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Spiegare il meno possibile

Da Marcofre

Di tanto in tanto mi capita di rileggere qualcosa di Flannery O’Connor, e trovo delle affermazioni perfette.
Nel capitolo dedicato allo scrivere i racconti (contenuto nel libro “Nel territorio del diavolo”) la O’Connor afferma che lo scrittore di narrativa spiega il meno possibile.

Si tratta di un concetto che sulle pagine di questo blog ricorre con costanza. Se continuo a farlo è perché ritengo che non sia mai scritto e ripetuto a sufficienza. Quando siamo sui banchi di scuola non ci viene insegnato a essere efficaci, ma a riempire dei fogli. Questa stortura ce la portiamo con noi anche dopo, quando per i motivi più strambi, decidiamo che vogliamo scrivere. Adesso il lettore potrebbe chiedersi: “Come si fa?”.

L’aspetto interessante della narrativa è che non esiste un metodo per arrivare al risultato. Siccome la scrittura deve essere il tuo sguardo sul mondo, senza però che ti si veda (spiace dirlo, ma non sei così interessante da occupare la scena), dovrai arrivare all’obiettivo con le tue sole forze.

Non ci sono trucchi o segreti; spesso l’esordiente vorrebbe che da qualche parte ci fosse una sorta di ricetta. Col Web, si interrogano i motori di ricerca perché ci forniscano la risposta esatta, la strategia migliore.
Quello che si ottiene (ed è già molto, sul serio), è capire cosa evitare. Non basta?

Di solito il tempo, assieme alle buone letture, alla pratica, aiutano a liberarsene. È già un passo nella giusta direzione anche se non è sufficiente.
Cosa occorre davvero?

Spiegare il meno possibile” non ha a che fare solo con il togliere, il cancellare. Si tratta in realtà di individuare quello che rende reale, vivo un personaggio, un momento, un oggetto. E di liberarlo da orpelli e strutture che lo soffocano. L’attenzione del lettore non è un recipiente da riempire di roba, pigiandolo sin quasi a farlo scoppiare.

Se scrivi, devi capire in fretta che il lettore non ha bisogno di tutti gli elementi di un ambiente, o di un personaggio, per diventare il tuo fedele compagno di strada. Necessita solo di quelli necessari; e per riuscire a trovarli, ad offrirli, ci vuole impegno, determinazione, una buona dose di follia.

Non c’è altro nome per quella pratica solitaria che ti spinge a restare quaranta minuti su una stupida frase mentre nelle orecchie il cattivo spirito ti dice: “Vai avanti, vai avanti! Non perdere tempo! Il mondo è pieno di porcherie, e questa è comunque superiore!”.
Anche se è di una spanna superiore, non basta.

Deve essere migliore, o almeno il meglio che IO posso fare. E sino a quando non ho la ragionevole certezza di aver speso tutte le mie forze per raggiungere questo obiettivo, non posso, non voglio andare avanti.

In un certo senso, ogni frase dovrebbe essere considerata un tesoro sigillato in un forziere sepolto sotto due metri di sabbia. Per far sì che il lettore goda di quella ricchezza, dobbiamo armarci di piccone, pala, e scavare. Poi, sarà necessario estrarre dalla fossa il forziere, far saltare la serratura. E già che ci siamo, lucidare tutti gli oggetti contenuti.

Solo quando si considera la parola potente e preziosa si comincia a capire cosa voglia dire Flannery O’Connor.


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