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Debutto o non debutto, Kurzel si è studiato bene quella frangia di cinema americano indipendente che forse piace più a noi europei che agli americani stessi. Film che magari furoreggiano nei vari Sundance e che nel giro di poco tempo precipitano nel loro meritato oblio, penso ai lavori di Araki o di Clark che dopo aver creato la classica bolla di scandalo affondano pian piano nel mare delle pellicole dimenticabili.Ciò che si vede e si percepisce in Snowtown (2011) è (e magari sarà) un probabile percorso gemello a quello compiuto dalle opere appena citate.Chiaro che l’ambiente colpisce, qui siamo aldilà della povertà, della miseria, o di qualunque altra assenza materiale, qui è il cielo perennemente plumbeo che si è insinuato prepotentemente nel cuore delle persone: come dopo un tornado: restano solo macerie. Vediamo in sequenza sogni molto più vicini agli incubi, madri che giocano a poker, vicini di casa che abusano di innocenti, incesti omosessuali, animali uccisi per basso ludibrio umano, omicidi diabolicamente pianificati a tavolino. Di roba per far notizia ce n’è fin troppa, e scansando un momento alcuni dubbi, è innegabile che il tasso di crudeltà sia tanto elevato quanto capace di stuzzicare i ricercatori di storie forti. Per di più Kurzel si mostra abbastanza parsimonioso nell’esposizione sfuggendo ad un sempre controproducente esibizionismo. (per inciso: sottolineo “abbastanza”, ché qualche scena all’emoglobina c’è, e pure un’unghia strappata a mo’ di tortura).
Questa tendenza a non eccedere si ravvisa anche all’interno della narrazione costituita da un susseguirsi ellittico capace di nascondere gli eventi. Se a prima vista una tale peculiarità potrebbe apparire come un discreto escamotage per ravvivare il racconto, quello che ne esce fuori è un esteso disordine implementato dal modus operandi della banda che necessita di una buona parte di film per essere compreso appieno. Non si sa quanto Kurzel abbia voluto attenersi il più possibile ai fatti reali, ma se l’aderenza è stata pressoché totale ne consegue che la notevole mole di personaggi non aiuta a comprendere anche solo i legami base all’interno del film (esempio: chi è secondo voi l’ultima vittima?), se invece il comparto attoriale è stato volutamente accresciuto in fase di scrittura allora il regista non ha fatto altro che darsi la celeberrima zappa sui piedi.C’è ancora un elemento che fa aggrottare le sopracciglia e che riguarda questo come altri biopic o pseudo tali, va bene la ricostruzione storica, ma la biografia non basta a sorreggere un’intera opera, così in Snowtown si affacciano timidamente questioni “etiche” che riguardano tutto il blocco in cui John e soci si ergono a paladini della giustizia dando la caccia ai soggetti deviati della località, e a ciò si collega il fatto che Jamie passa da vittima a carnefice in un ribaltamento non proprio seminale, il risultato è che entrambe le sfaccettature rimangono sfocate e non vengono dotate di sufficiente consistenza.
Menzione speciale al Festival di Cannes, il film di Kurzel ha molte attenuanti del caso (si tratta pur sempre di un esordio!), cosiccome ci sono meriti che vanno evidenziati. Ma ci vuole altro di più per farsi seguire, e altro ancora per saper ferire.
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