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Storie di Sport: "Steven Bradbury e quella cosa a volte così incredibile chiamata vita"

Creato il 02 gennaio 2016 da Giuseppe Armellini
Storie Sport:
Amo lo sport, infinitamente.
Per una volta ho voluto scriverne.
Mi chiamo Steven Bradbury, sono australiano e faccio uno sport stranissimo.
Si chiama Short Track, una specie di "giro o tracciato corto" insomma.
Probabilmente voi lo chiamereste pattinaggio su ghiaccio ma in realtà noi siamo diversi, noi siamo tutti uno addosso all'altro, noi siamo quasi sempre in curva, noi siam pazzi, non solo pattinatori.
Loro, quelli del piano di sopra, pattinano veloci e basta, sono contro il tempo, sono eleganti e belli grossi.
Noi invece siamo agili, furbi, sleali persino. Il nostro avversario non è mai il tempo, le nostre son lotte greco romane sul filo del rasoio e della velocità.
Ci possiamo anche quasi permettere di fermarsi, andar piano, lasciar andare avanti gli altri.
Siamo come il keirin del ciclismo, ma non penso conosciate manco quello.
Sono forte io, un talento, neanche 21 anni e già tre medaglie mondiali. In uno sport in cui se anche sei il più forte le variabili sono duemila.
Mica come il pattinaggio che se sei il più forte e il più in forma l'unica persona da battere è te stesso.
Cadiamo spessissimo, anzi, ci fanno cadere spessissimo questi avversari sempre così al limite della lealtà.
E tante volte ci squalificano, in uno sport nel quale come in nessun altro si vedono così tanti squalificati.
Sono giovane, non bellissimo, un mezzo campione di uno sport che magari non dapertutto, ma da qualche parte è qualcosa che vale molto.
E' tutto bello fino a quando in gara un italiano, Vuillermin, un campione per giunta, cade insieme a me.
Il suo pattino mi apre in due.
Perdo talmente tanto sangue che avrei potuto rifornire le flebo di un ospedale di provincia.
Rischio di morire, così, sul ghiaccio, come un pirla qualsiasi.
111 punti di sutura, qualsiasi raccolta di qualsiasi supermercato mi avrebbe premiato con il regalo più grande.
Ci metto tanto a tornar su, troppo.
Nel 2000, 6 anni dopo che la mia vita rischiò di abbandonarmi in un addio color cremisi, cado ancora e mi rompo il collo.
Ma amo il mio sport e vado avanti.
Ci sono le Olimpiadi, quelle di Salt Lake del 2002.
Ho 29 anni, son vecchio per uno sport in cui serve talmente tanta agilità, talmente tanti riflessi e talmente tanta ambizione che altrimenti non sei nessuno.
Arrivo ai quarti ma, diciamoci la verità, ai quarti ci arrivano un pò tutti.
Sono sfavoritissimo, nemmeno ci credo di andare avanti. Ma son qua, è l'Olimpiade, sono ancora vivo e sono ancora un atleta.
La gara parte, resto sempre dietro, ma non per tattica, è che sono troppo più lento.
Cinque metri nel nostro sport sono un giro di pista in F1.
Arrivo terzo su quattro giusto perchè uno per poco non cade nel finale.
Son fuori, ma è stato bellissimo lo stesso, grazie.
Poi mi dicono che Gagnon, uno di quelli forti, è stato squalificato.
Ve l'avevo detto, capita da noi, capita spesso.
Sono in semifinale dell'Olimpiade, con le stesse probabilità di andare in finale che avrebbe uno dei nostri amati canguri gareggiando al posto mio.
In semifinale poi siamo in cinque per soli due posti, ciao core...
Partiamo e dopo 1 metro di gara sono già 3 metri dietro l'ultimo, un paradosso che manco Zenone poteva creare.
All'ultimo giro son quinto, la posizione che ho sempre ricoperto in tutta la gara, Senza manco andare mai a infastidire quelli davanti e mica perchè son cortese, ma perchè non li arrivo.
Mezzo giro alla fine e cade uno, son quarto, sempre meglio di niente.
Pochi metri e succede l'incredibile. Non ne cade solo un altro, che poi esser terzo sarebbe stato un mix perfetto tra bucio de culo e rimpianto millenario.
Ne cadono due, altri due insomma. A 4 metri dal traguardo.
Son secondo, in finale, essendomi praticamente limitato a girettare.
Finale dell'Olimpiade.
Io.
Uno ormai quattro spanne dietro gli altri. Uno che ci è arrivato perchè gli unici 5 che ho battuto 4 son caduti e 1 l'hanno squalificato.
Parto e torno subito a fare lo spettatore, stavolta anche da più lontano.
Posso sempre dire che avevo un posto da abbonato in prima fila.
Ultimo giro e sono sempre là, quinto indisturbato.
A pochi metri dal traguardo cadono tutti.
Tutti.
Tutti.
Non uno, non due per una medaglia di bronzo incredibile, non tre per una medaglia d'argento epocale, ma tutti, per una medaglia d'oro quasi trascendentale.
9 avversari in 3 turni,
8 caduti e 1 squalificato.
Sono campione olimpico con la consapevolezza che lo sarebbe stato anche un bambino che fosse arrivato al traguardo senza cadere.
Dicono che è il più grande scandalo della storia dello sport, la medaglia d'oro olimpica più incredibile di sempre, il campione più scarso di un dato sport di tutti i tempi.
Sì, forse lo è.
Ma io intanto non son caduto, sono rimasto in piedi, ogni volta.
Sono rimasto in piedi anche dopo che 8 anni prima ho lasciato metà del mio sangue in una pista.
Sono rimasto in piedi e c'ho creduto quando l'unica cosa che mi era rimasta addosso non era più la velocità o il talento, ma solo la passione e la tigna.
La gente ride, mi guarda, mi prende in giro, tante cose mica le sa.
Sono una specie di fenomeno da baraccone che ha vinto la gara più importante del pianeta.
Qualcuno dice che esiste il karma, altri che la vita quanto ti toglie poi ti restituisce.
Altri ancora credono che ci siano divinità che premiano quelli che se lo meritano.
Altri ancora credono, semplicemente, che a volte dice culo e a me ha detto culo tre volte in tre gare.
Tre lotterie vinte, mica una.
Scegliete voi quello in cui volete credere.
Io credo che la vita sia bellissima.
Basta restare in piedi, sempre.
Poi, qualcosa, succede sempre.


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