Magazine Diario personale

Sono un tipo da chinotto.

Da Enricobo2

Sarà il caldo o lo spunto che mi ha dato oggi l'ottimo Bressanini, ma la chiacchiera di oggi la voglio fare su quello che bevevo da ragazzino. Intanto fin verso i tredici anni bisogna considerare che non avevamo il frigorifero e così son sempre stato perseguitato dalla voglia di bere un bicchiere di acqua fresca. Certe cose forse ti entrano dentro e diventano parte del Dna. Oggi, se l'acqua non è bella gelida non mi disseta, ma la maledizione deve avermi sempre accompagnato, quando viaggiavo in camper, il frigo non ha mai funzionato bene, negandomi sempre il piacere della frescura che il liquido gelato ti procura scendendo nella gola riarsa. Mah. A casa mia si beveva l'acqua "viscì" ovverossia l'idrolitina del Cavalier Gazzoni che mio padre confezionava due volte al giorno sciogliendo le bustine di polvere misteriosa dentro le bottiglie con la macchinetta che ancora conservo. Ha continuato ad essere l'unica bevanda della sua vita, fino a due anni fa quando se ne è andato a 96 anni, l'acqua minerale liscia che gli comperavo ogni tanto, non la beveva, sapeva di niente. Bisogna dire che era assolutamente imbevibile quell'acqua divenuta frizzantissima e il suo gusto di lisciva l'ho ritrovato solo anni dopo nelle acque minerali gasatissime dell' Unione Sovietica, una specie di Barjomi occidentale ante litteram dunque. Non c'erano i succhi di frutta allora, ma non crediate che non si bevesse come dice il marketing, con gusto. La faceva da padrone il tamarindo Erba, spesso sciroppo viola dal gusto particolarissimo e piacevole; la goccia spessa scendeva, versata con attenzione e si spandeva come una nuvola scura nel liquido trasformando l'acqua fiacca, in una bevanda deliziosa e dissetante. Anni dopo, non si trovava più, soppiantato da infami sciroppi di bassa qualità e minore prezzo, di certo cinesi o similari, direbbe il TG1. Mio padre, tanto insistette col direttore del suo vicino supermercato che ripresero le forniture ed ancora oggi lo ritrovo e lo serbo come un presidio slow food. A Torino invece andava per la maggiore la menta Sacco specifica di Pancalieri, noblesse obblige. Le bibite, a quel tempo in cui non esisteva la cocacola, erano pochissime e quasi tutte di produzione locale, tranne forse l'aranciata San Pellegrino, ma solo per gente di alto rango. Io, invece ero gente da chinotto, non da spuma però, considerata robaccia da bar, dove veniva spillata da bottiglioni doppio litro. Invece l'unica bibita accessibile per i ragazzi, era la gazzosa, archetipo di tutte le bibite future. La facevano in bottigliette di un vetro spessisimo e di seconda scelta, quasi granuloso e con diverse gradazioni di verde. La bottiglia era tappata da una pallina interna di vetro lattiginoso verde pallido che la pressione del gas tratteneva contro il collo e che si premeva col pollice verso il basso per aver accesso al prezioso liquido. Poi si rompeva la bottiglia (alla faccia del recupero) e si prendeva la biglia che faceva premio su quelle di coccio. Chi ne aveva di più era più ricco o un grande bevitore, oppure era più bravo a giocare a spannacetta. Poi vennero le biglie multicolori, arrivammo sulla luna e anche quella perse la sua aura di status simbol. Che sete, adesso vado a farmi un bel bicchierone di tamarindo gelato. Salute papà.


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