighe @RivFralerighe

Da Fralerighe n. 3

I vampiri sono una delle figure più ricorrenti nella mitologia delle popolazioni più antiche come nella produzione artistica di quelle contemporanee. Con la letteratura gotica – pensiamo a Lord Byron che non solo con l’arte, ma con la propria esistenza ha ispirato il Lord Ruthven di Polidori; alla Carmilla di Le Fanu e al Dracula di Bram Stoker – il vampiro è rinato come creatura dal fascino oscuro, come simbolo che unifica l’eros e il thanatos. Per quanto l’immagine sia cambiata dalla letteratura dal diciannovesimo secolo a oggi, il suo fascino è tutt’altro che tramontato. Cercando indietro nel tempo le tracce del vampiro, dobbiamo spingerci fino agli albori delle grandi civiltà che hanno fatto la Storia. Uno dei primi contatti che abbiamo con i morti bevitori di sangue è quello che ci viene offerto da Odisseo che sulle soglie dell’Erebo invoca l’indovino Tiresia.

“Là Perimede e Euriloco le vittime presero e le tennero ferme; e io, sguainata la spada affilata da lungo il fianco, scavai una fossa della misura di un cubito da un lato e dall’altro. Intorno ad essa libagioni versai per tutti i morti, la prima di latte e di miele, poi di dolce vino, la terza di acqua; e sopra spargevo bianca farina. Intensa supplica rivolsi alle teste senza forza dei morti [...]. Poi che con voti e preghiere le ebbi pregate, le stirpi dei morti, presi allora le bestie e ad esse il collo recisi sopra la fossa: scorreva il nero sangue fumante. E si affollarono venendo da giù dall’Erebo le anime dei morti defunti: giovani spose e ragazzi e vecchi che molto avevano sofferto e delicate vergini, nell’animo afflitte da recente dolore e molti che il colpo avevano subito di bronzee lance, uomini uccisi in battaglia, con le armi sporche di sangue. Erano molti ad arrivare intorno alla fossa, di qua e di là, con grida sovrumane: da verde paura io fui preso. Allora io sollecitai i compagni e ordinai che le bestie che erano a terra, sgozzate da bronzo crudele, scuoiassero bruciassero e che pregassero gli dèi Ade potente e la terribile Persefone. Io, tratta la spada affilata da lungo il fianco, rimasi lì e non permisi che le teste senza forza dei morti al sangue si accostassero prima di interrogare Tiresia.” (Odissea, XI, 23 – 50)

Siamo lontani dalle creature comunemente intese come “vampiri”, ma il concetto da cui si sviluppano è lo stesso: ci troviamo di fronte a dei defunti che si alzano dal sepolcro, che tornano dall’Oltretomba per lordarsi le labbra del sangue dei vivi. Ciò che questi spettri tratteggiati da Omero cercano (spectrum, spectra nella loro accezione classica, quindi non di incorporeo fantasma, ma di “ritorno del morto”) è la vita. Il sangue ne è l’essenza, il veicolo per ottenere qualcosa che scivola via inevitabilmente, notte dopo notte, dalle membra cadaveriche. Non potendo trattenerla, devono sorbirla ciclicamente. Come dimostra il passo, bramano allo stesso modo la dolcezza del miele e la farina, che è il frutto del grano, che a sua volta è il frutto della terra e dei suoi cicli. Un altro simbolo della vita, cui tendono le dita. Queste creature appartengono alla terra, perché la terra è il riposo dei defunti. Eppure, non rientrano più nei suoi cicli vitali, poiché sono morti, ma li bramano essendone privati. Odisseo si riferisce loro come alle “teste senza forza”. Si dimostrano innocui, quando non hanno nutrimento, vengono tenuti a bada da una semplice spada, la stessa che l’eroe omerico utilizza per scavare la fossa per le offerte. Sono caratterizzati dalla brama di sangue: si affollano, lo desiderano, si sporgono per bere dalla fossa il nero sangue come delle bestie feroci farebbero da una sorgente… Se Odisseo non li tenesse a bada, lo assalirebbero con la ferocia stolida che offusca la ragione, la memoria e la luce:

“Venne mia madre e bevve il sangue nero; subito mi riconobbe e gemendo mi disse alate parole. [...] Esitando nell’animo, volevo prendere tra le braccia l’anima di mia madre defunta. Tre volte mi slanciai e l’animo mio mi spingeva a prenderla: tre volte simile a ombra o a sogno dalle braccia volò via; e a me ancor più nel cuore nasceva acuta pena.” (Odissea, XI, 206 – 208)

Ma le tradizioni della Grecia ellenica non si fermano qui. Raccolgono invece numerosissime testimonianze di quelli che possiamo annoverare come proto vampiri. Li scopriremo poco a poco. Nel frattempo, è meglio se vi guardate le spalle.

Scilla Bonfiglioli



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