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“Storia di un cane che insegnò a un bambino la fedeltà” di Luis Sepúlveda: riflette sulla realtà ed aiuta a comprenderla

Creato il 25 ottobre 2015 da Alessiamocci

“A febbraio del 2013 ero nel sud del Cile per visitare la regione di Araucania, la Wallmapu, il paese dei mapuche. Parlai e ascoltai molte persone, una di queste era un bambino, credo che avesse sette anni ed era molto triste perché aveva smarrito il suo cane. Un’anziana mapuche lo consolava, dicendogli che il suo cane sarebbe tornato perché era un cane fedele, un amico leale. Mi piacque come parlava al bambino e così nacque questa storia.”

Dopo la cosiddetta “Trilogia dell’amicizia” – “Storia di una gabbianella e del gatto che le insegnò a volare”; “Storia di un gatto e del topo che diventò suo amico”; “Storia di una lumaca che scoprì l’importanza della lentezza” – il 22 ottobre 2015 è uscita nelle librerie italiane, sempre edita da Guanda, la nuova favola dello scrittore cileno Luis Sepúlveda.

Quasi fosse un La Fontaine dei nostri giorni, egli è solito utilizzare figure di animali quali protagonisti delle sue opere, “dipingendo” la natura con quel tocco di antropomorfismo che permette ai suoi messaggi di giungere a tutti, adulti come bambini. Egli avverte forte dentro di sé il desiderio di salvaguardare l’ambiente dall’inquinamento operato dall’uomo che lo “insudicia”; oppure quei legami d’affetto che nessuno può spezzare, fino a trasformare una lumaca in una “rivoluzionaria” che indaga le ragioni della sua lentezza e rifiuta di omologarsi.

Storia di un cane che insegnò a un bambino la fedeltà” ci porta nel sud del Cile e narra di un cane – simile ad un pastore tedesco – cresciuto coi mapuche, la Gente della Terra, una popolazione perseguitata e decimata, nonché costretta dai latifondisti ad emigrare in zone improduttive.  Uomini crudeli però lo separano da Aukaman, il bimbo indio a cui era stato donato e per il quale è stato come un fratello.

Questi uomini cattivi, che diventano violenti quando bevono “acqua torbida”, imbracciano fucili di continuo e manovrano “grandi bestie di metallo” per radere al suolo le foreste, lo tengono alla catena e rinchiuso in una gabbia. Non gli danno da mangiare, perché il cane affamato “caccia meglio”, ma soprattutto lo costringono a braccare un misterioso fuggitivo nei boschi. E alla fine della corsa, col sangue che sgorga dal petto, il cane saprà rendere onore al suo nome, Aufman, che significa “fedeltà”.

Sepúlveda disapprova quando la natura viene oltraggiata, e chiunque non sappia renderle grazie per le sue meraviglie. Egli si batte contro la negazione dei diritti umani, una tematica che qui trova la sua giusta ragione di protesta. Così scrive ancora una volta una favola struggente, per affidare le sue parole ai bambini, che rappresentano il nostro futuro, così come agli adulti, che li dovrebbero educare.

Sono parole che non saranno mai “neutrali”, perché per l’autore la neutralità è “il rifugio del vigliacco”. La favola riflette sempre la realtà, anzi, ne permette una comprensione migliore.

La letteratura diviene dunque un modo dolce di fare politica. Perché come ha affermato Luis Sepúlveda: “Essa è seminata di memoria e dice quello che la storia ufficiale nega o nasconde”.

Benvenuto sia quindi questo nuovo racconto, se esso dovesse mai contribuire a farci sentire più umani.

Written by Cristina Biolcati


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