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STEVE WINWOOD E I TRAFFIC #jazzrock #psichedelia #sperimentazione

Creato il 06 dicembre 2014 da Albertomax @albertomassazza

traffic

Un ragazzino di Birmingham destinato, nel breve volgere di pochi anni, a segnare la storia del rock con la partecipazione a tre diversi progetti musicali, capaci di coniugare il successo commerciale con la ricerca stilistica e compositiva. Era il 1965 e Steve Winwood, talentuoso cantante, organista e chitarrista diciassettenne, insieme al fratello maggiore Muff, entrò nella band del cantante e chitarrista Spencer Davis che fino ad allora si era fatta apprezzare a livello locale per il suo stile influenzato profondamente dal Motown sound e dal R & B nero. Con i fratelli Winwood, la Spencer Davis Group fece il decisivo salto di qualità, inanellando hits nei successivi due anni, tra cui il successo planetario di Gimme some lovin’, uno dei più inflazionati brani della storia del rock. Raggiunto il successo, il non ancora ventenne cantante e polistrumentista non pensò minimamente di continuare sul sentiero aperto, ma si mise alla ricerca di musicisti capaci di coniugare il dominante sound psichedelico con le radici folk e blues intese nel più ampio senso possibile, l’istinto improvvisativo con il rigore e la raffinatezza formale. Li trovò nel batterista Jim Capaldi, nel fiatista Chris Wood e nel chitarrista Dave Mason: nacquerò così i Traffic, uno dei più originali gruppi della scena psichedelica e proto-progressive inglese.

Messa sotto contratto dalla Island Records, la nuova band nella primavera del 1967 incise il suo primo singolo Paper sun, seguito pochi mesi dopo da Hole in my shoe, entrambi balzati rapidamente nelle prime posizioni delle classifiche pop inglesi. Dopo un terzo singolo (Here we go round the Mulberry bush, inserita nella colonna sonora dell’omonimo film di Hunter Davies), fu la volta dell’album d’esordio Mr Fantasy, uscito nell’autunno del 1967, che aprì ai Traffic la strada per il mercato statunitense. I tre singoli precedentemente pubblicati vennero esclusi dalla versione originale dell’album. La composizione dei brani fu frutto abbastanza corale, con la naturale predominanza creativa di Winwood, mentre Mason manifestò una tendenza all’autonomia compositiva e Capaldi si ritagliò un profilo da paroliere. Più che allo stravolgimento straniante della forma canzone, tipico della temperie psichedelica, i Traffic tesero al suo arricchimento, senza mai trascendere nel barocco, con abilissimi intrecci contrappuntistici vocali e strumentali.  La miscela sapiente di folk, rock, blues, jazz e soul, condita con l’utilizzo del mellotron e di strumenti della tradizione colta e popolare europea, ma anche jazz e orientale, veniva ulteriormente caratterizzata  dall’inconfondibile timbro vocale di Winwood.

Il successivo Traffic del 1968 confermò quanto di buono emerso nel disco d’esordio, registrando, se mai ce ne fosse stato bisogno, un passo avanti verso la perfezione formale sobriamente raffinata della scrittura e degli arrangiamenti. Dave Mason, sempre più spinto verso la propria autonomia creativa, abbandonò il gruppo che di fatto si sciolse temporaneamente. Già il successivo Last Exit del 1969, come sottinteso dallo stesso titolo, appariva come l’ufficializzazione dello scioglimento: una raccolta di registrazioni live e in studio, curata direttamente dalla Island, di brani non inclusi negli album precedenti. Intanto, l’instancabile Winwood, non pago di aver concluso tanto appena ventenne, si tuffò in un’altra avventura non da poco: la fondazione dei Blind Faith, con gli ex Cream Eric Clapton alla chitarra e Ginger Baker alla batteria e la successiva aggiunta del bassista Ric Grech, proveniente dai Family. Il supergruppo però ebbe una durata effimera e dopo aver inciso l’omonimo album del 1969, si sciolse. Winwood ricontattò Wood e Capaldi per riformare i Traffic e l’anno successivo vide la luce l’album più celebre della Band, John Barleycorn must die, con l’abbandono parziale delle acidità psichedeliche, per dare maggiore spazio a linee melodiche più orecchiabili e tradizionali, mantenendo e ulteriormente perfezionando l’abilità nel coniugare complessità e leggerezza nella composizione.

Chiuso questo fecondo periodo con il live Welcome to the Canteen del 1971, i Traffic successivamente diluirono la forma canzone in fluviali excursus jammistici, con una formula aperta alle collaborazioni esterne. Sotto questo segno videro la luce Low spark of high heeled boys (1971), Shoot out at the fantasy factory (1973) e When the eagle flies (1974), oltre al live On the road (1973). L’epopea dei Traffic si concluse qui, salvo riprese dei due membri superstiti Winwood e Capaldi (Wood era morto di polmonite nel 1983) negli anni ’90, con la pubblicazione dell’album in studio Far from home nel 1994 e del live Last great Traffic jam, registrato durante la tournée promozionale dell’album e pubblicato nel 2005, dopo la morte di Jim Capaldi. Steve Winwood aveva intrapreso già dalla metà degli anni settanta un’intensa attività di solista e di collaborazioni con importanti musicisti, spaziando dal rock al jazz, dal pop alla sperimentazione, dall’elettronica alla black music. Non sono mancati  discreti riscontri commerciali, ma Winwood ha sempre mantenuto una distanza di sicurezza dagli ingranaggi dell’industria dell’intrattenimento musicale. Della sua ormai cinquantennale gloriosa carriera, resta soprattutto la perla dei primi album dei Traffic, una band dalla spiccata tipicità, annunciatrice dell’avvento del progressive e anticipatrice dell’acid jazz, che, nonostante il successo riscosso nell’immediato, è scivolata ingiustamente verso l’oblio.



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