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Sono simpatico!

Creato il 16 marzo 2011 da Duffy
Come ti definiresti?
Empatico, sensibile, simpatico….
E quello davanti a voi resta impassibile, perché vorrebbe sogghignare o replicare, ma preferisce evitare di rovinare i rapporti e quindi si limita a esistere mentre parlate.
Quando è il suo turno, sta a voi respirare e fare l’espressione da poker.
Il problema non sta nel fatto che voi o lui siate dei bugiardi o meno, degli egocentrici o delle persone umili, ma sta nel capire davvero in cosa consistono tanti attributi che qualificano una persona, e che spesso sono fraintesi.
Quello che vengo a dire qui di seguito è frutto della mia modesta esperienza, e non ho alcun titolo per far cantare le mie deduzioni. Pura empiricità.
Partiamo dalla più abusata: la simpatia. Che cosa vuol dire essere simpatici?
Molte persone credono che l’avere una comitiva formata da una ventina di persone, una famiglia che frequentano piacevolmente, essere invitati alle cene di lavoro, questo fa di loro persone simpatiche.
Questo fa di voi persone accettate dal gruppo. Per un buon 60% si tratta di puro caso: siete nati nel posto a voi idoneo, che la vosta indole non ha fatto sforzi ad assecondare. Non siete un’aspirante velina in una comunita di squatters. Tutto qui.
Spesso capita di vedere persone lamentose, scontrose o pedanti perfettamente inserite. E’ perché, tornando all’esempio, sono squatter a casa di squatters. Sono molte di più le cose che legano queste persone che quelle che le dividono.
Simpatia è un termine molto generico. Cosa s’intende con questo?
Ha un senso attribuire un’arguta ironia a una persona, la capacità di farci ridere in maniera intelligente. E’ una qualità che indica un’intelligenza matura.
A mio parere l’intelligenza non è la capacità d’immagazzinare molte informazioni. Quella è una dote genetica, la stessa che permette a me di girare la lingua e a un altro di muovere le orecchio.
L’intelligenza è la capacità di far funzionare velocemente e bene (con una percentuale bassa di fallimenti) il cervello, facendo connessioni veloci e ardite, e, da lì, creare qualcosa di nuovo.
Ecco perché la matematica e le scienze in generale, sono considerate materie per persone intelligenti: riuscire a fare quello di cui sopra in un campo così estraneo alla vita quotidiana- lo so,la matematica è ovunque, ma noi non ci esprimiamo in alfabeto binario- è cosa per pochi.
La simpatia, se intesa come acume, velocità di connessione tra mondi dissonanti, il tutto per creare un effeto comico, espresso in tempi precisi- i tempi comici non sono roba per tutti- è una gran dote.
Tornando alla descrizione di prima, in cuor vostro- non c’è bisogno che lo confessiate ad alta voce- siete sicuri di essere simpatici?
E arriviamo all’empatia e alla sensibilità.
L’ultima è la capacità di soffrire per se, la prima è la capacità di soffrire per gli altri. Tutti sono sensibili, in misura differente.
Dirsi sensibile è come ammettere che ci si fa un po’ pena da soli sotto la pioggia senza ombrello. Grazie al cavolo.
Chi troppo sguazza in questa sua malcapita dote è infantile, tutto preso dalle sue profonde sensazioni.
L’empatia sta all’uomo medio come il bilinguismo all’analfabeta: è cosa rara.
Anche qui non ci s’interroga mai su cosa sia la qualità in questione.
Quando sei particolarmente giù e vai al lavoro cercando di mascherare i tuoi pensieri neri, e due colleghi ti salutano normalmente e un terzo ti chiede cosa hai, hai trovato una persona potenzialmente empatica.
Si accorge delle tue sensazioni non espresse perché osserva gli altri e legge più il linguaggio facciale e corporeo, che quello fonetico, perché sa che quest’ultimo è fuffa e mente nell’80% dei casi.
Come ci sono persone empatiche come i sassi, così ci sono quelle empatiche come serial killer: se le prime non hanno speso un minuto della loro vita per sapere davvero cosa provano gli altri, le seconde capiscono perfettamente cosa provi, ma se ne fregano altamente.
Lo stadio successivo, che fa si che una persona possa davvero definirsi empatica, è quando il collega di prima, dopo averti fatto sputare il rospo, ti dà il consiglio giusto. E questo non capita mai, a riprova del fatto che l’empatia è cosa rara.
Qual è il consiglio giusto? Quello pensato per te, che una persona costruisce non partendo dal suo modo di fare, agire e pensare, ma dal tuo. Ecco perché ricevere consigli è così frustrante, e ci troviamo sempre divisi tra il bisogno di confidarci e il terrore di sentire il responso dell’altro.
La stessa cosa vale per i regali: quanti di noi regalano quello che l’altro vuole- a meno che non venga chiaramente espresso- e non quello che sembra carino, pratico o divertente a noi?
Anche qui: più quadrifogli che empatici.
L’empatia, inoltre, richiede anche di riuscire a parlare nel linguaggio dell’altro, facendo si che si apra veramente un canale comunicativo. E qui è lo stadio finale, dove cascano quei pochi rimasti in piedi.
E’ davvero empatico colui che venga catapultato in mezzo agli aborigeni, o eschimesi, o danesi- tre lingue e culture comunque poco note- e riesca a formulare una frase di senso compiuto in una settimana, dopo aver osservato e carpito il possibile dagli autoctoni.
E adesso proviamoci di nuovo: come ti definiresti?....
No, non è una sconfitta e non vuol dire che valiamo di meno come persone. Ma bisogna capire che le qualità caratteriali sono come quelle manuali: se non ci hai perso un giorno della tua vita, un solo pensiero per allenarle, come credi di averle sviluppate? Solo tramite il contatto con altri? Puoi fare il ragioniere in un’officina per dieci anni e non saper cambiare una candela.
Sono scelte, e non possiamo farcene una malattia, ma essere un po’ più obiettivi nell’attribuirci meriti. Questo ci eleverebbe nella scala evolutiva.

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