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Sorelle d'Italia

Creato il 08 marzo 2011 da David Incamicia @FuoriOndaBlog
Sorelle d'Italia
di David Incamicia |
Oggi è l'8 marzo, uno dei tanti 8 marzo sempre uguali e spesso pregni di ipocrisia. Una ricorrenza che dovrebbe rappresentare la doverosa rievocazione di tragici accadimenti che hanno segnato in profondità la vicenda storica delle donne, ma che invece è andata assumendo sempre più significati mondani e consumistici. Questo 8 marzo, tuttavia, merita un approfondimento ulteriore e differente, capace di andare oltre la retorica paritaria, poiché cade nel bel mezzo delle celebrazioni del 150° dell'Unità d'Italia. Ed il ruolo delle donne italiane nelle vicissitudini civili della nostra Nazione, specialmente in frangenti caratterizzati da capovolgimenti epocali come il Risorgimento e la Resistenza, non sempre è stato evidenziato dalla storiografia come invece avrebbe meritato.
Quella delle donne e dell’Unità d’Italia, in particolare, sembra una storia scritta con inchiostro invisibile. Una trama fitta e sottile di presenze operose, generose, importanti anche se taciute come spesso accade all’agire femminile. Le donne sono presenti attivamente nel processo risorgimentale e vi contribuiscono con atteggiamenti coraggiosi e innovativi, con scelte di libertà. Le donne, insomma, ci sono e fanno. Anche senza imbracciare un fucile. Accanto allo stereotipo della madre educatrice si delineano figure di eroine, di patriote, filantrope ed artiste, che irrompono nella storia con una carica trasgressiva rispetto al modello tradizionale imposto dalla cultura del tempo.
Chi ha tentato di rendere giustizia a queste figure dal punto di vista storico è la studiosa Laura Guidi, docente presso l'Università di Napoli, che ha analizzato una ricca produzione di biografie femminili dell’800 mettendo in luce modelli virtuosi a livello politico-ideologico. Ma quando la studiosa si rivolge ai documenti e agli archivi ufficiali allora quello che emerge è l’appannarsi delle identità, lo scomparire dell’agire femminile dietro quello maschile. Si fa fatica a trovare i fascicoli riguardanti le donne ferite o cadute in combattimento, le fonti si riferiscono solo agli ospedali maschili. E' un processo di rimozione che crea vuoti e silenzi nella storia del contributo femminile al Risorgimento e per trovare memoria delle donne la Guidi suggerisce di cercare nella sfera delle testimonianze familiari, fra le lapidi, gli elogi funebri, le lettere, i diari.
Mentre si andava costruendo l'Unità italiana, in tutta Europa, col Codice Napoleonico emanato nel lontano 1804, si rafforzava l’idea dell'assoluta subalternità delle donne alla potestà paterna e maritale, nel chiuso delle pareti domestiche. Le utopie della rivoluzione con i suoi principi di uguaglianza e libertà erano ormai acqua passata e la donna italiana per i successivi cinquanta anni rimarrà silenziosa vestale della famiglia ideale del nuovo stato borghese. Esclusa dai pubblici uffici, ma anche dal diritto a esercitare la tutela sui figli, la donna era sottoposta a disparità di pena anche di fronte all’adulterio: rispetto al marito che era punito solo in caso di concubinato, a lei il codice penale riservava fino a due anni di reclusione.
I filosofi del tempo teorizzavano la dipendenza della donna dall’uomo facendo appello a metafore di realtà naturali. Così, secondo Gioberti: “La donna è in un certo modo verso l’uomo ciò che è il vegetale verso l’animale, o la pianta parassita verso quella che si regge e si sostenta da sé”. Per Rosmini, invece: “Compete al marito, secondo la convenienza della natura, essere capo e signore; compete alla moglie, e sta bene, essere quasi un’accessione, un compimento del marito, tutta consacrata a lui e dal suo nome dominata”.
E' con Mazzini che si registrano posizioni più aperte e rispettose dell’importanza del ruolo della donna nella società, pur con qualche riserva rispetto alla prospettiva che la donna stessa partecipi alla vita politica del Paese: “L’emancipazione della donna sancirebbe una grande verità base a tutte le altre, l’unità del genere umano, e assocerebbe nella ricerca del vero e del progresso comune una somma di facoltà e di forze, isterilite da quella inferiorità che dimezza l’anima. Ma sperare di ottenerla alla Camera come è costituita, e sotto l’istituzione che regge l’Italia [la monarchia] è, a un dipresso, come se i primi cristiani avessero sperato di ottenere dal paganesimo l’inaugurazione del monoteismo e l’abolizione della schiavitù”.
Proprio nel 1861 venne pubblicata l'opera "La donna e la scienza o la soluzione del problema sociale", di quel Salvatore Morelli che per primo in Italia sollevò il problema femminile, battendosi durante tre legislature per i diritti delle donne, compreso quello di voto. Ma le sue richieste caddero sempre nel vuoto e di tante proposte di legge passerà solo quella, nel 1877, che riconoscerà alle donne il diritto di essere testimone negli atti previsti dal Codice Civile.
Ignorata dal legislatore e tenuta fuori dal percorso politico, è nell'associazionismo che la donna trova occasioni di emancipazione. In questo senso il salotto diviene il primo strumento di apertura alla partecipazione e all’impegno intellettuale e civile della donna, ma solo per chi ha la fortuna di appartenere all’aristocrazia e all’alta borghesia, dove il livello culturale e l’internazionalità della formazione consentivano di produrre opinioni e di confrontarle attraverso l’impegno sociale. Molte nobildonne aprivano i loro salotti a letterati, patrioti e artisti contribuendo in modo sostanziale alla creazione di un humus fertile alla diffusione dei fervori unitari e risorgimentali.
Spesso simpatizzanti delle idee mazziniane o vicine alla carboneria, come poi lo saranno alla teosofia e alla massoneria, hanno meno combattuto sulle barricate a colpi di moschetto e più lavorato per la costruzione del paese civile. Filantrope più che patriote hanno fondato ospedali, organizzazioni per l’assistenza alle minorenni, hanno aperto asili e scuole per affrancare le donne da quel grave ed evidente deficit di cultura che si traduceva in mancanza di libertà. Grazie alle riunioni organizzate dalla contessa milanese Clara Maffei, patrioti e artisti si unirono nel desiderio di indipendenza fino ad imbracciare le armi, nel 1859, contro l’odiata aquila Asburgica.
Già agli inizi del XIX secolo, quella Bianca Milesi che Manzoni definì “madre della patria” mostrava di cosa fossero capaci le donne. Legata al gruppo di pensatori patrioti riuniti intorno a Il Conciliatore, la voce più forte del dissenso politico in quel momento, era vicina ai Pellico, ai Confalonieri, ai Maroncelli. Pittrice, sarà la ritrattista di molti tra i protagonisti del Risorgimento. Avvicinatasi alle idee di Mazzini, organizza l’accoglienza degli esuli lombardi a Genova e con Confalonieri lavora alla creazione di scuole di mutuo insegnamento per promuovere una unità culturale su cui fondare l’idea di Patria. Le toccherà in sorte l’esilio in Francia.
Spesso i destini di queste donne si incrociano o si sfiorano. Alcune entrano nei libri di scuola, come Anita Garibaldi, Giulia Beccaria, compagne di eroi, o astute strateghe dell’intrigo e della politica come la Contessa di Castiglione. Altre contribuiscono con i loro sforzi e le loro idee ad un’azione collettiva e diffusa in cui è difficile far emergere singole individualità. Sono prime forme di associazionismo intorno a veri e propri progetti politici, comitati di filantrope dedite ad un progetto sociale, gruppi di giornaliste e intellettuali riunite intorno ad un periodico, comitati clandestini di patriote e congreghe dal carattere religioso.
Su questo filone nasce a Napoli, nel 1848, il giornale politico Un Comitato di Donne per promuovere la costituzione di un battaglione femminile. Sempre a Napoli, nel 1857, nasce il Comitato politico mazziniano femminile per stabilire i contatti tra i prigionieri politici nelle carceri borboniche e il comitato mazziniano genovese. Se ne occupa Antonietta De Pace, che aveva già creato importanti collegamenti tra patrioti di Puglia e Campania e preso parte ai moti del ’48. Entrerà trionfante a Napoli a fianco di Garibaldi. Lei, come altre, dopo le barricate si dedicò alla formazione dei giovani e alla diffusione dell’istruzione fra le donne.
Queste storie si colorano di episodi avventurosi e non sempre le protagoniste sono famose eroine. Molte sono infermiere, altre combattenti. Tutte compagne e madri capaci di infondere i principi della rivoluzione per l’indipendenza e l’unità del Paese. Donne che per sopravvivere si destreggiano fra mille travestimenti e nella clandestinità. Nei salotti bene di Milano, ad esempio, Cristina Trivulzi di Belgioioso, nobile, ricca e coltissima, è capace di riprendersi la propria vita dopo il fallimento del suo matrimonio finanziando le azioni carbonare e i moti di Modena di Ciro Menotti. Organizza vari ospedali a Roma e dopo l’esilio francese, una volta fatta l’Unità, si impegna nella fondazione di asili.
Sono ancora due donne, Jessie White Mario, corrispondente del Daily News e Margaret Fuller, inviata del New York Tribune, a diffondere gli echi della nostra storia risorgimentale nel mondo, attraverso i loro articoli. Vicine ai patrioti, Jessie White partecipa alla spedizione dei Mille, firma la biografia di Garibaldi e quella di Mazzini, la Fuller racconta dalle barricate le giornate di fuoco della Repubblica romana assediata dalle truppe francesi.
Dunque, se gli uomini del Risorgimento sono i protagonisti dell’Unità politica del Paese, le donne, non di rado nell’ombra, operano alla creazione dell’unità sociale e culturale della nuova e giovane Italia. Nel fare questo, avviano la prima riflessione sulla condizione femminile e con il contributo dei primi giornali femministi cominciano ad elaborare l’identità della donna dell’Italia unita.   A 150 anni di distanza, come si vede, siamo ancora in cammino. Mai come in questo momento la dignità della donna viene messa a dura prova da un potere machista che confonde velleità libertine con principi libertari. Ma le donne, quelle vere, quelle dotate di coraggio e passione, riusciranno a prevalere anche questa volta. Perchè senza di loro, senza la sensibilità e la determinazione con cui riescono a diffondere il senso della vita, nessuna rivoluzione è possibile. Oggi come 150 anni fa.   (Note storiche tratte da Minerva Riviste - Donne e Risorgimento)

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