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Starcraft ii: legacy of the void – il gran finale

Da Videogiochi @ZGiochi
di Giovanni "plutarco" Calgaro

Non avevo ancora compiuto quattordici anni quando, carico del gruzzoletto tanto faticosamente messo da parte con mance e regali vari, mi diressi verso il vecchio negozio che riparava computer, vicino a casa. Quell’attività non esiste più da un pezzo, divorata dall’inarrestabile avanzare delle grandi catene di elettronica, ma il ricordo – quello sì – è ancora vivido. Entrai per acquistare un titolo di cui mi ero perdutamente innamorato sfogliando le riviste dedicate al PC gaming. Era Starcraft. Dopo le incalcolabili ore passate in compagnia di orchi ed umani con il fratello maggiore Warcraft, non potevo che dare la mia fiducia incondizionata, ancora una volta, a quella compagnia californiana che era riuscita a farmi sognare. Blizzard, questa volta, puntava alle stelle. E ci riuscì, ancora una volta.

Annunciato nel corso del secondo E3, StarCraft riscrisse – nuovamente – le regole degli RTS rendendo noto a tutti quali fossero i rapporti di forza che regolavano il genere strategico. I vari Dune, Command & Conquer e compagnia bella vennero spazzati via in un baleno, con oltre un milione di copie vendute in poco tempo. La cifra oggi pare irrisoria ma, in un’epoca in cui i videogiochi erano ancora affare di pochi, fu un successo senza precedenti. I giocatori furono rapiti dalla sceneggiatura, così profonda e ben scritta, dalle cutscene emozionanti (tra l’altro, i primi esempi di quella grande cura riposta nella CG che vediamo ancora oggi), dal grande passo in avanti fatto con l’introduzione della visuale isometrica e, soprattutto, dalla presenza di ben tre razze, ognuna dotata di un design peculiare e da una caratterizzazione senza pari. Tre campagne, tutte ugualmente avvincenti ed incredibilmente equilibrate. Passano ben dodici anni di estenuante attesa. Blizzard, si sa, non è mai stata ligia alle scadenze. L’importante è che ogni singolo titolo sia pressoché perfetto; fortuna che World of Warcraft ci ha tenuto impegnati per un bel po’.

StarCraft II Legacy of the Void logo

ANNO ZERO – LA FONDAZIONE

La seconda incarnazione dello strategico fantascientifico Blizzard giunse nel 2010. Sembra passata un’eternità. Con un’abile mossa commerciale che farebbe invidia al miglior Peter Jackson, quei furboni decisero di spezzare in tre parti quella che si preannunciava sin dalle prime missioni un’unica, grandiosa, avventura dai tratti tutt’altro che comuni. Insomma, ci diedero solo un piccolo antipasto del grande disegno che avevano pianificato. E ci riuscirono, tenendoci sulle spine sino ad oggi. Da quel lontano Wings of Liberty, dalle gesta dei Randagi di Raynor, sono passati ben cinque anni. Un lustro di alacre fervore creativo molto importante per la casa californiana che, tra le altre cose, ha spinto lo svecchiamento del suo MMORPG, ha rilasciato (non senza polemiche e delusione) il terzo capitolo di Diablo e, soprattutto, ci ha permesso di godere di una Regina delle Lame in ottima forma, senza contare Heroes of The Storm e il decisivo contributo all’espanisone dell’e-sport. Dunque, eccoci qui. “This is the End”, come avrebbe cantato il buon Jim Morrison. Siamo giunti alla fine di un lungo cammino costellato di grandi soddisfazioni, centinaia di partite e personaggi indimenticabili inseriti in un universo vibrante di vita e storie da raccontare che, per qualche scherzo della mente, mi hanno fatto tornare ragazzino, quando inserii per la prima volta il CD di Starcraft, ben diciassette anni fa.

Dopo aver guidato i Randagi al riscatto sul Dominio e l’orda infestante degli Zerg in lungo ed in largo per l’universo, la degna conclusione della saga non poteva che essere l’eterea genia Protoss con le sue lotte intestine e la sua infinita saggezza. La campagna stand alone di Legacy of the Void, iniziata ancora prima del rilascio ufficiale con le tre quest affrontate dal buon Zeratul e che costituiscono – in soldoni – il prologo all’intera vicenda, appare sin dai primi istanti corposa, sopraffina e dotata del carattere necessario per crescere sino al climax finale che, vi assicuriamo, non vi potrà assolutamente lasciare con l’amaro in bocca. Per questa ultima avventura, l’eroe predestinato è Artanis, saggio Gerarca dei Daelaam, costretto a fare di necessità una virtù per salvare ciò che resta della propria razza dalla definitiva catastrofe. Per questo, dopo esser fuggito dal pianeta natale Aiur a bordo della leggendaria Lancia di Adun, egli dovrà intraprendere un epico viaggio di pianeta in pianeta alla ricerca di improbabili alleati per ampliare le fila del proprio esercito, scoprire di più sui mitologici Xel’Naga ed eradicare dall’universo, una volta per tutte, la minaccia del Vuoto. In questo senso, le ventidue missioni che compongono la campagna riproducono in modo sostanziale quanto già visto in Wings of Liberty e Heart of the Swarm. A cambiare, però, è ora il ritmo e la profondità della narrazione, calata in modo splendido in un solido background narrativo costruito proprio nel corso dei due episodi precedenti. Insomma, la classica quadratura del cerchio. Dopo le disordinate orde Zerg, nell’ora più buia per la razza più antica dell’universo si avverte un marcato senso di spiritualità e di sacrificio legato al greve peso del comando e alle decisioni irrevocabili. Artanis, però, non è solo. I Protoss, siano essi i reietti Tal’Darim oppure templari oscuri, si dovranno unire sotto un’unica bandiera per sperare di sconfiggere Amon. Al solito, tra una missione e l’altra, ritroviamo con sommo piacere i lunghi dialoghi tra i molteplici comprimari e le cutscene cinematografiche che permettono (sempre se ne avete voglia) di approfondire la conoscenza della storia della razza e dei molti comprimari che colorano la Lancia di Adun con la loro presenza. I veterani potranno gioire nel rivedere alcune vecchie glorie e diverse – ma altrettanto gradevoli – new entry.

PER AIUR!

Se la narrazione, da sola, riesce a toccare livelli sinora raggiunti solo raramente dal genere strategico, il gameplay, come da tradizione, non è certo da meno. Ciò che di buono è stato fatto nel corso di questi cinque anni viene preso di peso e nuovamente adattato al diverso contesto. Non solo. Il team di sviluppo non si è accontentato di mantenere inalterata la formula di gioco che ha sempre caratterizzato la serie; l’ha addirittura ampliata introducendo un buon numero di novità sia sotto il profilo riguardante il nuovo centro di comando delle operazioni Protoss, sia per ciò che concerne la caratterizzazione di ogni singola missione. La leggendaria Lancia di Adun, ovviamente, è la nostra nuova casa. Come di consueto, sul ponte di comando è possibile selezionare il briefing della missione che si desidera affrontare, mentre le sottosezioni gestionali permettono una vasta selezione di truppe da far scendere in battaglia personalizzando in questo modo, tramite il pannello di adunanza, il nostro esercito mano a mano che diverranno disponibili nuove unità e fazioni (come Nerazim, Tal’Darim, Templari e così via) e di potenziare la stessa nave grazie alla Solarite. Questo raro materiale consente di modificare a nostro piacimento determinati bonus attivi o passivi che vanno ad influenzare in modo marcato lo stile di gioco in ogni singola missione.

I bonus possono variare dalla disponibilità di maggiori risorse iniziali ad una più alta resistenza degli scudi psionici, oppure consentire una più rapida costruzione delle unità sino a bombardamenti mirati. Insomma, sta al giocatore trovare lo stile di gioco che meglio lo rappresenta. Quest’ultimo può contare, inoltre, su un’interfaccia migliorata ed intuitiva che agevola l’utilizzo rapido non solo dei potenziamenti della nave, ma anche le shortcut. Cosa non sempre facile, in passato. Come abbiamo accennato anche le missioni, ossia il vero cuore pulsante di Legacy of the Void, sono state caratterizzate in modo certosino e maniacale. A noi sono venute in mente due sole parole per definire la sensazione che ogni singolo stage ci ha restituito: coerenza ed unità. Pur con la presenza di obiettivi primari e secondari specifici, non si perde mai di vista il quadro generale delle vicende, in un tutt’uno coerente ed ottimamente orchestrato tanto con cutscene, quanto con colpi di scena originali al momento giusto. La modalità singleplayer, nonostante da sola valga sicuramente la spesa, non è comunque l’unica ad aver subito cambiamenti. Chi è interessato al multiplayer alzi la mano.

StarCraft II Legacy of the Void personaggi

INSIEME È MEGLIO

Il comparto multigiocatore, da qualche anno a questa parte massima espressione dell’esperienza strategica competitiva, è stato per l’occasione rivisto ed ulteriormente ampliato  grazie all’introduzione di due nuove modalità accolte – sembra – positivamente dalla comunità di appassionati. Anzitutto, sotto il profilo PvE, Blizzard ha introdotto la modalità cooperativa a due giocatori, sin da subito apparsa come il vero valore aggiunto per chiunque abbia timore del brutale PvP. La filosofia che permea questa modalità è semplice: vi sono alcune missioni (poche al momento), rimappate appositamente per essere gestite da due giocatori, con obiettivi specifici. Ogni giocatore, poi, ha la possibilità di scegliere un eroe (e relative unità) da schierare sul campo di battaglia. Completando gli obiettivi, gli eroi guadagnano i canonici punti esperienza da spendere per l’acquisto di abilità uniche per ogni eroe. Una specie di commistione RTS-RPG, per intenderci, che funziona in modo pressoché perfetto e riesce anche a divertire. Passando al PvP, una modalità particolarmente interessante ma impegnativa se non si ha un amico con cui coordinarsi, è la modalità Arconte, in cui due giocatori non controllano due eserciti, bensì una singola armata. Un po’ come accade con il nuovo personaggio di Heroes of the Storm Cho’Gall.

Il principio è il medesimo: una precisa divisione dei compiti, in modo da ottimizzare al meglio la gestione delle risorse ed aumentare l’efficacia offensiva degli attacchi, al contrario, potenziare l’efficacia difensiva. Come modalità entry level per il player versus player questa potrebbe risultare molto più appetibile per chi, pur attirato dal multiplayer, ha sempre avuto paura di affrontare quel mondo duro e spietato con i novellini. Attenzione però, perché anche qui le cose non sono semplici e una delle chiavi del successo sta proprio nell’avere un buon amico e tanta coordinazione. A nostro avviso, il multiplayer competitivo – quello vero, 1vs1 – in Legacy of the Void ha raggiunto nuove vette di eccellenza grazie ad una miriade di piccoli cambiamenti e all’introduzione di sei nuove unità (due per ogni razza) che contribuiscono a cambiare in modo sensibile le meccaniche degli scontri, costringendo anche i veterani a dover ripensare alle loro strategie, oramai codificate da tempo. Una buona ventata d’aria fresca, si spera, per l’ambiente pro, mentre per i novellini rimane il solito mondo crudele in cui entrare solo dopo molto (moltissimo) tempo passato a fare pratica con l’intelligenza artificiale.

LA PROFEZIA SI È AVVERATA, UNA NUOVA SPERANZA NASCE

Come potevamo pensare di concludere la recensione senza aver speso qualche parola riguardo all’aspetto squisitamente stilistico del titolo? Anche sotto questo profilo, Legacy of the Void ha carattere da vendere. Il character design, splendido come sempre e sostenuto da un valido doppiaggio, ci ha fatto affezionare sin da subito ai nuovi protagonisti di questa avventura, nonostante i Protoss rimangano una razza misteriosa e a tratti “antipatica” per il rigido codice che li muove. Eppure, le vicende legate al plot e le stesse storie personali dei molteplici compagni di viaggio risultano affascinanti a tal punto da instillare una curiosità che il giocatore deve a tutti i costi soddisfare. Un plauso deve esser fatto agli sceneggiatori per esser riusciti a tenere alto non solo il ritmo della narrazione, ma anche il livello di dialoghi ed eventi, senza perdere per un solo istante la retta via in un crescendo costante. L’unico appunto a questo capolavoro strategico deve esser diretto al profilo tecnico. Stiamo pur sempre parlando di un engine che oramai ha i suoi bei annetti sulle spalle ed alcune cutscene cinematografiche tradiscono alcune imperfezioni in termini di pulizia. Nulla di grave, comunque. Un peccatuccio che si dimentica in fretta, sommerso da cotanta magnificenza.

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