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Scrivere di un concerto mai sentito?… Si può fare.

Creato il 27 settembre 2013 da Scribacchina

Quello che vi racconto oggi dovrà restare tra noi.
E’ una cosa segretissima che vi dico in un orecchio.
E guai a voi se andrete a spifferarla ad anima viva.
Sapete, è una storia abbastanza vergognosa.

«E allora perché la racconti, Scribacchina?»
Forse potrei rispondere dicendo che stamattina ho sentito in radio un pezzo di Antonello Venditti
No, siamo seri. Il motivo è che – da adulti e con un po’ di anni sulle spalle – capita di ripensare alle proprie «prime volte». Capita di ridere di quelle che sembravano tragedie.
Capita anche di confrontarsi, trovarsi cambiati e… piacersi un po’ di più.

Tutto questo premesso, armatevi di caffè perché la storia di oggi è più lunga dei miei soliti post.

***

Antonello Venditti

Ad occhio e croce devono essere passati diciassette-diciotto anni.
Era un novembre, o un dicembre. O forse un gennaio: non ricordo esattamente.
So per certo che faceva un freddo cane.
Da pochi mesi avevo iniziato a scrivere; erano pezzi generici e poco impegnativi, relegati in qualche angolo nascosto delle pagine della cultura.
Mio argomento preferito era (ma và?) la musica, seguito da libri e letture in genere.
Nulla di che.

Un giorno mi sento chiedere dal direttore: «Senti un po’, Scribacchina: ti va di fare una recensione del concerto di Venditti? Viene al Palasport tra un paio di giorni, sabato sera. Ti facciamo l’accredito, senti il concerto, scrivi il pezzo e lo inseriamo negli spettacoli. E non ti preoccupare per le foto: mandiamo noi qualcuno».
Scribacchina ha una fortissima allergia per Antonello Venditti, proprio non lo digerisce. Detesta tutti i suoi pezzi.
Ha un flash: rivede le compagne di scuola che cantano a squarciagola Notte Prima Degli Esami; ricorda con disgusto le parole di quel brano, il terribile accompagnamento musicale. E il brutto viso con gli occhiali Rayban-Aviator-o-giù-di-lì dell’Antonellone, romanaccio alla buona che di poetico ha ben poco.

Eppure, l’idea di andare a sentire un concerto importante per il giornale è stuzzicante. Dev’essere fantastico fare come i «giornalisti veri», venire accolti col tappeto rosso: «Guarda, è arrivata “la giornalista” (che parolone!) della testata XY». Avere il posto riservato, magari l’accesso a qualche press area; poi tornare a casa, scrivere il pezzo di notte e arrivare il giorno dopo in redazione con le occhiaie, un bel sorriso e il pezzo sotto il braccio.
E non importa se il «giorno dopo» è domenica e la redazione è chiusa. Non importa se i pezzi, nel piccolo mondo di Scribacchina, si scrivono in orario lavorativo: il sogno è questo. Il suo sogno irrinunciabile. Niente e nessuno può modificarlo, niente e nessuno può rubarglielo.
Così, Scribacchina si fa assegnare il concerto di Venditti.
Le viene consegnato il foglietto autografato dal direttore con l’accredito, le si danno tutti i dati utili e le si raccomanda una cosa: puntualità.

Ma Scribacchina, benché maggiorenne, non è ancora patentata (averceli, i soldi per fare la patente…). E al Palasport mica ci può andare a piedi.
Che si fa, allora? Si fa che si chiede a un paio di amici – abbastanza timidamente, con la paura di disturbare – se possono darle uno strappo al concerto. «Magari non sto nemmeno lì fino alla fine, così non dovete aspettarmi troppo… o arrivo a metà e resto fino al bis, come preferite…».
Gli amici prendono Scribacchina alla lettera. Ergo: vanno a ritirarla a casa sua attorno alle 20.30 e la portano in un pub. «Una birretta mentre aspettiamo l’ora, non muore nessuno… tanto non devi mica timbrare il cartellino; per Venditti, poi!».
Scribacchina sorride, ma solo esternamente.

Passa mezz’ora.
Passa un’ora.
Passano due ore.
Sono ormai le 23.
Scribacchina abbozza un piccolo sorriso e – quasi imbarazzata – fa notare come, forse, l’Antonellone sta per concedere il bis.
Con estrema calma, gli accompagnatori prendono Scribacchina e la caricano in macchina, direzione Palasport.
Ci si muove a passo d’uomo: fuori è un delirio di macchine, di gente che cammina con enormi sorrisi stampati in volto. Voci che cantano a squarciagola: «Sara, svegliati è primavera».

«Accidenti, Scribacchina, sembra che il concerto sia già finito… poco male, non ti sei persa niente. Ti giuro, io neanche a pagarmi oro andrei a sentire Venditti!».
Scribacchina sorride. Ancora una volta, solo esternamente.
… Sì, altro che sorridere.
Potesse, si metterebbe a piangere.
Il suo grande sogno di «giornalista vera» svanito così, per colpa di due idioti.
E anche per colpa sua.
O, forse, solo per colpa sua.

***

La domenica trascorre nel panico più totale.
Nel dubbio se confessare a chi le aveva affidato l’incarico che al concerto non ci è andata.
Con la certezza che, se lo dirà, non avrà altri incarichi: l’affidabilità è uno dei pilastri del giornalismo.

***

E’ lunedì mattina.
Con passo felpato, Scribacchina entra in redazione.
Corre nell’ufficio del direttore e cerca la copia de L’Eco di Bergamo del giorno prima (ricordiamoci che ai tempi non c’era internet).
La trova.

Furtiva, va alla sua postazione e apre con noncuranza la pagina degli spettacoli.
E… sì, eccola lì, su sei colonne: la cronaca del concerto di Venditti scritta dal collega del quotidiano.
Sospiro di sollievo: Scribacchina è salva.

Con il pezzo del collega e quel po’ di informazioni su Venditti che si era procurata pochi giorni prima, Scribacchina confeziona un pezzo di tutto rispetto, citando brani eseguiti, musicisti sul palco e mettendoci pure qualcosa di suo. Inventato di sana pianta.
Lo rilegge: sì, funziona.
Scribacchina sorride. E stavolta è un sorriso che arriva dal cuore.

***

Il pezzo va in stampa, tutto sembra filare liscio.
Pure il direttore fa i complimenti a Scribacchina per il bel debutto in cronaca.
Ma… ovviamente c’è un ma, come nelle migliori favole.
Pochi giorni dopo la pubblicazione dell’articolo, l’organizzatore dell’evento – che chiamerò B. – chiama in redazione chiedendo informazioni sul «perché la vostra corrispondente non si è presentata a ritirare l’accredito in biglietteria? L’abbiamo aspettata tutta la sera: l’accredito è ancora qui, ce l’ho sotto gli occhi».
Segreteria e direzione cadono dalle nuvole: sì, Scribacchina c’è stata a quel concerto, ha anche scritto un bel pezzo… «Vero, Scribacchina, che ci sei andata?»

Orrore.
Scribacchina non è mai stata in grado di mentire.
Si arrampica sui vetri.
«Ma come?… Ho visto tantissima gente a quel concerto… tanta gente… ma proprio tanta… e cantavano tutti “Sara, svegliati è primavera”…».
Come un mantra, ripete il particolare della folla oceanica, l’unica cosa che ha visto del concerto di Venditti.
Così, tutti si convincono che Scribacchina è andata a sentire Venditti.
Tutti tranne B., che da quel momento inizia a prendere in antipatia la giovanissima Scribacchina. Negli anni anni successivi, quasi fosse il cattivo in uno tra i film più scadenti, B. farà di tutto per metterle i bastoni tra le ruote. Tenterà di allontanarla dai live, rifiuterà gli accrediti a suo nome, la tratterà con sufficienza.
Tutto inutile.
Ho già detto che questa è una favola, no?
Come nelle migliori favole, quindi, Scribacchina imparerà a tenere testa al cattivo.
E si prenderà pure qualche bella soddisfazione.
Una su tutte: intervistare Alain Caron.
Ma questa è una storia che ho già raccontato.

***

A questo punto, immagino vorrete leggere la cronaca d’epoca del concerto dell’Antonellone nazionale… Mi spiace deludervi ma non ho ancora avuto tempo di cercarla nel polverosissimo archivio cartaceo.
Ve ne farete una ragione

:-)


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