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Steve jobs

Creato il 26 gennaio 2016 da Kelvin
STEVE JOBS (id.)
di Danny Boyle (Usa, 2015)
con Michael Fassbender, Kate Winslet, Seth Rogen, Jeff Daniels, Katherine Waterston
durata: 122 minuti

Steve Jobs in America è stato finora un mezzo flop: appena 16 milioni di dollari incassati a fronte dei 25 spesi, malgrado le due nomination agli Oscar per i protagonisti Michael Fassbender e Kate Winslet. E anche in Italia non è che sia partito benissimo, con i miseri 600mila euro raggranellati nel primo weekend. Cifre abbastanza risibili per una pellicola che, sulla carta, aveva ambizioni ben maggiori, oltre che tutti i presupposti per sfondare al botteghino: un divo sulla cresta dell'onda, dei comprimari di lusso, un regista (Danny Boyle) eclettico, creativo e ben inserito a Hollywood, nonchè una sceneggiatura di lusso firmata dal "guru" Aaron Sorkin, a detta di molti il miglior writer della Hollywood contemporanea.
STEVE JOBSEppure, paradossalmente, in questo caso secondo me è proprio Sorkin l'anello debole della catena: grande sceneggiatore, ma a volte poco elastico nell'adattare i propri script con il tipo di materiale a disposizione. Mi spiego: Sorkin è un grande autore di dialoghi, i suoi personaggi parlano sempre in modo così veloce e tagliente che si fa persino fatica a seguirli (strepitosi, ricorderete, quelli di The Social Network, le cui battute iniziavano ancor prima del film, durante i titoli di testa), ma in questo caso la partitura adottata risente di un'impostazione a mio avviso un po' troppo "teatrale" che fa percepire immediatamente allo spettatore la finzione della messinscena... insomma, sembra quasi di essere a Broadway più che nella Cupertino degli anni '80: i protagonisti adottano un linguaggio forbito ma innaturale, sembra che stiano sempre sul palcoscenico invece che nei loro uffici. Cosa che effettivamente avviene...
Il film, non a caso, è impostato proprio come una pièce teatrale: 120 minuti divisi in tre "atti" di uguale durata, ognuno su un palco diverso (vero, non figurato), in corrispondenza di altrettante presentazioni di computer entrati poi nella storia: il Mac1 del 1984, il Next Cube del 1988, l'IMac di dieci anni più tardi. Il regista Danny Boyle dà carta bianca a Sorkin firmando una regia "invisibile" che esalta le personalità dei singoli, in particolar modo quella del protagonista, tratteggiando una biografia che non è affatto agiografica ma che, anzi, ci mostra con insistenza e irriverenza il lato oscuro di uno Steve Jobs che davvero non ci immaginavamo così "cattivo": lo vediamo in pessimi rapporti con l'ex compagna e la figlia, trattare con sufficienza i suoi collaboratori, a volte umiliandoli in pubblico, capace di intuizioni geniali ma anche megalomani, che all'atto pratico si rivelano autentici buchi nell'acqua, senza assumersi le proprie responsabilità.
STEVE JOBSDove invece il film pecca è nella ricostruzione della vita professionale di Jobs: premesso che non stiamo parlando di un biopic in senso stretto (come detto, la sceneggiatura di Sorkin racconta solo tre momenti precisi della carriera del fondatore della Apple), la pellicola finisce per dare troppe cose per scontate, presupponendo (erroneamente!) che chi guarda conosca almeno a grandi linee la storia del marchio più famoso al mondo, impedendoci di capire e assaporare la figura e la potata di uno degli uomini più importanti e chiacchierati dello scorso millennio: i piccoli flashback disseminati qua e là sono infatti del tutto insufficienti per tratteggiarne la personalità, così come lo spettatore medio non viene per niente "catturato" dal carisma del personaggio (non tanto a causa dell'interpretazione di Fassbender, che è bravo, ma per la rigidità di un copione che lascia pochissimo spazio all'inventiva).
STEVE JOBSUn film sospeso a metà, dunque, che non appassiona lo spettatore ma si fa apprezzare per la ricostruzione storica e le prove degli attori, e che forse funzionerebbe meglio al teatro che al cinema: girato praticamente tutto in interni, basato esclusivamente sulle parole, Steve Jobs è forse troppo schematico per il grande schermo, fermo restando che ci troviamo comunque di fronte a un prodotto valido ma poco commerciale, cui solo gli appassionati della piccola mela morsicata potranno vederci tutti gli eventuali riferimenti disseminati nelle due ore di lunghezza. Che in certi momenti, innegabilmente si sentono.
 

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