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Spacecom – Uno strategico elementare

Da Videogiochi @ZGiochi
di Giovanni "plutarco" Calgaro

Gli strategici 4X hanno un passato importante, che affonda le proprie radici ben al di fuori delle stringhe di codici e dell’intrattenimento digitale; essi nascono coi board game dei primi anni ’70. In ambito videoludico il termine utilizzato per indicare la sottofamiglia strategica, ossia 4X (eXplore, eXpand, eXploit and eXterminate), fu coniata per la prima volta nel 1993, in occasione della prima recensione di Master of Orion, per poi entrare nel linguaggio comune ed iniziare ad indicare qualunque strategico – prevalentemente turn based, ma anche real time – che possedeva, in un modo o nell’altro (ma non necessariamente tutte) le quattro X appena citate. Nel corso degli anni poi la piattaforma Steam si è riempita di una nutrita schiera di esponenti del genere, dai titoli di nicchia alle classiche pietre miliari, prese successivamente a riferimento da altri sviluppatori per cercare di cavalcare l’onda del loro successo e tentare di rosicchiare una minima fettina di appassionati. Uno degli ultimi in ordine di tempo ad approdare sulla piattaforma Valve è stato un piccolo esperimento made in 11 Bit Studios, Spacecom, il quale dalle premesse aveva l’immane ambizione di presentarsi con un comparto strategico profondo come non se ne vedevano da tempo, a scapito purtroppo di altri aspetti che avrebbero potuto rendere il prodotto un po’ più appetibile dal punto di vista commerciale e maggiormente godibile da parte del pubblico.

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SEMPLICITÀ E PROFONDITÀ?

Spacecom purtroppo non si presta a grandi fantasticherie o digressioni poetiche. Sin dalla schermata iniziale capiamo che la nostra immaginazione è un lusso e che dovremo farne tesoro per tentare di divertirci un po’. Gli sviluppatori infatti hanno puntato tutto su due aspetti in particolare: profondità del gameplay e multiplayer competitivo, tralasciando tutto il resto, ossia single-player, background narrativo e, ovviamente, comparto grafico. La scommessa sembra però esser stata vinta a metà. Il single-player purtroppo non è altro che una breve palestra/tutorial composta da tredici missioni non troppo impegnative e dall’intreccio narrativo inesistente, con obiettivi primari e secondari che durano giusto il tempo di farci prendere dimestichezza con le meccaniche di base del titolo per poi permetterci di affrontare il vero cuore pulsante del titolo ossia il multiplayer competitivo e la modalità schermaglia, in cui è possibile selezionare, al solito, il numero di avversari e, naturalmente, la mappa che sarà teatro delle nostre gesta.

Il gameplay è anch’esso – come tutto il resto – ridotto davvero all’osso e la qualità generale latita. La tanto decantata “profondità” non deriva certo dalle sfide contro un’IA piuttosto ingenua, passiva e deboluccia, che spesso e volentieri si è fatta annientare ancor prima che ci fosse consentito dar fondo a tutte le nostre abilità strategiche. Chiaramente, il tasso di difficoltà, l’impegno e le soddisfazioni si fanno assai più interessanti allorquando riusciamo nell’impresa di trovare un avversario online. Solo in quel momento Spacecom riesce a dischiudere le sue ambizioni da vero titolo strategico anche se, sotto sotto, l’obiettivo ricorrente si riduce sempre al classico “annienta l’HQ avversario”. Le sessioni di gioco avvengono su una mappa molto stilizzata che rappresenta una porzione di una galassia lontana lontana e su cui vi sono dei sistemi planetari di varia grandezza connessi fra loro da vettori che permettono alle flotte di navi interstellari di spostarsi da un sistema all’altro. Anche in questo caso, come conscia scelta operata dal team di sviluppo che ha messo da parte le schermate piene di statistiche, riepiloghi gestionali e menu a scomparsa tipici del genere, tutto è improntato alla semplicità, all’intuitività e all’immediatezza, con solo tre classi di navi disponibili e quattro tipologie di sistemi stellari.

I giocatori iniziano ogni partita con un HQ (o sistema) principale e, a seconda della grandezza della mappa, altri piccoli sistemi sottomessi e nelle immediate vicinanze, che si possono differenziare per la loro diversa funzione nell’economia di gioco. Esistono infatti sistemi “cuscinetto” neutrali che non portano alcun beneficio materiale se non quello di frapporsi tra voi e il nemico e da conquistare solo per creare una buona linea difensiva; i sistemi che producono solo risorse e che le inviano in automatico allorquando vi sia bisogno di costruire qualcosa; quelli che invece sono deputati alla costruzione delle importantissime navi e, da ultimi, i sistemi dedicati unicamente alla riparazione delle stesse. Queste ultime, come anticipavamo prima, appartengono a tre tipi di flotte: Battle, Siege ed Invasion. Come avrete capito anche le flotte si differenziano a seconda delle specifiche funzioni. Ovviamente la Battle Fleet è veloce ed efficace unicamente nei combattimenti contro altre navi; la Siege Fleet è molto più lenta e vulnerabile ma consente di distruggere permanentemente un sistema, per la strategia della terra bruciata; infine, la Invasion Fleet fa sbarcare una forza di invasione per conquistare il controllo del sistema. Tutto qui. Non vi sono navi speciali, truppe d’élite, statistiche a cascata, modifiche da apportare alle flotte, o gestione di ricerche e sviluppo dei sistemi, diplomazia e quant’altro. L’unico strappo alla regola della “pura semplicità” viene da una piccola componente gestionale che comunque non fa sentire più di tanto il suo peso. Una volta conquistato un sistema infatti si dischiudono alcune possibilità che permettono di dotarlo, ad esempio, di una forza di occupazione stabile, o di uno scudo spaziale, il quale conferisce un bonus in termini di difesa. Una volta avviata la coda di costruzione, le risorse verranno inviate in automatico dai sistemi preposti, sempre che ne possediate uno, ovviamente. Le strategie da adottare non sono poi molte così come la loro varietà. Ripetendo quanto già detto in precedenza, fortunatamente c’è la modalità online e l’ingegno di avversari umani con cui confrontarsi, altrimenti il tempo da dedicare a questo titolo sarebbe davvero irrisorio.

Non ci resta che analizzare il comparto grafico. Se ci fosse qualcosa da analizzare, almeno. A parte la facile ironia, non possiamo che ribadire i concetti di fondo che permeano ogni aspetto di Spacecom: la semplicità e l’immediatezza. Come forse abbiamo più volte detto non esistono menu, sottosezioni, statistiche, code di costruzione e riquadri gestionali. La visuale resta sempre sgombra, mentre gli eventi rilevanti appaiono in pop up sulla sinistra senza provocare la pausa automatica, come avviene in altri titoli. Le sessioni si svolgono su una semplice mappa stilizzata, come i primissimi giochi del genere, ove insistono alcuni cerchi concentrici e sfere uniti tra loro da vettori stile ragnatela e che rappresentano i sistemi stellari, ed i rombi che rappresentano le flotte. Sia i sistemi che le flotte si differenziano poi da quelle neutrali o da quelle del nemico unicamente grazie alla loro diversa colorazione. Medesimo discorso deve esser fatto per il comparto audio, assolutamente privo di carattere e rilevanza.


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