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Superiamo la dicotomia impresa pubblica - impresa privata

Creato il 11 luglio 2011 da David Incamicia @FuoriOndaBlog
Superiamo la dicotomia impresa pubblica - impresa privata
Ricevo - e volentieri pubblico - l'ultimo intervento di Giammario Battaglia, mediatore civile e promotore assieme ad altri del sito http://www.1200euroalmese.it/, contenente utili spunti di riflessione su fisco, sprechi e occupazione. Perchè Stato e liberalizzazioni non per forza vanno percepiti come antitetici, e perchè il welfare può essere arricchito e svilupparsi meglio sotto la spinta del "privato sociale". Buona lettura.
La prolungata fase di stagnazione della nostra economia, che sta minando il benessere ed il risparmio della popolazione, dovrebbe indurre il Governo a stimolare la crescita piuttosto che usare manovre restrittive. Ma, l’attuale esecutivo non sembra in grado di fare scelte coraggiose. Infatti, nonostante i proclami di politiche di rigore e tagli degli sprechi nel settore pubblico, alla fine mette le sue mani nelle tasche dei contribuenti e dei pensionati.
Carlo Maria Pinardi, dalle pagine del Corriere della Sera, inserto “Economia” del 4 luglio 2011, si interroga: “Dove sarebbe arrivata la spesa pubblica se non avessimo il terzo debito pubblico al Mondo?”. Infatti, dal 1990 ad oggi la spesa pubblica ha avuto un incremento in termini reali del 54%. Si è passati da 300 miliardi di euro a 800 miliardi nel 2010, con una crescita della pressione fiscale nominale del 44%.
Dalla lettura di tali dati, un qualsiasi politico accorto dovrebbe prendere atto che alla riduzione della spesa pubblica non c’è alternativa perché solo in questo modo si potrebbero ridurre finalmente le imposte e dare una scossa duratura all’asfittica crescita del nostro Paese, con inevitabile calo dell’evasione fiscale. Purtroppo, la nostra classe politica sembra lontana, anni luce, da tale ordine di idee. Basti dare uno sguardo ad alcuni dati impressionanti.
L’Anci (Associazione dei Comuni Italiani), ad esempio, ci informa che, in Italia, vi sono 3662 imprese costituite dai Comuni, e solo un terzo di queste erogano servizi pubblici. La Corte dei Conti, poi, ha accertato che vi sono 5860 “Organismi di vario genere” partecipati da 5928 fra Comuni e Province. Questo incredibile reticolo di Enti ed imprese, oltre a servire come “Ufficio di collocamento” di amici, parenti e clienti dei nostri rappresentanti Istituzionali, garantisce agli stessi politici la bellezza di 38 mila poltrone di prestigio, tra consigli di amministrazione, collegi sindacali e “incarichi apicali” (dal Corriere della Sera del 9 luglio 2011: “La spartizione dei posti in Finmeccanica“). Una “rete mafiosa” che ha generato una catena, di piccoli e grandi interessi, che è difficile, oramai, spezzare, a causa del pretesto addotto da chi paventa il rischio di “buttare sulla strada” chi, dopo aver usufruito del sistema, ha maturato il diritto ad un posto di lavoro sine die.
I parassiti di Stato, che hanno generato questo sistema, non sembrano, però, diminuire anzi sono in continuo aumento ed utilizzano l’imposizione fiscale come strumento per continuare ad alimentare se stessi, lasciando dietro di sé una scia di distruzione di massa che ha portato e sta portando sul lastrico migliaia e migliaia di imprese e lavoratori. La legge è la mannaia, l’arma di cui ci si serve per generare corruzione. Vedasi, ad esempio, la normativa sui “contratti a progetto”.
Molte imprese, per sopravvivere, sono costrette ad utilizzare tale forma contrattuale, che comporta notevoli vantaggi fiscali, contra-legem, per subordinare i collaboratori, i quali, a loro volta, per poter sopravvivere accettano di non denunciare tali abusi. Lo Stato è consapevole di tutto ciò, ma chiude gli occhi perché la povertà, il bisogno, l’illegalità ne legittimano l’esistenza, lo nutrono, lo rafforzano.
E se a Roma l’azienda municipalizzata dei trasporti ha realizzato, negli ultimi anni, ben 800 milioni di perdite, con i suoi 13 mila dipendenti, con l’esito del referendum sull’acqua, che in realtà riguardava tutti i servizi pubblici locali, tale fenomeno, in tutta Italia non subirà mai un ridimensionamento a meno che tra i cittadini italiani non si formi un nutrito movimento che promuova il superamento dell’attuale dicotomia impresa pubblica – impresa privata, con la richiesta esplicita al Parlamento di legiferare l’Istituzione dell’impresa con finalità sociali (Social Business Enterprise), ovvero un’impresa con capitale interamente privato e che non distribuisce utili, con lo scopo di generare benessere per tutti e gestire, tra l’altro, anche, i servizi pubblici locali. Vedasi l’esempio della Grameen Bank, fondata da Muhammad Yunus, Premio Nobel del 2006.
Anche l’ipotesi di liberalizzare le attività nell’ambito delle professioni, dapprima con effetti immediati, è stata poi dirottata su un binario morto, nonostante l’UE abbia inviato a Roma una specifica raccomandazione a liberare l’accesso alle professioni e all’attività dei servizi, alla fine di rompere le barriere corporative che costituiscono un insormontabile ostacolo all’ingresso nel mondo del lavoro, a discapito del merito.
Infatti, per alcuni Ordini professionali tale principio dipende essenzialmente dalla famiglia di appartenenza e dall’area geografica. A tal riguardo si consiglia di leggere l’illuminante articolo di Gian Antonio Stella pubblicato sul Corriere della Sera del 4 luglio 2011, a pag. 11, dal titolo: “Ordini e professioni, quando il merito dipende da famiglia e area geografica”. E mentre la disoccupazione in Italia è arrivata a toccare livelli di emergenza, secondo i dati diffusi da Eurostat, nel 2011 vi è chi tra i nostri politicanti, invece di raccogliere l’invito di Francesco Alberoni a cambiare mentalità, ad operare una svolta storica, ad inventare nuove imprese, ha nostalgia della Prima Repubblica, dei suoi riti, della sua capacità di accontentare tutti con i denari pubblici.
Se non si avrà il coraggio di cambiare, di dare uno shock all’attuale sistema economico, quando il risparmio delle famiglie sarà completamente azzerato; quando i lavoratori precari ed a progetto, che non usufruiscono nemmeno di un salario minimo di ingresso, come avviene, peraltro, anche nella liberale USA (pari a 7,25 euro), sarannno la maggioranza nel nostro Paese e saranno strozzati dai “cartelli dei salari low-cost” delle imprese; quando milioni di poveri vagheranno, senza alcuna assistenza, sulle nostre strade, sarà la guerra civile. Il 21 dicembre 2012, per molti appassionati dei Maya potrebbe essere la data della fine o di un nuovo inizio. Per l’Italia, ci auguriamo che possa essere quella di una ritrovata coscienza locale.
Giammario Battaglia
Mediatore civile
http://www.giammariobattaglia.com/

Semplicemente inceccepibile.

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