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Tema: La montagna di sughero

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SvolgimentoTema: La montagna di sughero«Dai Samir, basta con l’acqua, vieni a ballare per noi.» Con la mano, uno dei carovanieri sventolava un tessuto leggero e trasparente.Samir stava riempiendo l’ennesimo otre. A quindici anni aveva trasportato più acqua che pensieri. A quella carovana di mercanti si erano aggregati alcuni filosofi, anch’essi diretti a Damasco.In quella notte luminosa più del giorno, mi ritrovavo addosso tantissima gente. In cammino o accampati lungo i miei sentieri. Avevo già capito: quella era una notte strana. Dalla mia cima scorgevo il lago di Tiberiade, pescoso. I miei versanti, a quei tempi, erano tanto rigogliosi che adesso non si potrebbero nemmeno immaginare. Da allora sono stata attraversata da Turchi, Ottomani, Crociati e perfino Inglesi, ma quella notte non potrò mai dimenticarla.«Dai Samir, vieni!»Sparpagliati un po’ qua un po’ là, c’erano pecore e pastori, legnaioli, straccivendoli, suonatori… Gente che tornava a Betlemme dopo una dura giornata di lavoro.«Facci divertire Samir, basta con l’acqua, balla per noi.» Samir conosceva il seguito delle serate. Io sentivo quelle voci risuonare in ogni mio anfratto. Su di me una variegata moltitudine di personaggi.Potrei dire che ci fossi avvezza, ricordavo Davide, il Re nato alle mie pendici, ricordavo i seguaci di Baal, ma ciò che vedevo adesso era diverso.I filosofi discutevano sul mondo che, con lo strapotere dei Romani, stava cambiando in modo radicale. Neanche loro disdegnavano Samir né il suo ballo né tutto il resto. Samir, invece, era incuriosito da quel bagliore inusuale che, invadendo il cielo, sembrava convergere con una lunga scia sopra una stalla malandata.Ricordava le parole di un vecchio. Gli aveva raccontato di un certo Isaia, di un Dio e di un mondo nuovo che si sarebbe manifestato con una grande luce. Ricordava una frase in particolare, diceva che agli eunuchi, quel Dio avrebbe dato un posto migliore ai propri figli e alle proprie figlie. Sarebbe voluto fuggire Samir, perché stanco di essere bistrattato, sognava un posto bellissimo dove anche lui potesse essere felice. Samir amava ballare, si muoveva leggero come i tessuti che gli facevano indossare e quando danzava davanti al fuoco, assieme al tepore, riusciva ad assaporare quella felicità. Ma era una gioia fugace, gliela strappavano via subito, afferrandolo per un braccio: «Ora basta ballare Samir.» 


Eppure il ragazzo non si ribellava. Amava uno di loro, uno soltanto. Ed era l’unico modo per ricevere un suo abbraccio. Quell’altro non sapeva nulla, ma a Samir non importava. Lui amava.E ciò che provava rendeva migliore ai suoi occhi anche quell’uomo. Per questo, non smetteva di sognare.Amare era nella sua natura.  Dei filosofi non si fidava molto, li sentiva ogni sera intorno alla brace, nei loro discorsi c’era troppa passione, ma per se stessi, per le proprie congetture.  Non gli pareva amassero “l’uomo” di cui sembravano curarsi. Forse amavano anche quello che Samir faceva per loro, ma di sicuro non amavano Samir. Era ancora al ruscello e l’acqua era limpida in quella notte chiara. Mai l’aveva vista così dopo il tramonto. Pensava a quanto sarebbe stato bello scoprire se le parole del vecchio erano vere. «Samir!» lo chiamarono ancora.Riscuotendosi s’avviò.  Intanto la gente scendeva a valle: «Andiamo alla stalla, andiamo alla stalla.» si dicevano l’un l’altro. Samir posato l’otre pensò di accodarsi. Ma il richiamo dei carovanieri si fece più forte. Poi l’idea di allontanarsi dal suo amato lo fece rabbrividire. Riprese l’otre e tornò al campo.Da lì venivano voci concitate: «Fai presto Samir, qui sta accadendo qualcosa di strano, gli animali sono nervosi, non li senti? Dobbiamo sbaraccare e fuggire, ballerai domani.»Mai dimenticherò quella notte, la gente, quel fulgore, l’agitazione.  Io oggi sono di sughero, e reggo la memoria. Su di me scorre sempre un ruscello. È quello dove Samir si fermò a pensare. Isaia 56, IIIAdelaide Jole Pellitteri

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