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Sicurezza alimentare: una sfida per l’Africa

Creato il 06 gennaio 2016 da Geopoliticarivista @GeopoliticaR
Sicurezza alimentare: una sfida per l’AfricaSicurezza alimentare: una sfida per l’Africa

Il World Food Summit (WFS), svoltosi a Roma nel 1996, ha definito la sicurezza alimentare come una situazione in cui "tutte le persone, in ogni momento, hanno accesso fisico, sociale ed economico ad alimenti sufficienti, sicuri e nutrienti che garantiscono le loro necessità e preferenze alimentari per condurre una vita attiva e sana" 1. In quella stessa occasione è stata adottata la "Dichiarazione di Roma sulla sicurezza alimentare" ( Rome Declaration on World Food Security) con cui 182 membri delle Nazioni Unite si sono posti l'obiettivo di dimezzare entro il 2015 il numero di persone denutrite, mostrando a tal fine la volontà e l'impegno comune e nazionale al raggiungimento della sicurezza alimentare globale e ad un sforzo continuo per eliminare la fame in tutti i Paesi.

Tale impegno ha gettato le basi per il primo "Obiettivo di Sviluppo del Millennio" ( Millenium Development Goals - MDG) di sradicare la povertà estrema e la fame nel mondo. Nello specifico, tale primo obiettivo si declina in tre punti principali:

  1. ridurre della metà, fra il 1990 e il 2015, la percentuale di popolazione che vive in condizione di povertà estrema (con 1,25 $ al giorno);
  2. (b) garantire una piena e produttiva occupazione e un lavoro dignitoso per tutti, compresi donne e giovani;
  3. (c) ridurre della metà, fra il 1990 e il 2015, la percentuale di popolazione che soffre la fame.
L'insicurezza alimentare: numeri e cause

Il rapporto del 2015 sullo "Stato dell'insicurezza alimentare nel mondo" ( The State of Food Insecurity in the World - SOFI) 2, curato da FAO 3, IFAD 4 e WFP 5 - le tre agenzie del polo agro-alimentare delle Nazioni Unite - riporta i successi e gli insuccessi sul fronte della lotta alla fame, proprio nell'anno in cui la comunità internazionale è chiamata a verificare il raggiungimento o meno degli "Obiettivi di Sviluppo del Millennio".

Attualmente sono circa 795 milioni le persone affamate nel mondo. Tale numero è ancora estremamente elevato, nonostante dal 1990-92 sia diminuito di 216 milioni. Più in particolare, nelle regioni in via di sviluppo, dagli anni Novanta ad oggi, la percentuale di popolazione che soffre la fame è diminuita dal 23,3% al 12,9%. Questo dato conferma come alcune tra le aree maggiormente colpite dal fenomeno - quali, ad esempio, quelle dell'America Latina, dell'Est e Sud-Est asiatico, del Caucaso e dell'Asia centrale, dell'Africa settentrionale e occidentale - hanno compiuto enormi progressi sul fronte della lotta alla fame e alla malnutrizione.

Tra i centoventinove Paesi monitorati, solo settantadue hanno raggiunto il primo degli MDG, ossia hanno ridotto della metà la percentuale del numero degli affamati (MDG 1.c). I Paesi che "arrancano" sono concentrati soprattutto nell'Africa subsahariana, che si conferma la regione dove i progressi sono più lenti, quando non si verificano vere e proprie battute d'arresto o, addirittura, arretramenti.

Certamente un elemento chiave per ridurre la povertà, la fame e la malnutrizione è rappresentato dalla crescita economica a condizione, però, che essa sia in grado di creare sviluppo economico di tipo inclusivo e redistributivo.

Con riferimento ai fattori di crescita economica dei Paesi in via di sviluppo, si consideri che circa il 78% dei poveri e degli affamati vive in contesti rurali. Per tali ragioni, è chiaro che lo sforzo per favorire lo sviluppo dell'agricoltura e del settore rurale sia una componente fondamentale nelle strategie di promozione di una crescita inclusiva e per il miglioramento della sicurezza alimentare in quelle aree.

Non è un caso, infatti, che una tra le cause più profonde dell'odierna insicurezza alimentare sia proprio la mancanza di investimenti pubblici nel settore agricolo nei Paesi in via di sviluppo. Basti pensare che se nel 1979 i finanziamenti all'agricoltura costituivano il 19% dell'Aiuto Pubblico allo Sviluppo (APS), dal 2009 rappresentano solo il 6%. In quest'ultimo periodo, infatti, la riduzione dei finanziamenti governativi all'agricoltura è stata di un terzo in Africa e di quasi due terzi in Asia e in America Latina.

Il problema, però, non riguarda esclusivamente la riduzione o l'assenza di investimenti pubblici in quanto il fenomeno si è accompagnato, specialmente nei Paesi a basso reddito, al vero e proprio smantellamento degli strumenti pubblici a sostegno del settore agricolo, rivelatisi in molti casi costosi e inefficienti, in favore di nuovi meccanismi di partecipazione del settore privato che, tuttavia, faticano ad emergere a causa, verosimilmente, di politiche d'incentivazione degli investimenti privati poco incisive, se non del tutto assenti.

Ciò che emerge è, dunque, la necessità di ingenti e opportuni investimenti, uniti a politiche mirate a livello globale, regionale e nazionale. Migliorare la produttività delle risorse dei piccoli proprietari terrieri è in molti casi un elemento essenziale di crescita inclusiva, che ha ampie implicazioni per i mezzi di sostentamento dei poveri e dell'economia rurale in generale. Ai piccoli proprietari terrieri deve essere garantito un accesso più sicuro alla terra, all'acqua e ai finanziamenti necessari all'acquisto di semi, utensili e fertilizzanti. Vi è inoltre l'esigenza di mercati efficienti, in grado di incentivare il miglioramento della produzione attenuando la percentuale di rischio, ma anche di strade e mezzi di trasporto idonei ad immettere i prodotti sul mercato nonché di tecnologie che consentano informazioni aggiornate ed affidabili sull'andamento dei mercati. Al pari, servono investimenti anche nella ricerca e nella tecnologia applicate al settore agricolo per incrementare la produttività e migliorare la resilienza al deterioramento delle risorse naturali e ai cambiamenti climatici.

Un altro fattore importante e potenzialmente idoneo ad incrementare la disponibilità al cibo e, dunque, a migliorare la sicurezza alimentare, nonché a promuovere gli investimenti e la crescita economica è, in molti casi, rappresentato dall'apertura ai mercati internazionali. Gli accordi del commercio internazionale dovrebbero, infatti, provvedere ad un'effettiva salvaguardia dei Paesi in via di sviluppo predisponendo politiche adeguate per evitare effetti deleteri sulla sicurezza alimentare domestica.

Secondo un rapporto dell'IFAD 6, le impennate del prezzo globale degli alimenti, registrate a partire dal 2006, vengono considerate parte di un andamento di lungo periodo che condurrà ad una sempre maggiore volatilità dei prezzi alimentari dovuta ad uno squilibrio tra domanda e offerta di cibo ed esacerbata da condizioni climatiche sempre più incerte ed estreme e da mercati agricoli non efficienti. I dati riportati descrivono una situazione ancora più preoccupante se si tiene conto della stima secondo cui entro il 2050 la popolazione mondiale raggiungerà la soglia dei 9,1 miliardi di persone. L'aumento della popolazione rappresenta, infatti, un'ulteriore sfida per la sicurezza alimentare traducendosi in una maggiore richiesta di cibo, acqua e terra proprio in una fase in cui le risorse naturali agricole si vanno deteriorando, ampie aree di terreno coltivato a frumento sono state riconvertite e i cambiamenti climatici minacciano di ridurre ulteriormente le zone destinate ad uso agricolo.

All'incremento demografico sono strettamente legate le politiche di protezione sociale, che contribuiscono direttamente alla riduzione della fame e della malnutrizione, promuovendo la sicurezza dei profitti e l'accesso a migliori alimenti, cure sanitarie ed educazione. Incrementando le capacità umane e mitigando l'impatto delle crisi, la protezione sociale favorisce l'abilità dei veri poveri a partecipare al processo di crescita attraverso un migliore accesso ad un impiego soddisfacente.

La prevalenza di insicurezza alimentare e malnutrizione è senza dubbio significativamente elevata durante lunghi periodi di crisi che derivano da conflitti e disastri naturali. Il rapporto SOFI stimava in 366 milioni il numero di persone che nel 2012 versavano in situazioni di crisi protratta, delle quali approssimativamente 129 milioni erano malnutrite tra il 2010 e il 2012. Ciò equivale a circa il 19% della popolazione degli affamati nel mondo. Tra i venti Paesi in situazione di crisi protratta identificati nel rapporto SOFI, solamente l'Etiopia è riuscita a raggiungere il primo degli MDG, ossia ridurre della metà la percentuale di popolazione che vive in condizione di povertà estrema e che soffre la fame e garantire una piena e produttiva occupazione e un lavoro dignitoso per tutti.

La sfida dell'Africa

Come già evidenziato in precedenza, l'Africa subsahariana è l'area che ha registrato progressi limitati nella lotta alla fame. Anche se la prevalenza di denutrizione nella regione è diminuita dal 33% al 23% fra il 1990-92 e il 2014-16, tuttavia il numero totale di persone malnutrite continua ad aumentare con una stima di 220 milioni nel 2014-16 rispetto ai 175,7 milioni nel 1990-92.

Rispetto ad altre regioni del continente, l'Africa occidentale ha raggiunto traguardi significativi, riducendo la percentuale di persone affamate del 60% e raggiungendo così l'obiettivo di dimezzare il numero di persone denutrite (MDG 1.c). Rispetto all'obiettivo del WFS di dimezzare il numero assoluto delle persone che soffrono la fame, si parla di 11 milioni in meno rispetto al 1990-92. Ciò nonostante un significativo aumento della popolazione e ricorrenti periodi di siccità nei Paesi del Sahel.

Dal 1990-92, altre regioni hanno registrato un aumento del numero assoluto di persone denutrite, approssimativamente del 20% per i Paesi dell'Africa orientale e del 2% per quelli dell'Africa meridionale. L'Africa centrale ha più che raddoppiato il numero di persone denutrite nello stesso periodo di riferimento, soprattutto a causa di conflitti civili e insicurezza. Buona parte dell'Africa orientale ha sofferto a causa di situazioni climatiche non favorevoli e condizioni di siccità, in particolare per i Paesi del Corno d'Africa. Questi fattori hanno sicuramente indebolito gli sforzi dei governi locali per migliorare la sicurezza alimentare.

I dati riguardanti il numero di persone che soffrono la fame nelle regioni dell'Africa subsahariana rimangono pertanto preoccupanti. Tali regioni sono ancora messe alla prova dalla rapida crescita della popolazione che mina l'abilità dei Paesi di assicurare l'accesso al cibo e un processo stabile di produzione e distribuzione. La crescita annua delle loro popolazioni è stimata al 2,7%: dai 507 milioni di persone nel 1990 ai circa 936 milioni nel 2013.

La differenza tra le diverse sub-regioni risulta più chiara considerando i dati a livello dei singoli Paesi. Dei quaranta Paesi dell'Africa subsahariana considerati nel SOFI 2015, solo sette Paesi (Gibuti, Angola, Camerun, Gabon, São Tomé, Ghana e Mali) hanno raggiunto entrambi gli obiettivi sia dei MDG che del WFS; undici Paesi (Etiopia, Malawi, Mauritius, Mozambico, Sudafrica, Benin, Gambia, Mauritania, Niger, Nigeria e Togo) hanno raggiunto il primo obiettivo dei MDG e compiuto dei progressi rispetto all'obiettivo del WFS; i restanti dodici Paesi (Capo Verde, Sierra Leone, Lesotho, Kenya, Ruanda, Zimbabwe, Ciad, Congo, Botswana, Burkina Faso, Guinea e Guinea-Bissau) continuano a progredire lentamente nel raggiungimento di entrambi gli obiettivi.

Alcuni trend positivi dell'Africa subsahariana e strettamente legati al tema della sicurezza alimentare riguardano, invece, la disponibilità di cibo, che è aumentata del 12% nell'ultimo ventennio, e il tasso di povertà che, diminuito del 23% tra il 1993 e il 2011, ha avvicinato molti Paesi al raggiungimento del primo obiettivo di Sviluppo del Millennio di ridurre della metà la percentuale di popolazione che vive in condizione di povertà estrema (MDG 1.a).

Dai dati riportati emerge, dunque, che nonostante siano stati fatti considerevoli progressi nel raggiungimento degli obiettivi del WFS e dei MDG, persistono ancora enormi differenze tra le diverse sub-regioni. Per tale motivo i governi dell'Africa subsahariana sono sotto pressione per migliorare le proprie performance nella lotto contro l'insicurezza alimentare e mettersi al pari di quei Paesi africani che nell'ultimo ventennio hanno registrato dei successi essendo stati capaci di trovare modalità efficaci nel gestire i complessi processi implicati nella sicurezza alimentare.

Eliminare la fame nel mondo è possibile

Sebbene non vi sia una formula standard per la risoluzione del fenomeno e per il raggiungimento di risultati sostenibili, secondo il più recente rapporto della FAO sulla sicurezza alimentare in Africa 7, effetti tangibili richiedono la canalizzazione degli impegni politici in alti livelli di leadership ed una migliore governance, nella creazione di partnership pubbliche-private e in approcci comprensivi e complementari per creare un ambiente favorevole.

Nonostante si possa far molto per promuovere la sicurezza alimentare attraverso progetti ed iniziative locali, risulta molto improbabile che un programma su scala nazionale possa avere successo senza una forte leadership dai più alti livelli dei governi. Tale esigenza è dettata in parte dall'innata complessità e dalla natura multisettoriale dei programmi di sicurezza alimentare e nutrizione nonché dalla necessità di coinvolgere i diversi attori sociali (il governo, il settore privato e la società civile) per la creazione e l'implementazione di tali programmi. Sono quindi richiesti alti livelli di leadership e di buona amministrazione, oltre all'impegno politico di tradurre le azioni politiche e le strategie dei governi in azioni concrete in tutti i settori rilevanti: dall'agricoltura alla salute, dall'acqua e l'igiene alla protezione sociale e all'educazione.

Assicurare un'effettiva partecipazione di tutti gli attori sociali e implementare un effettivo sistema di contabilità sono, dunque, elementi necessari per fornire un controllo e una supervisione delle performance dei programmi di sicurezza alimentare e nutrizione, così come per rispondere ai bisogni delle comunità di riferimento.

Il coinvolgimento del settore privato gioca un ruolo importante per il rafforzamento dei legami all'interno della filiera agricola, mentre il settore pubblico ha il compito di assicurare il controllo del welfare sociale, della gestione del rischio di calamità naturali e di un'equa distribuzione della ricchezza. Private Public Partnership (PPP) ben programmate, oltre ad accrescere gli investimenti necessari, consentono anche di sviluppare capacità, introdurre innovazioni, fornire assistenza tecnica e conoscenza ai piccoli produttori nonché di creare ulteriori vantaggi quali la crescita dell'occupazione e della produttività agricola, lo sviluppo di infrastrutture e il rafforzamento dell'accesso ai mercati.

Oltre al bisogno di adottare un approccio integrato, appare fondamentale l'implementazione sostenibile nel tempo di un mix di programmi e policy complementari e comprensivi riguardo alla sicurezza alimentare e alla nutrizione che abbiano un impatto effettivo sul problema della fame nell'Africa subsahariana.

Eliminare la fame, dunque, è possibile. Di ciò è convinto il Direttore Generale della FAO, José Graziano da Silva, che ha recentemente dichiarato che "il quasi raggiungimento degli Obiettivi di Sviluppo del Millennio sulla fame ci dimostra che è possibile eliminare questa piaga nel corso della nostra vita" 8.

A tal fine, è doveroso sottolineare ulteriormente l'importanza di un'efficace e concreta strategia politica, europea e nazionale, di aiuti allo sviluppo per le regioni dell'Africa subsahariana. Misure politiche concertate e decise che possano, oltre ad incentivare i processi di sviluppo economico e sociale dei territori in questione, garantire una maggiore sicurezza e stabilità di tali regioni. Ciò andrebbe senz'altro a generare effetti positivi anche per l'Europa, sia sotto il profilo della sicurezza che sotto quello economico, non essendo peregrina l'ipotesi che questi nuovi attori potranno rivelarsi degli ottimi partner a cui trasferire tecnologia, competenze e conoscenze.


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