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Scarpe e schiavitù

Da Leragazze

Scarpe e schiavitùIndossereste delle scarpe come queste? Se state per rispondere sì, perché le trovate fiche e alla moda, devo darvi una delusione: non vi sarà possibile acquistarle. Né ora né mai. Neanche se siete disposti a pagarle ben 350 dollari, che era il prezzo fissato da Adidas. Il fatto è che l’azienda si è vista costretta a cancellarle definitivamente dalla produzione in seguito alle proteste di molti.

La storia è questa. Il 14 giugno nella sua pagina facebook Adidas ha anticipato l’uscita, prevista per agosto, delle scarpe sportive “JS Roundhouse Mids” caratterizzate da quella insolita catena arancione alle caviglie che vedete nell’immagine. Subito è partita una tempesta di commenti negativi, molti dei quali accusavano l’azienda di razzismo a causa del design delle scarpe. Si è scomodato persino il reverendo Jesse Jackson che sull’Huffington Post di martedì 19 le ha definite “offensive, terribili e insensibili”, aggiungendo che richiamavano alla mente gli schiavi e i carcerati. Non pago ed evidentemente scatenato dalla vicenda, parlando poi con la CNN, il reverendo ha spiegato che rappresentano un insulto enorme e che l’Adidas le ha eliminate solo per timore di eventuali boicottaggi.

L’Adidas ha negato che ci fosse qualcosa di offensivo, in quanto il designer che le ha create, Jeremy Scott, per sua stessa ammissione, si è ispirato a un mostro giocattolo degli anni Ottanta, My Pet Monster (in Italia lo abbiamo conosciuto nella serie televisiva di cartoni animati Un mostro tutto da ridere), che non ha niente a che fare con la schiavitù.

C’è da dire che oltre alle critiche, su facebook, solo nel giorno successivo sono arrivati più di 38 mila likes e che molti degli oltre 4.300 commenti erano positivi.

Dal che si evince che molte, troppe persone sono disposte ad acquistare e indossare qualsiasi obbrobrio, dal punto di vista estetico, purché sia griffato e alla moda. Quella catena al piede, dunque, avrebbe potuto ben rappresentare la schiavitù, ma non quella dei neri e della segregazione razziale, bensì quella delle imposizioni della moda e degli stilisti moooolto moooolto originali.



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