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Si parte. Ovvero: ABC del mio viaggio libico, parte prima.

Da Suster
Non vi spaventate: anche se ho scritto "si parte" non ho intenzioni di narrarvi la cronaca giornaliera nel mio quasi mese di permanenza libica. Non ne avrei la pazienza io per prima. Ma iniziare dal primo giorno aiuta me a iniziare in qualche modo, con gli appunti delle prime entusiastiche pagine del mio rosso quadernino.
Il viaggio di andata non fu facile in sé, malgrado l'ambasciata ci fornì i biglietti dell'aereo.
Ma lo scalo a Tunisi prolungò il tutto di un giorno, e il viaggio in macchina da Tripoli a Misurata, pigiati in sei in una vettura, la pupa che mi dormiva in braccio, ci diede il colpo di grazia.
Ci eravamo anche accollati due sedicenti giornalisti italiani che Hasuna, non smentendosi mai, aveva raccattato in ambasciata... ma lasciamo stare.

Arrivo
Se la pupa non si è presa il tifo a Tunisi non lo prende più.
Qui scorrazza per le strade caotiche, affamata e folle, frugando tra i rifiuti in cerca di "Gattini!".
Mucchi di spazzatura un po' ovunque, e comunque non peggio di una mediamente sporca città italiana.
Gatti-barboni dormono arrotolati sui sacchi di immondizia e calcinacci, e scappano via al suo arrivo.
Tunisi è chiassosa, affollata, viva.
passano lunghissimi tram verdi.
Attraversiamo correndo tra un'auto e l'altra: qui si fa così.
Accattiamo per la cena in un minimarket mandarini, pane e formaggio, e un pollo arrosto.
Abbiamo trovato un alberghetto a due stelle abbastanza decente, tappezzato di moquette e scarafaggi. Basta stare attenti a dove metti meni e piedi.
distrutti per il tutto, la mamma collassa per prima, poi la figlia, infine il padre, che pensa, con ansia, al ritorno e fatica, per quanto stanco, a prender sonno.
11.01.2012 Dopo un viaggio infinito pigiati in sei in un'auto, infine arriviamo. Sera tarda: Mimi si era di nuovo addormentata ma era ovvio che si svegliasse, accolta da giubilo e grida entusiaste da una schiera di zii e zie dai 20 anni d'età a scendere, che fanno a botte per toccarla, prenderla in braccio, accarezzarla, rimane stranita e lì lì per prorompere in pianto selvaggio.
Suocera e cognata mi abbracciano lungamente tra lacrime commosse, e anche io rimango un po' stranita, non avvezza a tali manifestazioni d'affetto.
D'altro canto, i rapporti con l'altro sesso richiedono per contro la massima asetticità, cortesia e distacco. Neanche una stretta di mano con i cognati.
Niente di nuovo per me, ma riabituarsi è sempre strano.
Si parte. Ovvero: ABC del mio viaggio libico, parte prima.Si parte. Ovvero: ABC del mio viaggio libico, parte prima.Si parte. Ovvero: ABC del mio viaggio libico, parte prima.
Si parte. Ovvero: ABC del mio viaggio libico, parte prima.
Babini
Bambini ne ho visti molti anche a Tunisi, ma già dal terminal del volo per la Libia si capiva che per i libici fare i figli è un occupazione a cui si dedicano a tempo pieno e perso.
Bambini, bambini ovunque, e la generale abitudine alla loro presenza, e al caos ad essi correlato.
E' bello: anche il diverso modo di considerare e approcciarsi all'infanzia.
Un bambino è una cosa bella, preziosa, considerata da tutti, da tutti, senza eccezione, un dono, qualcosa di cui rallegrarsi, per sè stessi, di vederne, di incontrarne, per i genitori, per la collettività tutta.
Ma mai, MAI, una seccatura, un fastidio.
Per strada uomini, donne, giovani, si fermano a lasciare al volo una carezza o un bacio alla pupa (che strepita e si arrabbia, non gradendo in genere il contatto fisico gratuito!)
Mani e labbra che di continuo si allungano a toccarla e pizzicarla, baci su testa, guance, mani.
Abbiamo subito con mio schietto stupore un piccolo assalto inaspettato da un gruppo esagitato di donne dignitosamente bardate, che per strada ci hanno circondate e fermate, parlando a raffica in gruppo, prendendo la pupa in braccia e fotografandosi con lei ripetutamente, a turno, scambiando anche lunghi incomprensibili saluti e auguri con la sottoscritta che non capiva nulla e, attonita, osservava sua figlia venire intanto riempita di merendine e barrette di cioccolato al caramello. Poi, com'era venuto, il gruppo si è dileguato.
Ovunque andavamo, sconosciuti ci fermavano per regalare a lei cioccolatini e biscotti, a volte entravano apposta in una caffetteria o in un negozio e ne uscivano di corsa rincorrendoci per omaggiare la piccola con quei doni che io mi affrettavo ad occultare ai suoi occhi bramosi.
Un'altra volta un signore ci ha addirittura allungato una banconota da un dinaro. Non gli sarò magari sembrata un'accattona? Ho chiesto ad Hasuna. No, mi ha rassicurato. Si usa lasciare soldi ai bambini: è un modo di manifestare la gioia al fatto che ci siano.
Qui nessuno aggrotta la fronte o ti guarda infastidito e rancoroso se in pubblico un bambino "disturba" la quiete adulta, di fronte alle manifestazioni di esuberanza infantile dei figli degli altri, e ai bambini non viene richiesto altro che di comportarsi da bambini.
La pupa ha avuto tanti compagni di giochi in questo lungo soggiorno, ed è stata coccolata e vezzeggiata al di sopra di ogni sua precedente esperienza. Dagli zii grandi, dagli zii piccoli. Soprattutto dai piccoli.
Io non ho mai conosciuto per la verità bambini così.
Le periodiche lunghe sessioni di gioco coi più piccoli nelle quali ero mio malgrado coinvolta, mi ristoravano mente e corpo.
Giochi scalmanati, risate facili, tanta spontaneità.
Nessun gioco elettronico, poca tv, rapidamente snobbata per l'impossibilità fisiologica di rimanere fermi a lungo.
Dall'altro lato tanto spazio in cui muoversi, e, malgrado le temperature invernali assai meno dolci di quanto avevo auspicato, sempre a piedi rigorosamente nudi.
Totale assenza del concetto di tempo, grande libertà di movimento e di confronto, coi grandi, coi piccoli.
Bambini che non sanno rispondere alla, per me, scontata domanda "Quanti anni hai?" e che corrono dalla mamma a chiederlo, tornando poi trionfanti (sempre correndo) e gridando "Io tre!", "Io cinque!", "Io quattro!".
Qui non esistono scuole dell'infanzia nè asili nido.
Non ce ne sarebbe motivo, in effetti. La famiglia è il loro terreno di apprendimento, di socialità e di gioco.
Bambini selvatici e avvezzi al contatto con la natura, spettinati, scalmanati e con grandi sorrisi, e però straordinariamente rispettosi e osservanti dell'autorità adulta, cosa che mi ha profondamente colpito.
Bambini, infine, per cui il gioco ha ancora un significato vastissimo, che include oggetti di uso quotidiano e pezzi di ferro trovati per terra, viti e bulloni, mattoni, mucchi di sabbia, alberi e muri da scalare, galline da inseguire e tormentare; bambini che danno assai poco peso agli oggetti e al loro possesso (Suster spalancava occhi e mandibola di fronte a mai prima viste manifestazioni infantili di tale generosità) e ne danno assai di più alle persone; giocattoli subito rotti e abbandonati da qualche parte,  rinvenuti dopo giorni sporchi e pieni di terra e non per questo meno adatti al gioco, biciclette un giorno prima nuove e il giorno dopo senza un pedale, ammaccate e con le ruote storte, cavalcate comunque con fierezza come destrieri purosangue.
Bambini che non credevo esistessero ancora.
E sono felice che la pupa possa vivere con loro questa fortunata, ancestrale realtà.
Si parte. Ovvero: ABC del mio viaggio libico, parte prima.
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