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Sull’indolenza e altre odi di John Keats

Da Viadellebelledonne

E’ con molto piacere che segnalo ai lettori e alle lettrici di Viadellebelledonne, la recente pubblicazione per le Edizioni Il Labirinto di un prezioso libretto “Sull’indolenza e altre odi” di John Keats, nella bella e precisa traduzione di Francesco Dalessandro.

Riporto parte della Nota dello stesso Dalessandro perchè nessuno meglio del traduttore può raccontare e spiegare, avendola vissuta da dentro la ri-scrittura di un testo in un’altra lingua per renderla fruibile in tutta la sua poetica bellezza e musicalità.

Le cosiddette “grandi odi” del 1819 sono l’ultima grande stagione della poesia di Keats – dopo, ci furono solo malattia e silenzio. (…) La poesia migliore di Keats è il prodotto di tanti, diversi fattori, simultaneamente presenti, non scindibili, non facilmente evidenziabili; con un’unica cosa a spiegarne la bellezza: lo stile. Qualunque testo è fatto di idee, di temi, di intuizioni e intenzioni, ha un argomento e una struttura; ciò che sempre lo distingue da un altro è la lingua, e l’uso di essa. Keats, che era attento a ogni aspetto del mondo intorno a sé e che aveva un orecchio particolarmente sensibile, ne volle una che non rinnegasse la tradizione, ma che preservandone la forza, accogliesse con naturalezza il lessico del tempo, ovvero che lingua letteraria e lingua parlata si fondessero in un ritmo nuovo. Per tradurre un verso tanto consapevole, sapiente quanto spontaneo, appassionato eppure armonioso, dovevo certo approssimarmi a quelle stesse qualità di precisione e concretezza, ma con maggiore libertà e qualche rinuncia (alla rima, per esempio, per un’esigenza di esattezza). La scelta di rendere con un verso libero e vario per lunghezza ed estensione il pentametro giambico inglese è venuta naturalmente; come pure, seguendo l’operato di Keats, quello di una lingua media, d’uso ma povera, e di una sintassi lineare, senza torsioni. Il testo di riferimento è “Keats, Poetical Works” edited by H.W. Garrod, Oxford University Press, London, 1972”.

ODE SU UN’URNA GRECA

I

Tu, vergine ancora, sposa della quiete,

figlia adottiva del silenzio e del tempo

tardivo, narratrice silvestre che più dolce-

mente dei miei versi sai esprimere la favola

fiorita, quale mito orlato di foglie

riempie la tua forma? di mortali o dèi

o di entrambi? A Tempe o in Arcadia?

Quali uomini o dèi, e vergini restie?

Quale folle caccia e lotta per fuggire?

Con cembali e flauti, che estasi selvaggia?

II

Dolci sono le udite melodie, le non udite

anche più dolci; perciò suonate ancora,

teneri flauti, non per l’orecchio: preziose

per lo spirito dolci arie senza suono suonate.

Nella selva, amato giovane, il tuo canto

non può tacere, né quei rami sfrondarsi.

Tu, amante audace, non potrai baciare

chi ti è così vicina; però non lamentarti

per la gioia svanita: lei non potrà svanire

e sarà sempre bella, per sempre l’amerai.

III

Piante, felici piante, voi non vedrete mai

sparse le vostre foglie né alla primavera

direte addio; te felice, musico mai stanco,

che suoni sempre sempre nuovi canti;

mai più felice amore, più felice il felice

amore, caldo per sempre e da godere

ancora, anelante per sempre, eternamente

giovane; più alto d’ogni umana, vivente

passione che il cuore sazia di pena,

che fa bruciare la fronte, seccare la lingua.

IV

E questi che s’avviano al sacrificio chi sono?

A quale verde altare, sconosciuto sacerdote,

conduci la giovenca dai lucidi fianchi

coperti di ghirlande che muggisce al cielo?

Quale piccola città sulla riva di un fiume

o sul mare, o turrita di mura nella pace

dei monti s’è svuotata di gente nel pio

mattino? Le tue strade saranno per sempre

silenziose, città, e non un’anima potrà

tornare a dirti perché fosti abbandonata:

V

Oh attica forma, la tua linea armoniosa,

esaltata nel marmo da trame di fanciulle

e uomini, rami frondosi, erbe schiacciate,

la tua silenziosa figura come il pensiero

dell’eterno ci tormenta, fredda pastorale!

Quando l’età avrà guastato anche questa generazione,

tu ancora sarai qui, testimone di dolori

diversi dai nostri e, amica dell’uomo, dirai:

Bellezza è verità e verità bellezza” – questo solo

sapete sulla terra, solo questo dovete sapere.

Sull’indolenza e altre odi” di John Keats

Edizioni Il Labirinto, Collana Spillature, 2010

Pagine 44, euro 3,50



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