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Stop at the top, una scelta che non convince

Creato il 20 ottobre 2013 da Ideaoccidente

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Il Festival internazionale del giornalismo di Perugia chiude i battenti e non pare che possa riaprirli nel breve periodo. Arianna Ciccone, non senza risparmiare polemiche, ha deciso di fermarsi all’apice del successo. Con un articolo in cui addebita la responsabilità della chiusura a diverse cause, non ultima l’indifferenza della politica, la promotrice della kermesse ha sancito un arrivederci fulmineo, più simile però, per contenuti e prospettive, a un addio reticente. Di quei saluti che cercano insomma di alimentare velatamente l’illusione del ritorno, per evitare le lacrime e consolarne l’amarezza.

Stop at the top: il titolo è chiarissimo. Meglio il niente al risicato, il fallimento alla retrocessione, l’abbandono al mancato progresso. Ma di chi è la colpa? Anzitutto della politica, che fa orecchie da mercante quando si tratta di onorare aspettative culturali autonome rispetto alla logica del consenso, ma non quando si tratta di lusingare le persone con porchetta succulenta e vinaccio di stagione. Insomma, pur se di casacca non certo antagonista, il festival non procurava voti al partito di turno né si proponeva di cercarli.

Ed è per questo che la Ciccone lamenta, in un’intervista rilasciata a L’Espresso, il progressivo disinteresse mostrato dall’Assessorato regionale alla Cultura nei confronti dell’iniziativa, giunto negli ultimi anni a diluire i finanziamenti fino a sospenderli del tutto. Nel contempo, il non certo destrorso Espresso, fa notare come la stessa Regione non si è mai tirata indietro di fronte a eventi di sicuro impatto politico, a partire dalle sagre paesane. E quindi i soldi ci sono e ci sarebbero anche nelle contingenze della crisi, ma si spendono per rimpinguare il serbatoio del sistema, fatto più che di chiacchiere e opinioni autorevoli, di clientele e favori terra terra.

La responsabilità che però mi cade più all’occhio è quella della stessa Arianna Ciccone, le cui osservazioni, si badi, mi paiono legittime; ma che, nel momento in cui si crede in qualcosa e si è accesi da voglia ed entusiasmo, non sono poi così preclusive. In primo luogo perché pur nella ristrettezza economica e nella miopia politica, e per ammissione della stessa Ciccone, il festival avrebbe potuto proseguire tranquillamente il suo cammino con qualche accortezza in più a livello di spesa corrente. In secondo luogo perché, come sostenuto invece dalla Regione, la ricerca di ulteriori sponsorizzazioni private avrebbe rappresentato un’alternativa, forse di minore autonomia ma senza dubbio praticabile, al discusso sostentamento pubblico. E in terzo luogo perché ancora non ho ben inteso se il suo annuncio (non me ne voglia, Arianna, se d’ora in poi mi rivolgo direttamente a lei) è un aspro e rispettabile rimpianto e non al contrario una fin troppo ambiziosa pretesa.

Quello che mi chiedo, e si chiede la maggioranza dei perugini come me, naturalmente delusi e poco avvezzi alle cifre, è se vi fosse la necessità, oppure la convenienza, di chiudere questa bella esperienza. Perché a ben leggere le sue parole c’è soltanto un accenno generico alla prima e un continuo rimando alla seconda. E glielo dice un giovane che, pur coi suoi discreti mezzi, è costretto a vederle solitamente rovesciate: l’una, la necessità di spingere, ovunque opprimente e affamata; mentre l’altra, la convenienza di mollare, flebile e crepuscolare, come sul punto di morire o andarsene in pensione, per l’abuso che negli anni se n’è fatto.

Alla luce di quel che si vede sui giornali e in televisione, sono poi fin troppo ottimista nel dirle che forse, noi giovani, di certi talenti, ancora ne abbiamo qualcuno: seppure pochi. Né sarò scortese a ricordarle che uno di questi è capitato fra le mani proprio a lei, e per quanto l’abbia messo luminosamente a frutto, è un peccato sotterrarlo sul più bello.
Mi pare esista una parabola a riguardo, che arriva alle medesime conclusioni.

Mi creda: investendo idee in sostituzione dei soldi, rischierebbe certo un flop devastante, ma consegnerebbe un messaggio di speranza a quanti ci provano nella vita tutti i giorni, e la prova del fatto che è possibile. Cosa? lo sa bene. Scelga dunque di essere l’ esempio trito del capitalista scaltro, che nel momento in cui fiuta la tempesta abbandona i marinai al destino, che si ammutina alla prima santabarbara, che disperde un bagaglio di conoscenze ai primi assaggi della crisi, oppure di incarnare l’altro e opposto esempio, quello dell’ostinazione eroica, del disoccupato che non si sconforta, del precario che non molla, del giovane che non si ferma e rincorre il primo treno che incrocia, per vecchio e dissestato che sia.

Credo di parlare a nome dei tanti che l’hanno ascoltata e che sperano in un suo pronto ravvedimento: anche perché, a una diversa lettura, quello spazio di arrivederci che si è riservata, potrebbe anche non essere, come invece l’ho inteso io, così prossimo all’addio; ma un piccolo rifugio di proposta, dove si chiede a sostegno del festival il clamore e il calore del popolo.

Per quello che vale, chi è d’accordo le darà entrambe le cose. Me compreso.

Michele Spina


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