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Sul desiderio e sulle chimere. Note attorno a Eros e Tànatos

Creato il 10 maggio 2012 da Sulromanzo

Salvador Dalì, L'enigma del desiderioLa teoria degli opposti ha fatto la fortuna della cultura occidentale: la dialettica dei contrari trova nel binomio amore vs odio uno dei tasselli che maggiormente ricorrono nella riflessione tanto poetica quanto letteraria e filosofica. L’antica Grecia aveva avuto, del resto, sguardo lungimirante a proposito, quando aveva dato come genitori ad Eros Poros, l’ingegno, e Penia, la povertà (Platone, Simposio). Ancora Aristotele, nella Retorica, aveva suddiviso il desiderio in due categorie, il desiderio riflesso e quello non riflesso: «Per non riflessi intendo tutti i desideri che non sono preconcetti: quei desideri che rivelano l’essere delle cose, per esempio i desideri del corpo: la sete e la fame, se si tratta di nutrirsi, e il desiderio che corrisponde a ogni alimento; allo stesso modo, i desideri del gusto, della sessualità e del tatto in generale; per concludere, i desideri relativi all’olfatto, all’udito e alla vista. Considero  piaceri riflessi tutti quelli ai quali siamo stati persuasi, poiché ci sono delle cose che desideriamo vedere e ottenere perché ne abbiamo sentito parlare».

La categoria del desiderio riflesso è stata ribattezzata da René Girard con il termine di desiderio mimetico o triangolare (Mensonge romantique et vérité romanesque). L’influenza di Aristotele è evidente anche dall’uso che Girard fa della nozione di mimetismo. Aristotele considerava l’atto mimetico uno dei fondamenti primordiali dell’essere umano. Nell’imitazione si trova la conoscenza e tramite l’imitazione sorge il piacere. Secondo Girard, il desiderio imita il desiderio dell’altro, vale a dire il desiderio stesso. Attraverso questo movimento di riflesso dell’altro che ritorna all’io, il desiderio trasfigura l’oggetto. La trasfigurazione è la regola del desiderio che regge anche le Metamorfosi di Ovidio. Nel libro X, il poeta latino narra di come Giacinto, dopo essere stato colpito da un disco volante, viene trasformato in un fiore rosso porpora – del colore del sangue versato dal giovane ragazzo – da Apollo. Pavese torna ad interrogare il mito, e lo interpreta a sua volta utilizzando il concetto di imitazione:
«Eros: Mio caro, in Iacinto non fu che speranza, una trepida speranza di somigliarsi all'ospite. Né Il Radioso raccolse l'entusiasmo che leggeva in quegli occhi — gli bastò suscitarlo —, lui scorgeva già allora negli occhi e nei riccioli il bel fiore chiazzato ch’era la sorte di Iacinto. Non pensò né a parole né a lacrime. Era venuto per vedere un fiore. Questo fiore doveva esser degno di lui — meraviglioso e familiare, come il ricordo delle Càriti. E con calma indolenza creò questo fiore. / Tànatos: Siamo cose feroci, noialtri immortali. Io mi chiedo fin dove gli Olimpici faranno il destino. Tutto osare può darsi distrugga anche loro. / Eros: Chi può dirlo? Dai tempi del caos non si è visto che sangue. Sangue d'uomini, di mostri e di dèi. Si comincia e si muore nel sangue. Tu come credi di esser nato? / Tànatos: Che per nascere occorra morire, lo sanno anche gli uomini. Non lo sanno gli Olimpici. Se lo sono scordato. Loro durano in un mondo che passa. Non esistono: sono. Ogni loro capriccio è una legge fatale. Per esprimere un fiore distruggono un uomo./ Eros: Sì, Tànatos. Ma non vogliamo tener conto dei ricchi pensieri che Iacinto incontrò? Quell'ansiosa speranza che fu il suo morire fu pure il suo nascere». (Pavese, Dialoghi con Leucò).

La relazione all’oggetto desiderato cambia tuttavia tra la civiltà greco-latina e quella cristiana. Nella prima, il rapporto si compie in presentia e comporta l’adempimento del desiderio. Sempre nelle Metamorfosi ovidiane, la trasfigurazione avviene sia prima che dopo il raggiungimento dell’oggetto desiderato da parte del desiderante. Calipso è trasformata in stella dell’Orsa dopo che Giove ne ha approfittato, il Minotauro è il risultato dell’accoppiamento di Pasifae con il toro; la metamorfosi avviene anche prima dell’atto, come nel caso di Leda e del cigno (Zeus). La relazione al desiderio cambia con l’avvento dell’era cristiana, e diventa moto in absentia. Denis de Rougemont rinviene in Tristano e Isotta la relazione al desiderio tipica della civilizzazione cristiana d’impronta manichea (L’amour et l’Occident). Qui, è nell’ostacolo e nell’impossibilità del compimento che il desiderio trova la sua realizzazione. Ne consegue una perenne tensione che genera la cosiddetta pulsione di morte. Se Tànatos era concepito come compimento del desiderio, ora la dinamica s’inverte e Tànatos deriva dall’impossibilità di tale compimento. Platone aveva teorizzato l’Eros in quanto realizzazione dell’unità. Dopo il III secolo circa, il desiderio diventa disintegrazione dell’unità. Sublimazione per Petrarca (Il Canzoniere); idealizzazione dell’altro per Stendhal (Dell’Amore); piacere del piacere, secondo Nietzsche (Al di là del bene e del male).

Il desiderio rinvia al desiderio perché non implica reciprocità. Il raggiungimento del desiderio ne comporta la perdita, nel momento stesso in cui se ne compie il possesso. Il desiderio è moto e tensione interna, che si realizza tramite l’altro, ma che torna irrimediabilmente su se stesso: «Riconoscere nello straniero quello che ci è proprio e riuscire ad abitarlo», scrive Gadamer, «questo è il movimento fondamentale dello spirito di cui l’essere non è altro che ritorno a sé, partendo dall’altro» (Verità e metodo). Il desiderio è allora movimento fantomatico, celebrazione del vuoto, che porta alla creazione di spettri. Piuttosto che manifestarsi in veste triangolare, il desiderio è tautologia. Rinvia a se stesso e diventa chimera: «Forse capivo allora che i fantasmi sono invisibili, perché siamo noi stessi a portarli dentro di noi» (Yourcenair, Alexis).

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