Magazine Cultura

Solo per un caso della vita

Creato il 08 gennaio 2012 da Fabry2010

Pubblicato da lapoesiaelospirito su gennaio 8, 2012

di Elisabetta Bordieri

“Allora è pronto?”

“Beh, pronto è una parola grossa, diciamo che sono qui”

“Se non vuole possiamo lasciar perdere”

“Non crede che sia un po’ troppo tardi?”

“No, credo che, se non vuole, è ancora in tempo per ripensarci e tornare indietro”

“Ascolti, cerco solo di andarci un po’ cauto. Sarà pure normale no?”

“Cauto?”

“Ho accettato questo suo invito solo perchè il più delle volte sono una persona che agisce d’istinto e la sua telefonata mi è sembrata, come dire?, garbata”

“Anche lei è convinto che tutti i giornalisti siano persone senza scrupolo e con poco tatto?”

“Se la vuole mettere così, direi di si. Qualche intervista in tutti questi anni l’ho rilasciata e mi sono sempre trovato davanti alle solite domande e, alla fine, per forza di cose, davanti alle solite risposte che non erano le mie ma erano quelle che volevano sentirsi dire, il solito modo di fare giornalismo senza emozioni, senza cuore, ma con il solo problema di fare un articolo entro l’ora di chiusura del giornale”.

“Non è tutto così”

“Io ho sempre trovato tutto così”

“Poi?”

“Poi c’è stato l’incidente. E da allora ho chiuso con il mondo mediatico e con questo sport. Sa, da piccolo sognavo spesso di volare, sognavo di aver paura, mi svegliavo spaventato, beh più che spaventato affascinato dal senso di vuoto, però sentivo che dovevo provare. Io ho fatto tanto per il volo, ho dato tutto me stesso, dopo l’infortunio sarei dovuto tornare a volare…sapesse quante notti in bianco a pensare e a ripensare, a dirmi che così sarebbe stata una sconfitta. Poi è andata com’è andata”

“Infatti non si è mai capito il motivo per cui abbia lasciato tutto. Del resto si è trattato di un banale incidente”

“Banale incidente? Siamo in macchina da più di un’ora e non si è accorta che sono alla guida di una macchina automatica? Vede che uso i comandi al volante? E non certo perchè non mi piace il cambio manuale!”

“Mi scusi….io l’ho vista solo…zoppicare un po’…non credevo che questo potesse….”

“No, no mi scusi lei e cominciamo”

“Bene, allora accendo il registratore”

“Si, vada, accenda pure. Io continuo a guidare. Però aspetti, una cosa ancora, prima di cominciare. Mi tolga una curiosità”

“Mi dica”

“Perchè?”

“Perchè cosa?”

“Perchè quest’intervista e perchè io. Voglio dire, dopo tanto tempo non sono più un nome, mi passi il termine un po’ azzardato, di grido”

“Perchè il più delle volte sono una persona che agisce d’istinto e la sua risposta mi è sembrata, come dire?, garbata”

“Che fa, sferra colpi ancor prima di cominciare? Ok, raccolto e ricevuto. Comunque quando vuole io sono pronto, e lei?”

“Si, certo, pronta, solo un attimo ancora”

“E’ vero che siamo a primavera, ma se lei pensa di venire nel profondo nord-est, in un posto dimenticato da Dio, vestita con quel giubbottino, non credo che riuscirà nemmeno a scendere dalla macchina!”

“Fa così tanto freddo?”

“Il freddo, lì a San Candore, non è un freddo normale, non è nemmeno uno da poter dire “brr che freddo oggi”, no. E’ un qualcosa che, quando lo avverti, è già troppo tardi, non hai più il tempo di pensare “torno a casa”, perchè lui ti ha già bloccato l’idea di ogni pensiero, ti ha attanagliato le caviglie e le braccia e non molla, cercare di scappare serve solo a tenerti più attaccato a lui, conviene stare al suo gioco, e fregarlo. E’ così che ho imparato a vestirmi come si veste chi vive a 1304 metri di altezza con la neve dentro le ossa e con i pinguini morti fuori di casa. Sostanzialmente sono riuscito a capire che non potevo vivere aspettando l’estate e che dovevo assoggettarmi all’idea che quel caso della vita mi aveva condotto lì”

“Quel caso della vita?”

“Beh, certo chiamare l’amore per il deltaplano un caso della vita non è proprio esatto, perchè la passione per il volo libero, e comunque per quel tipo di volo, è sempre stata viva in me, però sicuramente è stato un caso che mi ci ritrovassi dentro così fino al collo. Una cosa è una passione ed una cosa è rischiarci la vita, che è sempre quello che ho fatto io”

“Ma perchè a San Candore se odia così tanto il freddo?”

“Perchè lì tanti anni fa, quando ho cominciato io, c’era una delle migliori scuole. Le scuole di deltaplano sono diffusissime al Nord perchè ci sono più montagne e quindi più posti di volo. I campionati Italiani ed Europei li fanno spesso sempre nel settentrione. Il vantaggio al Nord è che, essendoci tanti posti, in base alla direzione del vento del giorno puoi scegliere fra più decolli, visto che il decollo deve avvenire sempre controvento. Ma questi sono dettagli che suppongo lei conosca. Io vivevo in una cittadina del Centro e le scuole di volo lì sono poche, al Sud ancora di meno. Quindi non avevo molta scelta che emigrare”.

“Allora scusi, non mi sembra un caso della vita”

“Beh, si, c’era di mezzo anche una donna, che per caso, appunto, viveva da quelle parti”

“C’era?”

“Una relazione particolare, lei era un architetto, precisa e metodica, ed io un fuori di testa, sognatore e disordinato. Troppe divergenze in un rapporto finiscono per indebolirlo. Si immagini lei che ad un certo punto mi ha anche chiesto di rinunciare al deltaplano! Ma questa è una storia diversa che magari scriverà un’altra volta. Ha acceso il registratore?”

“No, ancora no”

“Lei invece? Fidanzata?”

“Cosa? Io? No, grazie, ho già dato”

“Capisco”

“Quando un uomo dice “capisco” significa solo che si adegua senza capire.”

“Pessima visione degli uomini eh?”

“No, reale visione”

“Non capisco, o anche questo lo dicono gli uomini per adeguarsi?”

“Glielo spiego un’altra volta. Ora le dispiace se iniziamo l’intevista?”

“Niente affatto. Sono qui per questo”

“Ha idea di dove siamo?”

“Dovremmo essere non lontano da Cardosola. Sa che qui viveva un pazzo scatenato, un certo Filippo Rangeri, uno che si è costruito un delta da solo”.

“Come da solo?”

“Si, da solo. I primi delta, anni e anni fa, venivano costruiti da dei folli, dei veri e propri pionieri del volo, che li provavano sulla loro pelle, e sono finiti quasi tutti male. Oggi, in verità, sarebbe ancora possibile farlo, ma con i materiali che si usano adesso serve qualche macchinario speciale per cucire le vele, saldare i pezzi, eccetera. Considerando poi che il rischio che si corre è la vita, non ho mai sentito nessuno che negli ultimi 20 anni si sia costruito un delta da solo. Molti esperti, è vero, consigliano le case produttrici per migliorarli, ma alla fine il montaggio e tutto il resto lo fanno le ditte.

“Di quali materiali parla?”

“Lei consideri che un deltaplano è largo 10 metri e pesa 20 o 30 chili, ha una struttura in alluminio e la vela in Kevlar o Raion, sa queste nuove fibre artificiali, resistentissime e leggerissime. Le varie parti vengono cucite e poi ci sono dei tiranti che tendono la vela e fungono da sicurezza, sempre in alluminio ricoperto da plastica, insomma non è proprio come giocare con le costruzioni. Ecco, Rangeri, non ha mai minimamente tenuto conto di tutto questo, e non certo perchè non lo sapesse. Si è schiantato contro un albero con il suo delta undici anni fa.

“Mio Dio, ma è morto?”

“Le spiego prima una cosa. Consideri che è impossibile fare un volo da una montagna senza prima aver fatto una scuola, anche per un pilota d’aerei delle Frecce Tricolori o per il campione del mondo di aliante. Il motivo è che bisogna prendere confidenza con il deltaplano perchè da fermo è molto instabile, bisogna capire bene il decollo e l’atterraggio che sono entrambi i momenti più pericolosi, quando si rischia la vita per intenderci, non ultimo si devono conoscere i venti. Essere folli va bene, ma comunque bisognerebbe essere in grado di conservare sempre una certa dose di lucidità nella follia. A Rangeri questo mancava. Si, è morto”

“Che storia! Incredibile, davvero. Beh ora torniamo a noi, pronta, acceso”

“Guardi che tra dieci minuti dovremmo essere arrivati, secondo me conviene rimandare, magari al ritorno, però non lo so, veda lei, è solo una mia idea”

“Si, forse ha ragione. Allora nel frattempo perchè non mi racconta qualcosa? Che so del suo incidente per esempio, a registratore spento intendo, sempre che ne abbia voglia”

“Dieci minuti per raccontarle del mio incidente….sa, come le dicevo prima le fasi di decollo e di atterraggio sono le più delicate, il primo va fatto di corsa da varie altezze che comunque sono sempre dei veri e propri dirupi, pensi che si passa dal campo scuola, cioè da 3/5 metri di altezza, a 7/800. Alcuni decolli vengono fatti anche da 2/3000 metri su quasi tutti sulle Alpi, mentre nell’Italia centrale al massimo si va sui 1300/1500. Insomma, non esistono fasi intermedie, o vai a scuola o ti lanci dalla montagna.

“3000 metri di altezza?”

“Si, certo, ed inoltre il deltaplano va tenuto orizzontalmente altrimenti si rischia davvero la morte, anche se a volte capitano dei mancati decolli per calo improvviso di vento, per una rincorsa troppo lenta o per il fatto che il delta si inclina su un lato. Diciamo che se non ti fratturi puoi considerati fortunatissimo. Ed infatti qualcuno ci ha pure lasciato le penne. Per quanto riguarda l’atterraggio invece, a differenza di un aereo a motore, tu devi saper arrivare nella pista di atterraggio, che è una ed una sola, alla velocità giusta ed all’altezza giusta, e deve essere lunga parecchi metri, pianeggiante, senza ostacoli, e non puoi accendere il motore e riprovare, perchè non ce l’hai un motore!, se sbagli ti spiaccichi contro un albero, una casa o una montagna”

“Si, scusi, ma questo cosa c’entra con il suo incidente?”

“Io sono atterrato contro un pino”

“Mio Dio! Contro un pino?!? Ma i giornali non hanno mai riportato all’epoca questa notizia, hanno solo accennato ad un incidente sommario, quasi marginale!”

“Mi sono sfracellato le gambe e nel frattempo la sinistra è diventata di legno. I giornali sicuramente colorano solo le notizie che fanno scalpore, e la mia non era certo una di queste, ma è anche vero che lei, mi perdoni, non si è documentata poi molto prima di venire ad intervistarmi”

“Ma…perchè dice così…io…”

“Non si arrabbi, solo che lo vedo che di deltaplano non sa nulla, il mio istinto ha considerato solo la sua cortesia e la testata del suo giornale, e comunque lasci stare ora che siamo quasi arrivati. Cerchiamo di sbrigarci se vogliamo assistere a qualche lancio. Conviene avviarci subito”

“Come subito? E le valigie?”

“Senta faccia lei. Se vuole l’accompagno in albergo. E non vedrà un bel niente”

“Si, si, d’accordo, vengo. Accidenti però che freddo.”

“Glielo avevo detto”

“Dove stiamo andando esattamente?”

“Alla radura delle sorgenti”

“…dove è successo l’incidente”

“Allora qualcosa ha letto!”

“Ascolti, se la mette su questo la saluto, lei non sta rispettando la mia professionalità!”

“Senta, mi spiace, davvero. Le sembrerà strano ma la gente che pratica il mio sport è gente un po’ strana, particolare e, a differenza di quanto si possa immaginare, è soprattutto solitaria. Io poi lo sono in modo particolare, un orso come mi ricordava sempre la mia ex, e gli orsi, si sa, sembrano dei morbidi peluche finchè qualcuno non li fa arrabbiare”

“Si, però sta esagerando”

“Vedrà che ora alla radura le passerà tutto”

“Forse non dovrei dirglielo, ma sa che sono emozionata?”

“Perchè non dovrebbe?”

“Beh, perchè sono una giornalista in missione di lavoro, e checchè ne dica lei, dovrei tenere per me questo genere di sensazioni”

“Intendevo perchè non dovrebbe essere emozionata”

“Perchè un giornalista…”

“….deve mantenere un certo contegno professionale?”

“Più o meno”

“Le dico una cosa. Nel mio sport, devi fare tanta gavetta, tanti campi scuola, tante capocciate con il casco sul delta, tanta polvere mangiata, tanta paura, tanti battiti di cuore a mille. Beh, mi creda, il primo volo ti ripaga di tutto questo”

“Quindi?”

“Quindi credo che le sue interviste, i suoi registratori, le sue nottate a correggere le bozze degli articoli, le sue litigate con il capo redattore, la sua gavetta insomma, forse dovrebbero essere condite con un po’ di emozione per ripagarla completamente”

“Perchè crede che il mio lavoro non mi abbia già ripagato?”

“Perchè sta sulle difensive”

“Cosa c’entra?”

“Non importa, lasci perdere. Venga, scendiamo che siamo arrivati. E si metta un maglione in più addosso, mi dia retta. Appena in tempo, stanno per partire”

“Dove? Io non vedo niente…”

“Guardi laggiù, li vede?”

“Si….bello…incredibile…possiamo avvicinarci?…. sembrano … sembrano tanti uccelli….beh mi scusi, commento un po’ banale, vero?”

“No, non è banale, è anzi un’acuta osservazione perchè è vero, si vola nella stessa posizione di un uccello, con il corpo e la testa verso il basso, mentre con tutti gli altri tipi di volo stai seduto”

“Cosa si prova…voglio dire, quando sei lassù, a cosa si pensa…”

“A me la cosa che più mi colpiva era il silenzio, diciamo forse la percezione solo di un leggero fruscìo dovuto al vento, e poi la cosa più bella, la libertà. Volare mi dava una forza, ed una fiducia in me stesso, incredibile, soprattutto nei giorni seguenti. Poi sa, è bello il rituale, la mattina presto si studia il tempo, si guarda il cielo, si commentano con gli altri le previsioni, si passa per il campo di atterraggio per vedere se è tutto a posto, si va in cima alla montagna, spesso per strade sterrate, si riverifica il tempo, il clima, i venti, le nuvole, si monta il tutto e si verifica tutta l’attrezzatura, i cavi, i tiranti, poi c’è la preparazione al decollo, la tensione, i commenti per radio di quelli che stanno volando, sa, si è tutti costantemente in contatto con le radio, e poi alla fine il tuffo dalla montagna ed il tuffo al cuore, la gioia di vedere che si sta volando. Sensazioni uniche, mi creda. Quando poi uno è esperto comincia a trovare le “termiche”, cioè le correnti ascensionali che ti riportano in alto, spesso seguendo gli uccelli oppure stando sotto le nuvolette, e questo significa salire di 1000/2000 metri per cui sai che il volo sarà più lungo, e allora inizi a scrutare i paesaggi dall’alto, cercare di vedere le variazioni del vento dal fumo dei comignoli delle case, dai falò, e questo è importantissimo, perchè sia il decollo che l’atterraggio devono essere effettuati esclusivamente controvento, gliel’ho già detto, vero? e poi c’è l’avvicinamento all’atterraggio, le palpitazioni, infine l’atterraggio vero e proprio e lo smontaggio del mezzo, i commenti con gli altri colleghi, spesso la cena serale. In poche parole si esce di casa la mattina alle 8/9 e si torna dopo cena. E pensi che tante volte, dopo aver montato il delta e verificato tutta l’attrezzatura, arriva un cumulonembo, la pioggia, si smonta tutto e si torna a casa, perchè deve sapere che oltre al campo scuola c’è un corso teorico di meteorologia, si studiano le nuvole, i venti e tutto il resto. Un cumololembo ad un aereo lo sballottola un po’, ad un delta lo ribalta in un attimo. A me il volo dava una carica pazzesca, lo vivevo e lo gustavo dalla sera prima fino a 3-4 giorni dopo. Le ripeto, è bellissimo tutto il cerimoniale perchè, anche se alla fine si vola da soli, tutte le emozioni le condividi con il gruppo. Insomma, un solo volo vale tutta la fatica che comporta farlo!”

“E non le manca tutto questo?”

“Certo che mi manca. Da non dormirci la notte”

“Un attimo scusi, il telefono. Pronto, si dimmi. Come per stasera? Non ti sento bene. Come? Ma avevamo detto…ok, ok dammi il tempo di rivedere alcune cose e ti spedisco il pezzo. Vabbeh, si, ho capito, a dopo”

“Problemi?”

“Direi di si. Il capo vuole il pezzo per stasera ed io non ho registrato niente. Niente! Abbiamo parlato per tutto il viaggio, accidenti, e non ho nemmeno una sola parola!”

“Accidenti, mi spiace e ora? Posso aiutarla?”

“Niente, niente, ci penso da me”

“Allora per me possiamo andare”

“Si anche per me”

“Venga saliamo in macchina che la porto in albergo”

“Si, grazie”

Questo breve articolo uscì la mattina dopo sul giornale. Titolava così: -Cosa fare per imparare a volare- di Elisa Martini

-…forse per prima cosa si dovrebbe capire cosa si intende per volare. Cos’è che vola? Un areo? Un gabbiano? La nostra mente? Cosa? Giorgio Roversi, un ex professionista del deltaplano, lo sa perfettamente. Un grave incidente di tre anni fa, che ancora non lo fa dormire la notte al ricordo della sensazione della libertà, direbbe così -volare significa sentire dentro un colpo secco ogni volta che, alzando lo sguardo al cielo, si vede qualunque cosa che abbia due ali-, però significa anche saper andare oltre con il pensiero, al di là dello scibile umano, significa aver voglia di fare, di osare di sfidare, e per imparare a farlo bisogna struggentemente desiderare di essere lassù. Che sia con la testa o che sia con il corpo. Solo dopo potrete avvicinarvi ad una scuola di volo. Leonardo da Vinci diceva “quando camminerete sulla terra dopo aver volato, guarderete il cielo perchè là siete stati e là vorrete tornare” Si, perchè il mondo si divide in due: quelli che sanno volare e quelli che non sanno volare. Impegnate il vostro tempo a fare in modo di essere tra coloro che sanno farlo, anche fosse solo per un caso della vita-


Potrebbero interessarti anche :

Ritornare alla prima pagina di Logo Paperblog

Possono interessarti anche questi articoli :

Magazine